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La scelta della nonviolenza
L’obiezione di coscienza in Turchia dagli anni ’80 ad oggi. Le associazioni e i movimenti antimilitaristi, la punizione per chi si sottrae al servizio militare o incita a farlo. I casi di Halil Savda e Mehmet Tarhan, obiettori totali. Nostre interviste
A dispetto del famoso detto nazionalista secondo cui "ogni turco nasce soldato", in Turchia sono 73 gli obiettori di coscienza totali che dal 1989 si rifiutano pubblicamente di svolgere il sevizio di leva e di indossare l’uniforme e 500 mila, secondo i dati del ministero della Difesa, coloro che non hanno risposto alla chiamata alle armi. In questo Paese, tutti i ragazzi tra i venti e i trent’anni devono prestare sedici mesi di servizio militare obbligatorio. L’obiezione di coscienza, nonostante le pressioni in questo senso dell’Unione Europea e una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del gennaio 2006, non è ancora riconosciuta come un diritto in Turchia.
Secondo l’articolo 318 del codice penale, chiunque inviti a sottrarsi al servizio militare rischia da sei mesi a due anni di carcere. Sono molte le cause intentate contro intellettuali e artisti che si schierano a favore dell’obiezione di coscienza. Tra le più note quelle contro la giornalista Perihan Mağden del giugno 2006 per il suo articolo "L’obiezione di coscienza è un diritto umano!", e quella contro la famosa cantante transessuale Bülent Ersoy che nel marzo 2008, mentre le truppe di Ankara entravano nel nord dell’Iraq, affermò durante un programma televisivo che se avesse potuto avere un figlio non lo avrebbe mai mandato a morire in guerra.
All’inizio degli anni novanta erano poche le organizzazioni che si occupavano di obiezione di coscienza. La prima è stata fondata a Izmir nel 1994 da Osman Murat Ülke, militante storico del movimento non violento: è la Savaş Karşıtları Derneği (Associazione degli Oppositori della Violenza). Nello stesso periodo è nata l’Istanbul Anti-Militarist Inisyatifi (Iniziativa Antimilitarista di Istanbul), che oggi gestisce anche il sito www.savaskarsitlari.org. E’ a partire dal 2001 tuttavia che, in tutte le grandi città turche, è iniziato un movimento contro il servizio militare. Nel marzo 2008 diversi gruppi come l’Iniziativa contro i Reati di Opinione, l’associazione gay KAOS GL, la femminista Vita Rosa, l’Associazione per i Diritti Umani e la Piattaforma per l’Obiezione di Coscienza hanno lanciato una campagna dal titolo Rifiutarsi di uccidere non è reato, no all’articolo 318!
Abbiamo parlato con Halil Savda e Mehmet Tarhan, obiettori di coscienza e attivisti per i diritti umani, della loro scelta e del movimento antimilitarista in Turchia.
Halil, perché hai deciso di obiettare?
Sono diventato obiettore di coscienza perché mi considero un difensore coerente della libertà e della pace. La mia decisione di rifiutarmi di entrare nell’esercito è motivata dalla mia convinzione che il mondo debba essere pacifico, inoltre il mio carattere e il mio modo di vivere sono contrari alla violenza. Sono una persona che rifiuta rapporti umani basati sull’autorità, e non ho voluto essere parte di un’organizzazione armata che riproduce rapporti di tipo gerarchico tra le persone. Penso che in Turchia la lotta per la libertà debba essere anche lotta per la pace e per il rifiuto della violenza. Se non fosse così, anche se il sistema venisse abbattuto sicuramente si riprodurrebbe un meccanismo oppressivo e gerarchico come avvenuto in Unione Sovietica.
Cos’è successo dopo che hai annunciato pubblicamente la tua decisione?
Dopo essermi dichiarato obiettore di coscienza, il 26 novembre 2004 sono stato arrestato. Dopo 14 giorni mi hanno rilasciato, ordinandomi di presentarmi in caserma per l’arruolamento. Non l’ho fatto, quindi è iniziato un processo nei miei confronti. Sono stato condannato per diserzione il 7 dicembre del 2007. Mi hanno messo in carcere e di nuovo rilasciato perché mi presentassi in caserma. Nel corso degli ultimi cinque anni sono stato arrestato e rilasciato quattro volte. In totale ho passato 17 mesi in carcere di cui due in isolamento, e durante la mia detenzione sono anche stato torturato.
Dopo il tuo rilascio cosa è successo?
Come obiettori di coscienza i nostri diritti vengono calpestati anche dopo essere stati rilasciati. Per esempio ci viene negata la libertà di movimento, e se ci imbattiamo in un controllo di polizia mentre siamo in viaggio possiamo essere arrestati in qualsiasi momento come renitenti di leva. Inoltre non godiamo di nessun tipo di aiuto sociale. In Turchia infatti i ragazzi che non hanno fatto il servizio militare non hanno l’assistenza sanitaria e non possono lavorare nella pubblica amministrazione. Insomma viviamo, ma siamo morti. Sei parte della società, magari organizzi anche lotte sociali, ma non hai nessun tipo di diritto economico, sociale, nessuna sicurezza. Di fatto per lo Stato non esisti.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è occupata degli obiettori turchi. Nel gennaio 2006 si è pronunciata sul caso di Osman Murat Ülke, condannato a un totale di 701 giorni di carcere per aver rifiutato otto volte di indossare l’uniforme militare. La Corte ha condannato la Turchia a pagare 10 mila euro di danni al ragazzo poiché era stato sottoposto a un "trattamento umiliante". Inoltre ha invitato la Turchia a modificare la sua legislazione in modo da regolamentare la condizione degli obiettori di coscienza e farli uscire dal limbo giuridico che li condanna a quello che la stessa Corte ha definito come "morte civile".
Dopo l’11 settembre 2001, anche Mehmet Tarhan ha deciso di annunciare pubblicamente la propria obiezione di coscienza. Dopo il suo arresto a Izmir, nel 2005 ha passato undici mesi nel carcere militare di Sivas in attesa di giudizio. E’ stato infine liberato ma il suo processo è ancora in corso. Ora lavora per Lambda Istanbul, un’associazione che difende i diritti di gay, lesbiche, bisessuali e transgender.
Mehmet, hai mai pensato di lasciare la Turchia per chiedere asilo politico in qualche Paese europeo?
Si, ci ho pensato. Non l’ho mai fatto perché so che la mia fuga è quello che lo Stato vuole. Qui c’è ancora molto lavoro da fare e mi piace vivere in Turchia, nonostante tutto. Sicuramente però, se mi sentissi veramente in grave pericolo, sarei costretto a lasciare il Paese.
La tua famiglia come ha accolto la tua decisione?
Mi hanno sempre sostenuto, sia quando mi sono dichiarato obiettore di coscienza che mentre mi trovavo in carcere. Hanno persino partecipato alle campagne del movimento antimilitarista in mio sostegno. Per la maggior parte degli obiettori, però, la situazione è diversa. Subiscono pressioni enormi da parte delle loro famiglie, perché facciano il servizio militare. L’opposizione della famiglia è una carta che viene usata anche dall’esercito per dissuadere i giovani obiettori.
Qual è la posizione dell’opinione pubblica turca sull’obiezione di coscienza?
La maggior parte delle persone non ha un’opinione precisa, perché non sa che esiste un movimento antimilitarista. Certo, nel suo insieme la società turca appare molto militarista e unita, ma se parli con le persone singolarmente la situazione cambia. Non a caso sono circa 500 mila i disertori che non rispondono alla chiamata alle armi, anche se non lo rivendicano politicamente in maniera pubblica.