La Sarajevo dei beni comuni: gli attivisti urbani
Centri commerciali, gated communities, speculazione: Sarajevo rischia, dal punto di vista urbanistico, il saccheggio. Ma c’è chi, negli ultimi anni, ha iniziato ad opporsi. La seconda di due puntate sull’attivismo a difesa degli spazi pubblici nella capitale bosniaca
Nel 2014, un’importante quanto mai improvvisa ondata di mobilitazione sociale e politica della società attraversò la Bosnia Erzegovina, dando vita a un interessante modello di democrazia diretta che avrebbe fatto parlare a lungo media e accademici dei cosiddetti “Plenum”. Il fervore venne poi però via via smorzandosi, fino al suo totale esaurimento, lasciando delusi chi in quell’esperienza aveva davvero creduto e aveva scorto una possibilità di cambiamento.
Nonostante il generale fallimento, a Sarajevo (e non solo), uno spirito critico nei confronti della politica e della gestione della cosa comune è ancora presente nella società tra coloro che presero parte alle proteste ed ai Plenum e tra coloro che vi videro uno spiraglio di speranza, prendendo coraggio ad attivarsi.
Il contesto urbano di Sarajevo è il terreno sociale e politico in cui gruppi di attivisti, per la maggior parte non istituzionalizzati, si stanno organizzando per promuovere iniziative alternative alla logica dominante della privatizzazione e commercializzazione della città, e volte a sensibilizzare e coinvolgere la cittadinanza a pratiche di attivismo e forme di socialità dirette nonché ad informare sulle decisioni di sviluppo urbano prese da parte delle istituzioni locali.
La difesa dei beni comuni è del resto il comune denominatore di molte mobilitazioni che negli ultimi dieci anni hanno interessato alcune città dei Balcani. A Zagabria ci si è battuti per la Cvjetni Trg, a Dubrovnik contro un campo da golf di lusso, a Belgrado il movimento ‘Ne da(vi)mo Beograd’ si è schierato contro il progetto “Belgrado sull’acqua”.
La città come terreno d’opposizione politica
Alla domanda riguardo a come avrebbe definito l’attuale fase di sviluppo urbano a Sarajevo, Danijela, coinvolta nel progetto Zajednički grad (Città in Comune) della ONG locale “Crvena”, risponde con la parola in bosniaco “desant” (assalto). Nel suo immaginario, al posto delle bombe, vengono sganciati centri commerciali che occupano spazi urbani che vengono così svuotati di ogni significato. Perché uno “spazio comune è tale quando è attraversato sia da forme di socialità che da azioni e riflessioni politiche”, commenta Danijela.
Zajednički grad è un progetto avviato nel 2013 sotto il nome di Gradologija, ovvero la scienza della città, con l’intento di studiare la città e le dinamiche economiche, politiche e sociali che la attraversano per poi poter agire sul territorio con la conoscenza necessaria per contrastare quelle politiche che cercano di accaparrarsi la città a scapito dei suoi cittadini.
Questi anni di esperienza e attivismo hanno permesso agli attivisti dell’iniziativa di sviluppare strumenti molto concreti di azione: ricerca e analisi critica, interventi sul territorio urbano attraverso l’organizzazione di laboratori di mappatura degli edifici abbandonati, camminate alla scoperta della città, recupero di aree in abbandono, partecipazione ai processi decisionali al fine di riaprire spazi politici di dibattito, finora assente nelle sedi del potere.
Una città, una lotta
In risposta alla ‘Primavera bosniaca’ del 2014 Unione Europea, Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale hanno proposto con la cosiddetta “Agenda di riforma 2015-2018” un programma che mira a dare impulso allo sviluppo economico attraverso la liberalizzazione del mercato, la riduzione del costo del lavoro, il ridimensionamento del settore pubblico, la trasformazione del sistema di welfare e investimenti nelle infrastrutture.
In forte critica a quest’approccio è nata Jedan Grad Jedna Borba (Una città, una lotta), un’organizzazione che raccoglie diverse persone che presero parte in prima persona alle proteste del 2014. Quest’organizzazione ha un orientamento politico di sinistra radicale ed inizia a prendere forma nel 2015 quando il policlinico ‘dr. Abdulah Nakaš’ della capitale rischiava di essere chiuso per la vendita del terreno a potenziali investitori privati. Da questa minaccia di chiusura del secondo ospedale più grande della città, è nata la mobilitazione “Ne damo našu bolnicu” (Non diamo il nostro ospedale) iniziata dai dipendenti dell’ospedale, assieme a parte della cittadinanza in solidarietà al personale, tra cui gli attivisti di Jedan Grad Jedna Borba. Una mobilitazione che è riuscita, almeno sino ad ora, a bloccarne la chiusura.
Attraverso l’analisi e la raccolta di informazioni su ciò che sta avvenendo nel Cantone di Sarajevo e nella città stessa (privatizzazione dei servizi, la questione dell’approvvigionamento dell’acqua, dispendiosi progetti urbanistici, riforme dell’educazione, del lavoro, della sanità etc.), Jedan Grad Jedna Borba si propone di ostacolare le decisioni politiche imposte dall’alto e di cercare di ricostruire l’interesse per la vita politica, da anni alienata e sclerotizzata dai discorsi etnonazionalisti nonché compromessa da corruzione e clientelismo. Due recenti interessanti iniziative la vedono coinvolta: l’organizzazione di proteste contro la commercializzazione della “Vijećnica”, ovvero la Biblioteca nazionale universitaria, e la mobilitazione contro il futuro progetto urbano che interessa un’area del quartiere di Marijin Dvor.
La Biblioteca nazionale
Dalla sua riapertura nel 2014, la Biblioteca nazionale universitaria della Bosnia Erzegovina che nel 1992 bruciò sotto i colpi di mortaio dei serbo-bosniaci che stringevano la città in assedio, non ha più svolto la sua funzione tradizionale. Di proprietà statale, la Vijećnica è attualmente vittima della complessità istituzionale bosniaca.
“La municipalità di Sarajevo di fatto in questi anni se ne è appropriata, raccogliendo i fondi necessari alla sua ristrutturazione per poi sfruttare questo bene pubblico e guadagnare soldi attraverso di esso – denuncia Ines, del gruppo Jedan Grad Jedna Borba – la città lo reclama come proprio edificio, come sede del consiglio cittadino, come lo era alle origini della sua costruzione durante il dominio austro-ungarico, ma il proprietario legittimo è lo stato. Oggi la Vijećnica non è altro che un luogo dove poter organizzare il proprio matrimonio pagando l’affitto delle stanze, o dove organizzare altri eventi di varia natura”. “E per di più per entrare bisogna pagare 5KM, di cui non si sa che uso venga fatto”, chiosa Ines.
Jedan Grad Jedna Borba ha dunque deciso di protestare contro quella che ritiene un’indebita gestione di uno spazio che appartiene a tutti i cittadini e lo ha fatto organizzando una sala di lettura e di readings sulla scalinata d’ingresso della Vijećnica, non avendo ottenuto il permesso di entrare nella hall dell’edificio. Un incontro settimanale, iniziato a novembre dell’anno scorso, che ha trovato solidarietà da parte di scrittori ed artisti, ottenendo anche il sostegno da parte di artisti viennesi che a marzo di quest’anno hanno deciso di organizzare un’iniziativa simile di fronte alla propria biblioteca nazionale a Vienna, in segno di solidarietà.
Tra l’altro a Sarajevo manca una biblioteca universitaria in grado di soddisfare le esigenze degli studenti, in quanto l’unica esistente si trova nel campus universitario e chiude nel primo pomeriggio. Sinora il sindaco della città non ha mai risposto alle richieste degli attivisti ma questi ultimi, assieme ai dipendenti della Biblioteca nazionale – che nel frattempo hanno aperto un contenzioso con la città sulla proprietà legale della Vijećnica – continueranno a chiedere che la Vijećnica ritorni ad essere quello che sin dalla fine della Seconda guerra mondiale era stata, vale a dire uno spazio di cultura e di sapere per tutta la cittadinanza.
Il progetto urbanistico a Marijin Dvor
Il futuro prossimo del quartiere di Marijin Dvor è quantomai incerto e quanto progettato rischia di aggiungersi agli episodi di gestione arbitraria degli spazi a Sarajevo. Jedan Grad Jedna Borba ha iniziato a mobilitarsi quando a gennaio di quest’anno è stato presentato un progetto di nuove costruzioni nel quadrante B del quartiere, che rientra nella municipalità di Centar (il quadrante B interessa l’area che dal ponte di Vrbanja, costeggiando il fiume Miljacka arriva fino alla Skenderja).
“Il progetto non è ancora noto in tutti i suoi dettagli ma viene già presentato come la Manhattan sulla Miljacka”, afferma Alma, attivista di Jedan Grad Jedna Borba.
Quello che è emerso sino ad ora è l’intenzione di costruire 6 grattacieli, “e questo già si pone come un problema in termini di inquinamento e di infrastrutture” dice Alma. A suo avviso infatti Sarajevo essendo posizionata in una vallata necessita di un ambiente urbano che permetta un ricircolo d’aria e inoltre, se queste strutture dovessero avere una funzione abitativa, i problemi si moltiplicherebbero considerando i già malfunzionanti servizi di distribuzione dell’acqua, il problema del traffico e la carenza di parcheggi. “Se davvero dovesse andare in porto, il progetto potrebbe avere la stessa portata del progetto ‘Belgrado sull’acqua’ in Serbia”, aggiunge Ines, altra attivista di Jedan Grad Jedna Borba.
Nel marzo di quest’anno è stato dedicato un numero del volantino informativo che l’organizzazione scrive e diffonde mensilmente dal titolo “Čiji je Marijin-dvor?” (A chi appartiene Marijin Dvor?). “L’intento è quello di far riflettere la gente su cosa sta avvenendo – dice Alma – gli stessi cittadini del quartiere poco sanno su cosa è in progetto”.
La “Comunità locale” (Mjesna Zajednica), ovvero il livello più basso dell’articolata struttura politico-amministrativa della città, ha invitato l’associazione Jedan Grad Jedna Borba a partecipare a una discussione sul progetto, da cui è derivata la proposta di dare vita all’iniziativa “Zajedno za Marijin Dvor” (Insieme per Marijin Dvor) che avrà lo scopo di informare il quartiere su quanto sta avvenendo e discutere il progetto insieme ad altri rappresentanti delle amministrazioni coinvolte. Ma le iniziative non si fermeranno qui. “Il prossimo passo è quello di lanciare un’iniziativa anche a livello cittadino per raggiungere un coinvolgimento ancora più ampio”, precisa Alma.
Ancora non si sa quando questo progetto prenderà vita, ci vorranno forse degli anni, ma questa volta gli attivisti di Jedan Grad Jedna Borba vogliono esserci, partecipare e creare opposizione, sperando che la questione raccolga sempre più l’interesse dei cittadini.
Recuperare e rivivere spazi urbani
La città di Sarajevo sta conoscendo anche l’emergere di gruppi di attivisti che fanno degli spazi urbani un vero e proprio laboratorio di attività e socialità, per riviverli, riappropriarsene e ricreare legami e punti d’incontro tra cittadini. Dobre Kote è un gruppo informale di giovani che due anni fa ha iniziato ad attivarsi nel recupero di spazi abbandonati o lasciati all’incuria – principalmente spazi aperti, come ad esempio giardini, parchi, corti interne condivise da diversi palazzi – coinvolgendo il vicinato e la cittadinanza in generale in attività di giardinaggio, pittura, piccole ristrutturazioni.
Iniziative organizzate in diversi punti della città e che oggi il gruppo ripropone anche in altre città della Bosnia Erzegovina, assieme ad altri gruppi sensibili alla tematica degli spazi urbani e dei beni comuni.
Aprire spazi per riattraversarli e rigenerare relazioni sociali non sempre però si rivela essere un’impresa semplice, soprattutto quando su quegli spazi si concentrano degli interessi economici. E’ il caso dell’esperienza di Slobodna Zona (Area Libera). L’iniziativa ha preso avvio nel 2015, quando un gruppo di giovani si è attivato per preservare un cortile interno, comune a diversi palazzi e case, confinante con il mercato ortofrutticolo Markale.
Venuti a scoprire che un progetto di costruzione di un altro centro commerciale incombeva su quell’area, hanno deciso di mobilitarsi per salvare quello spazio che seppur piccolo, era un’oasi nel deserto di luoghi di aggregazione. E’ partita una vera e propria campagna di informazione in cui tutto il vicinato è stato portato a conoscenza del progetto ed è stata fatta girare una petizione. Nel frattempo sono state promosse varie attività – tra cui interventi di pulizia, pittura, giardinaggio, costruzione di un’area bar ed altro ancora. Al recupero dell’area hanno preso parte anche altri gruppi attivi su Sarajevo, come gli attivisti di Zajednički Grad, Dobre Kote e H:ART.
“Purtroppo tutti gli sforzi fatti non sono valsi a nulla – racconta Azra, ragazza che ha partecipato a quell’esperienza, finita dopo due anni di iniziative – abbiamo passato mesi a studiare tutte le leggi possibili per capire cosa potevamo fare da un punto di vista legale, capendo che non avevamo alcun modo per bloccare il progetto in atto”. Ma chi ha attraversato la Slobodna Zona, così era stato rinominato quel cortile, facendola rivivere e mettendoci tutte le proprie energie non si è dato totalmente per vinto, continuando a mantenersi attivo in città e confluendo nel gruppo di Dobre Kote.
Da segnalare infine le iniziative di chi vuole ricreare spazi di socialità utilizzando l’arte come mezzo di incontro. H:ART è nato l’anno scorso come gruppo informale con un’idea in mente, quella di portare l’arte dentro agli androni e per le scale di palazzi residenziali, organizzando piccole mostre di dipinti. L’iniziativa vuole contribuire a rendere l’arte un bene pubblico e dare la possibilità a giovani artisti di avere spazi dover poter esporre le proprie opere, data la difficoltà di accedere ad atéliers privati. "Ma si tratta anche di un modo per rimettere in connessione tra loro i vicini di casa – racconta Bojan, attivista di H:ART – i cui rapporti sono stati segnati dalla guerra e dal senso generale di sfiducia che quest’ultima ha portato con sé". L’idea ha riscosso particolare interesse, tanto da ricevere decine di inviti per organizzare mostre in diversi palazzi ed edifici residenziali della città, e non solo. Prossimamente l’iniziativa potrebbe sbarcare anche a Tuzla.
Tutte queste sono iniziative ancora giovani ma che danno prova di saper resistere, dimostrando che qualcosa si muove fuori dagli schemi e c’è chi non ci sta alla corruzione, al malaffare, al clientelismo, al capitalismo più sfrenato. E tutto questo non avviene solo a Sarajevo ma nell’intera regione.
* Cecilia Borrini sta svolgendo un periodo di tirocinio presso OBCT