La quarta colonna

I successi politici e commerciali del presidente serbo Boris Tadić a Pechino. Storia e motivazioni di un’amicizia che continua ininterrotta dall’era Milošević. Le quattro direttrici della politica estera serba, in autunno a Belgrado il presidente russo Medvedev

27/08/2009, Marco Abram -

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Pechino, la Città Proibita (Foto Oldtasty, Flickr)

Sono mesi impegnativi per la diplomazia serba. A maggio Belgrado ha ospitato il vice presidente americano Joe Biden, mentre è stata confermata per l’autunno la visita del presidente russo Medvedev. Il Presidente Boris Tadić, intanto, è appena rientrato da un’importante visita di Stato a Pechino, dove nei cinque giorni scorsi (20-24 agosto) sono state raggiunte intese significative sul piano politico e soprattutto economico.

Tadić, alla vigilia della partenza, ha sottolineato l’importanza di questo appuntamento estivo elevando la Cina a "quarta colonna" della politica estera serba – insieme a Washington, Mosca e Bruxelles – e definendo le relazioni odierne tra i due paesi "ai massimi livelli nella storia".

In realtà l’intesa tra i due paesi affonda le proprie radici negli anni ’90. L’ostilità che aveva caratterizzato i rapporti tra Cina e Jugoslavia socialista – in particolare fino all’avvento al potere del successore di Mao, il riformatore Deng Xiaoping – lasciò il posto, dalla fine degli anni ’70, ad un periodo di riavvicinamento. Fu tuttavia Milošević, sostenuto dall’influente moglie Mirjana Marković, a stringere forti legami con il paese asiatico e ad avviare una prima cooperazione volta a rispondere alla condizione d’isolamento internazionale del paese. Eredità ben visibile rimane la Chinatown di Belgrado, dove oggi abitano decine di migliaia di immigrati cinesi giunti in città grazie alle aperture di quegli anni.

Nel corso della guerra con la Nato del 1999 Pechino fornì alla Jugoslavia appoggio diplomatico, a maggior ragione dopo il bombardamento dell’ambasciata cinese che strinse ulteriormente l’amicizia tra i due paesi. I rapporti non mutarono nemmeno con il 2000 e l’avvento al potere di Koštunica. "La Cina rispetta la scelta del popolo jugoslavo" affermò Pechino, anche se non mancarono voci che davano il paese asiatico come meta di un Milošević in cerca di asilo.

L’asse politico tra Pechino e Belgrado, è stato ripetuto nel corso degli incontri di questi giorni, si fonda su una solida comunanza di vedute rispetto ai problemi di sovranità, condivisi da entrambi i paesi. La Serbia riconosce la legittimità della politica "un’unica Cina", mentre Pechino sostiene l’impegno serbo per la salvaguardia della propria integrità territoriale. D’altra parte in Cina, paese dalle decine di minoranze etniche, l’indipendenza del Kosovo ha insinuato la paura che le potenze straniere possano un giorno sostenere le richieste del Tibet o della regione musulmana dello Xinjiang. A ciò si aggiunge la questione di Taiwan, il cui governo è stato tra i primi a congratularsi con Priština dopo la dichiarazione d’indipendenza.

Belgrado si è impegnata a mantenere una ferma chiusura nei confronti del governo di Taiwan, mentre Pechino si è detta pronta a far valere il proprio peso nelle istituzioni internazionali, per arrivare ad una soluzione alla questione del Kosovo condivisa da entrambe le parti e non lesiva del diritto internazionale e dei principi di sovranità.

Queste convergenti prese di posizione sono rientrate in un accordo di ampia collaborazione strategica firmato da Tadić e dal presidente cinese Hu Jintao. Tuttavia non sono state le questioni strettamente politiche a rappresentare la sostanza dei colloqui. Gli ultimi anni, infatti, hanno visto una moltiplicazione degli incontri diplomatici a più livelli tra i due paesi – solamente Tadić è stato a Pechino tre volte negli ultimi quattro anni – con l’obiettivo fondamentale di tradurre tale convergenza politica in una proficua collaborazione economica.

In questa occasione hanno seguito Tadić, oltre al ministro degli Esteri Jeremić, il ministro dell’Economia Dinkić e una folta delegazione di imprenditori. L’obiettivo fondamentale era infatti lavorare per portare in Serbia gli investimenti di una delle potenze economiche maggiori al mondo attraverso un programma fitto di incontri con diverse realtà economico-finanziare. Il risultato più concreto, da questo punto di vista, è stato rappresentato dalla firma da parte di Dinkić e del ministro del Commercio cinese di un accordo di cooperazione economica e commerciale.

Gli effetti di questo nuovo corso potrebbero essere presto direttamente visibili proprio nella capitale serba. Il primo passo della nuova cooperazione sarà probabilmente la costruzione dell’atteso ponte sul Danubio che dovrà collegare Zemun e Borča. Visti i limiti del mercato serbo come bacino di consumatori saranno proprio le infrastrutture a rappresentare il settore più significativo di una collaborazione consolidata dal quadro di ottime relazioni politiche. "Il nostro governo è pronto a dare alle compagnie edili cinesi accordi infrastrutturali per un miliardo di euro. Solamente a Belgrado pianifichiamo la costruzione di cinque ponti sul Danubio e sulla Sava", ha dichiarato Tadić, sottolineando come la Serbia sia destinata a somigliare sempre più ad un grande cantiere nei prossimi tempi.

La delegazione serba ha passato un paio di giorni a Shanghai – città che ospiterà l’EXPO 2010 – dove si sono tenuti incontri con i rappresentanti del mondo economico locale. Si è discussa la possibilità di nuove forme di investimento nel paese balcanico che ha confermato la propria partecipazione alla manifestazione del prossimo anno. A Shanghai saranno rappresentati i paesi economicamente più forti del mondo e quelli con il maggiore potenziale di sviluppo e buone condizioni per gli investimenti stranieri. A tale riguardo, Tadić ha precisato: "Non potremo allinearci con gli altri paesi per il denaro che investiremo nella presentazione, ma potremo certamente competere alla manifestazione sul piano delle idee".

A conclusione degli incontri. il presidente serbo ha parlato di visita dai significati storici e di un successo per entrambi i paesi. Belgrado sembra avviarsi a divenire un’importante testa di ponte per una Cina che, secondo molti analisti, sta cercando di ampliare la propria influenza nel continente europeo attraverso i paesi economicamente emergenti e proiettati verso l’integrazione nell’UE. La Serbia, in virtù della propria posizione strategica nella regione e degli ottimi rapporti diplomatici, ha quindi ottenuto una partnership strategica che la grande potenza economica ha accordato a pochi paesi al mondo. Tadić, parlando con i giornalisti, non ha mancato di far notare come siano molti quelli in attesa per ottenere accordi di tale peso.

Belgrado, pur mantenendo prioritario l’obiettivo dell’integrazione europea, sembra quindi intensificare gli sforzi verso il consolidamento di una articolata politica estera autonoma. Non a caso, prima della partenza per la Cina, è stato sottolineato più volte come l’ingresso nell’UE non muterà il carattere dei rapporti diplomatici che si stanno perfezionando in questo periodo.

L’idea sembra quella di far valere la propria posizione strategica e – in un momento di ridefinizione degli assetti geopolitici globali – di maturare l’eterogenea rete di relazioni che il paese ha sul piano economico e politico. Non poteva mancare quindi uno dei poli più importanti nel quadro delle relazioni internazionali odierno come la Cina che, attraverso gli accordi economici e i ricorso a strumenti di soft power, sta cercando di contendere l’influenza agli Stati Uniti in realtà emergenti e in via di sviluppo.

Bruxelles e Washington, ma anche Pechino e Mosca quindi. Ora a Belgrado si attende la visita di Medvedev che sarà anch’essa volta a perfezionare una collaborazione strategica su più livelli tra i due paesi. Tra le priorità l’accelerazione dell’attuazione degli importanti accordi di carattere energetico, relativi a petrolio e gas, firmati nel corso della visita di Tadić a Mosca nello scorso dicembre.

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