La rapina del secolo. Breve storia delle privatizzazioni in Croazia

Alla vigilia dell’acquisto del pacchetto di maggioranza della Zagrebacka Banka, primo istituto di credito croato, da parte del consorzio italo-tedesco Unicredito-Allianz, si ripropone all’ordine del giorno la questione della regolarità del processo di privatizzazione in Croazia. Il 3 maggio, poco prima delle elezioni amministrative, il governo di centro sinistra ha varato in parlamento la legge sulla revisione della privatizzazione che costituiva una delle principali promesse elettorali dell’attuale coalizione di governo.
Articolo di Emilio Cocco, dottorando presso l’Università di Trieste.

11/06/2001, Redazione -

Alla vigilia dell’acquisto del pacchetto di maggioranza della Zagrebacka Banka, primo istituto di credito croato, da parte del consorzio italo-tedesco Unicredito-Allianz, si ripropone all’ordine del giorno la questione della regolarità del processo di privatizzazione in Croazia. Il 3 maggio, poco prima delle elezioni amministrative, il governo di centro sinistra ha varato in parlamento la legge sulla revisione della privatizzazione che costituiva una delle principali promesse elettorali dell’attuale coalizione di governo. Dal 1991 al 2000, la gestione prepotente e familistica delle privatizzazioni da parte dell’Hdz e del presidente Franjo Tudjman è stata alla base del sistema autocratico di governo nonché la causa della disastrosa situazione economica. Il danno economico inflitto dalla conduzione sconsiderata del processo di privatizzazione viene stimato attorno ai 10 miliardi di marchi tedeschi (Feral Tribune, 09/06/01), nonostante i "magnati" implicati nell’operazione criminale siano sotto processo per appena 300 milioni di Marchi, ossia il 2,5 % della cifra totale.

"La ricchezza a 200 famiglie croate"

Nel 1989, con l’apertura del mercato ai capitali privati in Jugoslavia, l’ultimo governo socialista del premier Ante Markovic ha approvato una legge sulla privatizzazione della proprietà. Secondo la normativa gli impiegati assunti dalle aziende avevano il diritto di acquistare azioni in proporzione alla lunghezza del periodo di assunzione. Secondo questo principo il quotidiano "Novi List" (Fiume), i cantieri "Viktor Lenac" (Fiume) e il quotidiano "Slobodna Dalmacija"(Spalato) hanno portato a compimento con successo i relativi processi di privatizzazione.
Con la vittoria dell’Hdz (Comunità democratica croata) alle elezioni del 1990, il processo subisce un rallentamento per l’annuncio fatto dal nuovo parlamento di un’imminente revisione della normativa.
Il "modello Hdz", applicato alla privatizzazione delle proprietà sociali (drustveno vlasnistvo) , che prevedeva la nazionalizzazione ed in seguito la rivendita a soggetti privati, ha portato ad obbiettivi opposti a quelli previsti. Invece di migliorare la produzione, aumentare la competitività ed il numero delle assunzioni il modello di privatizzazione firmato Hdz ha portato risultati contrari: diminuzione degli occupati, calo di produttività, abbattimento della ricchezza nazionale e comparsa di criminalità diffusa e non suscettibile di controllo.
A distanza di dieci anni, il processo di transizione economica nei paesi della ex-Jugoslavia si è realizzato anche in Croazia sotto forma di una rapina tra le più estese e allo stesso tempo tra le più ordinarie. Al di là delle dichiarazioni di facciata e dei richiami alle sofferenze in nome del patriottismo, le alchimie economiche del padre-padrone della patria Franjo Tudjman hanno costituito un’enorme saccheggio a spese dei semplici cittadini (Igor Lasic, "Croatie: rapine sous le couvert de la transition", trad. Persa Aligudric, in "Monitor", 05/01/01).
Secondo la nota tesi di Tudjman, il processo di privatizzazione doveva creare 200 famiglie croate ricche, politicamente vicino all’Hdz (membri, parenti, finanziatori) e leali al padre-padrone del paese. Tale strategia si è realizzata in varie tappe che hanno trasformato la proprietà sociale in proprietà pubblica, poi traferita in mani private ed infine, dopo operazioni sistematiche di saccheggio, nuovamente nelle mani dello stato.

Dall’autogestione alla nazionalizzazione

Inizialmente, i vecchi quadri dirigenti dell’autogestione socialista sono stati oggetto di una meticolosa purga politica che ha preparato il terreno alla fase di trasformazione (pretvorba). Tutti i beni sociali sono stati traformati in beni pubblici e le proprietà trasferite all’"Agenzia per la privatizzazione", poi all’omonimo ministero ed infine al "Fondo croato per la privatizzazione" (HFP). Quest’ultimo si è trovato a disposizione un enorme fortuna da valutare e rivendere a propria totale discrezione, senza assumersi alcuna responsabilità legale riguardo all’esito della privatizzazione stessa (Darko Petricic, "Kriminal u hrvatskoj pretvorbi", Abakus, Zagreb, 2000).
Grazie alla nuova legge sulla privatizzazione del 1991, circa 600.000 lavoratori hanno sfruttato la possibilità di acquistare singolarmente azioni delle ditte in cui erano impiegati (fino ad un valore di 20.000 marchi tedeschi) principalmente per acquisire un ulteriore garanzia di mantenimento del posto di lavoro e senza avere idee precise riguardo al loro ruolo futuro di piccoli azionisti. Una parte delle proprietà è stata aquisita dal "Fondo di pensionamento ed invalidità" (MIO) e un’ultima fetta cospicua dalle banche nazionali sulla base di una rivalutazione dei crediti già rimborsati. Ad esempio, secondo il settimanale "Globus" (01/06/01), la Zagrebacka Banka ha bloccato nel 1995 i conti correnti della ditta "Voce" s.p.a. per un debito contratto con la banca dalla ditta stessa. L’entità del debito, secondo la Zagrebacka Banka corrsipondeva a 50 milioni di marchi tedeschi, sulla base di una stima condotta dalla banca e contestata dalla ditta, che valutava lo stesso debito in 20 milioni di marchi. Il fallimento della "Voce", ha permesso alla Zagrebacka di riacquisire il 3% delle proprie azioni precedentemente possedute della ditta. La vicenda ha aperto una vertenza giudiziaria che giace tuttora irrisolta. Sempre attraverso un processo di rivalutazione dei crediti, la Splitska Banka ha acquisito la proprietà del quotidiano spalatino "Slobodna Dalmacija", già privatizzato prima del 1991 e poi assorbito dal HFP. Il quotidiano è stato poi ceduto (per non dire regalato) al magnate Miroslav Kutle.

I magnati (faccendieri?) dell’economia croata

In seguito alla nazionalizzazione della proprietà sociale entrano in gioco i primi "magnati" dell’economia croata, uomini d’affari anonimi, spesso piccoli imprenditori o membri della diaspora arricchitisi all’estero con sistemi di dubbia legalità. Tali magnati cominciano ad investire i loro misteriosi capitali che spesso sono incrementati da "crediti imprenditoriali" (menadzerski krediti) emessi dalle banche sulla base di lealtà politiche. Il denaro era usato per acquistare grossi pacchetti azionari dall’HFP e dal MIO ed infine dalle banche stesse. Queste ultime hanno ottenuto gran parte della proprietà attraverso vie politico-criminali, diventando pertanto delle casse a fondo perduto da cui i membri dell’Hdz e i loro alleati potevano attingere regolarmente fino al fallimento delle banche stesse. Il riacquisto delle proprietà da parte di questi misteriosi magnati avveniva in circostanze oscure e con modalità illegali sebbene non ci fosse nessuna autorità capace di intervenire in un processo che costituiva parte integrante dell’architettura politico economica di Tudjman. Il prezzo delle società e delle loro azioni era sistematicamente sottostimato, i beni suddivisi ed ipotecati, la loro produzione era abbattuta a favore di produzioni parallele ed i crediti chiesti alle banche stesse venivano sovrastimati al di là di ogni interesse ragionevole. Il risultato era l’arricchimento dei magnati ed il fallimento di molte società sane.
Il caso del già citato Miroslav Kutle, il più importante magnate croato, è forse l’esempio più significativo di questa strategia di arricchimento attraverso le privatizzazioni. Proprietario di più di 170 ditte, Kutle è stato l’artefice di una serie colossale di fallimenti, lasciando un debito di 130 milioni di marchi tedeschi alla "Slobodna Dalmacija" e 36,8 milioni di marchi alla "Tisak" società che detiene il monopolio della distribuzione della stampa in Croazia, oggi in bancarotta. Per tali malversazioni, Miroslav Kutle è oggi sotto processo al tribunale di Zagabria.
Molti magnati hanno approfittato della paura dei piccoli azionisti, spaventati per le cattive acque in cui versavano le società ormai all’orlo del fallimento. I pacchetti dei piccoli azionisti venivano acquistati dai magnati ad un prezzo fino a dieci volte inferiore del valore nominale, sicchè i lavoratori non hanno perduto solo il lavoro per il fallimento delle società ma anche il loro capitale azionario. Quest’ultimo veniva ceduto in seguito alle pressioni esercitate dai soci di maggioranza, ovvero i famosi magnati che godevano di sostegno politico e minacciavano liecenziamenti per gli impiegati "disobbedienti". Esemplare il caso della società "Vartex" leader del settore tessile, in cui le azioni venivano vendute allo 0,75% del loro valore; uno dei grandi approfittatori del crollo di "Vartex" è stato Josip Gucic che si è consegnato alla giustizia all’inizio dell’anno dopo un lungo periodo di latitanza in cui era ricercato dall’Interpol.
Una volta che le operazioni di "rapina" erano concluse le società fallite o in bancarotta venivano restituite allo stato che conserva tutt’oggi il 70% (valore reale) dell’antica proprietà sociale. Nel 1997 si avvia a conclusione il processo sconsiderato di privatizzazione; paradossalmente la legge contro il riciclaggio di denaro sporco viene approvata dopo che la maggior parte del saccheggio è stata compiuta. La legge fissa a circa 10 milioni di lire la quota di valuta trasportabile oltre confine e a 27 milioni di lire il valore massimo depositabile in banca senza dichiararne la provenienza. Sempre nel 1997 viene istituito il "Fondo per gli investimenti e per la privatizzazione" (PIF) sotto pressione della Banca Mondiale; tuttavia, i fondi sono stati destinati per la maggior parte a società insanabili, in certi casi fittizie, esistenti solo su carta. Decine di migliaia di buoni per acquistare proprietà immobialiari sono stati distribuiti ai difensori della patria (branitelji) e agli invalidi di guerra.

La difficile eredità della gestione Hdz

La coalizione di centro sinistra al governo si trova ad affrontare una situazione allarmante e non sembra possedere una strategia precisa per uscire dal circolo vizioso del sistema ereditato dalla gestione Hdz. La nuova legge sulla revisione della privatizzazione, avversata da molti esperti del settore, potrebbe ritorcersi come un boomerang contro il governo. A parere dell’economista Drazen Kalogjera (Feral Tribune, 09/06/01) la normativa potrebbe essere più dannosa che utile in quanto poco chiara e palesemente ambigua tanto nella definizione dei soggetti intitolati a chiedere la revisione, quanto in quella dell’illegalità. Molte aziende oggi produttive e competitive sul mercato potrebbero essere in questo modo bloccate fino al 1 Gennaio 2003, data entro la quale tutte le revisioni dovranno essere completate.
Oggigiorno il paese testimonia una crescita notevole di produzione (circa il 5%) che però tarda ancora a riportare la Croazia ai livelli precedenti la disintegrazione jugoslava. Il quadro economico, segnato dalla disoccupazione dilagante (circa il 22%) e alla povertà diffusa non riesce ancora ad attirare gli investimenti stranieri necessari per uscire dalla fase recessiva. Il capitale estero arriva in Croazia principalmente attraverso il settore bancario e commerciale e sono ancora pochi gli imprenditori avventurosi che si arrischiano nel campo della produzione a causa di una situazione favorevole dal punto di vista legislativo ma estremamente difficile per le condizioni di gestione.
In queste condizioni, il turismo rappresenta un settore in espansione ed una risorsa interessante per il futuro della Croazia. Recentemente, un rinnovato interesse verso l’acquisto dei beni costieri è maturato anche da parte italiana. Il mese scorso l’azienda "Oasis sottovento" fondata in Croazia da due imprenditori italiani si è impegnata a costruire un complesso turistico nell’isola di Krk entro il 2003 (ANSA 10 Mag). Di recente anche la ditta Medecenter Container Terminal, di Gioia Tauro, e il Porto di Fiume hanno firmato un accordo di consulenza che prevede la partecipazione italiana all’attività del più importante porto croato(ANSA 31 Mag.). Degna di nota anche la vendita su "internet" di complessi alberghieri sparsi sulle coste adriatiche ed appartenenti a banche o aziende croate, così come la costruzione di una piccola catena di alberghi situati nei fari delle isole dalmate.
Resta il fatto che l’indice di produzione industriale in Croazia è diminuito del 40% rispetto al 1991 il paese importa ogni genere di materie, rivendute sul mercato a prezzi esorbitanti in rapporto al salario medio. In tempo di guerra tale dato veniva giustificato attraverso i trasferimenti di fondi alla difesa, con la diminuzione della vendita al dettaglio e la chiusura della frontiere con la B-H e la Repubblica Jugoslava. Oggi appare chiaro che nonostante i tentativi delle autorità di giustificare la crisi richiamandosi alle difficoltà del periodo post-bellico, il paese abbia subito i danni maggiori per la gestione politico-economica della vecchia classe dirigente piuttosto che per il fuoco dei mortai.

Note

1) Ricordiamo che in Jugoslavia, a differenza di altri paesi socialisti, la proprieta’ dei beni non era statale bensi’ sociale, sulla base del principio dell’autogestione dei lavoratori.

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