La partita bosniaca
Lo scontro in corso in Bosnia Erzegovina tra l’Alto Rappresentante Inzko e le istituzioni della Republika Srpska. La posizione della comunità internazionale, il futuro del Paese. Conversazione con Senad Pećanin, direttore del settimanale Dani
In questi giorni stiamo assistendo ad un nuovo scontro tra la comunità internazionale e le autorità della Republika Srpska. Secondo diversi osservatori l’ultima crisi si è chiusa con un rafforzamento del premier Dodik e la sconfitta dell’Alto Rappresentante Lajčák. Il suo successore Inzko è in una posizione diversa?
Sì, nel senso che è cambiato l’atteggiamento di uno degli attori principali delle politiche della comunità internazionale in Bosnia Erzegovina. L’amministrazione Obama ha un approccio molto diverso da quello dell’amministrazione precedente. Nel periodo Bush, specie durante il secondo mandato, la Bosnia non poteva contare su nessun sostegno da parte statunitense. Ora le cose sono cambiate, anche se si tratta di un processo ancora in corso e gli americani non hanno ancora definito chiaramente le proprie strategie. Il problema principale, tuttavia, è che c’è un conflitto in atto tra l’approccio dell’amministrazione Obama e quello europeo.
Gli europei non sostengono Inzko?
Ci sono forti resistenze all’interno dell’Unione Europea rispetto ad un maggiore coinvolgimento in Bosnia. Ci sono sforzi da parte di alcuni Paesi, come la Francia, per arrivare ad una rapida chiusura dell’Ufficio dell’Alto Rappresentante (OHR).
Questa è anche la posizione russa…
Certo, da tempo. Sulla posizione di Mosca non ci sono dubbi. Ma ci sarà un nuovo impulso a queste posizioni durante la prossima presidenza dell’Unione, che sarà svedese. Per il ministro degli Esteri Carl Bildt uno degli obiettivi principali del proprio mandato è la chiusura dell’OHR.
Quali conseguenze avrà la chiusura dell’OHR?
Credo che si aprirà una fase molto rischiosa per la stabilità e l’unità della Bosnia Erzegovina.
Perché?
Negli ultimi due anni la politica del leader serbo bosniaco Milorad Dodik sta mettendo in discussione in maniera sempre più aperta l’esistenza del Paese, parlando apertamente di un referendum e della secessione della Republika Srpska (RS). Su questo non c’è stata una risposta chiara da parte delle istituzioni internazionali, e questa idea ha acquisito sempre maggiore legittimità.
Finora però le risposte date dalla comunità internazionale tramite l’utilizzo dei cosiddetti poteri di Bonn, che permettono all’OHR di imporre leggi e rimuovere funzionari, non sembrano dare risultati chiari…
Possiamo concordare sul fatto che l’utilizzo dei poteri di Bonn non rappresenti lo strumento migliore per preservare la stabilità del Paese e accelerare il percorso di integrazione nell’UE e nella Nato. Credo però che la mera esistenza di quei poteri rappresenti l’ostacolo principale a sfide molto più radicali nei confronti della sovranità della BiH e contro gli Accordi di Dayton.
Se lei fosse Inzko come agirebbe?
Il problema è che la posizione della comunità internazionale non è chiara. L’amministrazione americana stava considerando molto seriamente la possibilità di nominare un proprio rappresentante speciale per i Balcani, ma c’è stata una resistenza enorme da parte dell’Unione Europea. Potrei capire questa posizione se gli europei avessero una chiara posizione comune sulla Bosnia, ma sfortunatamente non ce l’hanno. Se manterranno l’idea di chiudere l’OHR entreremo in un periodo di grande instabilità. Ci sarà una situazione di blocco nel funzionamento delle istituzioni statali, nella pratica la dissoluzione dello Stato dal punto di vista istituzionale, e poi si aprirebbero tutti gli scenari possibili incluso il ritorno ad una situazione di aperto conflitto.
Eppure Solana ha evocato recentemente la possibilità di una fine della stessa missione militare EUFOR…
Senza l’OHR e senza l’EUFOR ci saranno grosse difficoltà per la stabilità dello Stato.
Però la missione dell’OHR non può andare avanti in eterno…
Guardi, io condivido la posizione espressa ieri mercoledì, ndr dai rappresentanti del Partito Socialdemocratico, secondo cui la missione dell’OHR dovrebbe continuare almeno fino alla conclusione del processo di cambiamento della Costituzione bosniaca. Le condizioni espresse dalla comunità internazionale per la chiusura dell’OHR i cosiddetti 5 obiettivi + 2 condizioni, ndr sono solo cosmesi, in assenza di un serio processo di revisione costituzionale. Con la Costituzione attuale lo Stato non può funzionare. E’ quanto affermano le risoluzioni del Parlamento Europeo, della Commissione di Venezia, del Consiglio d’Europa e del Congresso Americano. Il modello di voto attualmente in vigore in Parlamento blocca qualsiasi possibilità di lavoro efficiente e funzionale.
Cosa pensa del cosiddetto processo di Prud, il tentativo di arrivare a delle riforme tramite l’accordo dei tre partiti SDA (bosgnacco), HDZ (croato bosniaco) e SNSD (serbo bosniaco)?
Niente di buono. I tre principali attori, Tihić, Dodik e Čović, avevano obiettivi e ragioni personali per essere parte di quel percorso, non c’è un reale intento riformatore. A Dodik in particolare quell’accordo serviva per mostrare alla comunità internazionale che i leader bosniaci potevano trovare un consenso tra di loro senza la necessità della presenza dell’OHR. Il suo obiettivo principale in questo momento è la chiusura dell’OHR, su questo non ci sono dubbi. Tihić è entrato a far parte di questo percorso per affermarsi come rappresentante unico dei bosgnacchi e squalificare il proprio principale competitore, Haris Silajdžić. Ora peraltro sembra essersi chiamato fuori.
Come si arriva alle riforme costituzionali allora?
Senza il pieno coinvolgimento della comunità internazionale sarà impossibile modificare la Costituzione.
L’impulso impresso dalla nuova amministrazione americana verso un più forte impegno nei Balcani rappresenta quindi una buona notizia?
Assolutamente sì. Il problema tuttavia sono le divisioni in seno alla comunità internazionale e il pieno sostegno garantito alle posizioni del premier della RS, Dodik, da parte della Russia e di alcuni importanti Stati membri dell’UE.
Quali?
La Francia, la Svezia, la Spagna e la Grecia, mentre credo che la Gran Bretagna mantenga grosso modo lo stesso approccio degli Stati Uniti. Questa posizione è rappresentata da Solana.
Qualche giorno fa William Montgomery, ex ambasciatore USA in diversi Paesi della regione, ha sostenuto in un editoriale sul New York Times (The Balkan Mess Redux) la necessità della divisione del Kosovo sulla linea dell’Ibar e dell’indipendenza della RS, sostenendo che "è inutile pensare che i balcanici ragionino come noi, questo non accadrà". Come commenta?
Quell’articolo ha suscitato moltissimo dibattito qui, in Bosnia, e nella regione. Credo che Montgomery abbia dato una prova eccellente di razzismo rispetto ai Balcani. Anche se devo dire che lui, in un certo senso, basandosi sull’analisi della politica serba in Bosnia Erzegovina negli ultimi due anni, trae la corretta conclusione che la direzione verso cui si sta andando è quella della disintegrazione del Paese. Solo che il problema ora sembra essere non tanto il fatto che stiamo andando in quella direzione, ma che qualcuno si sia reso conto che quello è l’esito finale del processo in corso.
Perché la Bosnia Erzegovina dovrebbe restare unita?
In primo luogo credo che la divisione del Paese non sarebbe giusta, rappresenterebbe la ricompensa per la pulizia etnica e il genocidio. Ci sono inoltre altri due problemi. La divisione non avverrebbe in modo pacifico, questo è assolutamente impossibile. E’ un risultato che non potrebbe essere ottenuto senza una nuova guerra. La parte della Bosnia Erzegovina a maggioranza croata inoltre dovrebbe avere lo stesso diritto di quella serba, e quindi staccarsi a sua volta e eventualmente unirsi alla Croazia. Infine verrebbe creata una specie di Gaza europea per i musulmani bosniaci. Sarebbe un messaggio chiaro per i radicali musulmani, una conferma per quanti affermano che la comunità internazionale non ha fatto niente in tre anni e mezzo per fermare la guerra, gli assassinii di massa, le espulsioni e deportazioni di centinaia di migliaia di persone perché in realtà era tutto un’unica grande cospirazione dei cristiani contro i musulmani.
Il risultato ultimo sarebbe quindi la creazione di una Repubblica islamica?
Sì, radicale. Lo scenario peggiore per i bosgnacchi. Uno Stato islamico radicale, guidato dal clero.
Uno dei problemi principali che la società bosniaca si trova ad affrontare, e che è sempre presente sui media, è quello dei crimini di guerra. Mi sembra che ci sia una crescente consapevolezza da parte dell’opinione pubblica che la stragrande maggioranza dei crimini non verranno puniti, e questo ormai non viene più considerato come uno scandalo ma come un semplice fatto. E’ così?
La dimensione e il numero dei crimini commessi durante la guerra sono enormi. Anche uno Stato molto più organizzato politicamente ed economicamente avrebbe difficoltà ad affrontare questo problema, figuriamoci la Bosnia che ha problemi istituzionali, di stabilità, finanziari e di volontà politica.
Ci sono altre soluzioni per affrontare il problema oltre a quelle offerte dalla giustizia e dai tribunali tradizionali, commissioni per la verità e la riconciliazione ad esempio?
Dipende tutto dalla politica. Finché i politici sosterranno le persone accusate o giudicate per crimini di guerra, presentandoli come eroi nazionali, non ci sono soluzioni. Non è un problema che riguarda solamente la parte serba. Quando ad esempio Naser Orić è rientrato in Bosnia dopo aver scontato la condanna inflittagli dal Tribunale dell’Aja, è stato ricevuto alla Presidenza da Sulejman Tihić. I leader croati fanno lo stesso, inneggiando a persone indagate o condannate dall’Aja. Inoltre il ruolo svolto dalle Chiese, quella ortodossa e quella cattolica, e dalla comunità islamica, è pessimo. Loro rappresentano gli ostacoli principali alla riconciliazione, diffondono il nazionalismo, celebrano i criminali di guerra.
Quindi lei non vede altre possibilità al di fuori dei tribunali tradizionali?
Se non ci fossero al potere i nazionalisti potrebbero avvenire processi diversi, di tipo riconciliativo, commissioni per la verità e la giustizia. Ma solo con politici diversi che dessero messaggi di tipo diverso alla popolazione. Ricordo ad esempio l’importanza della dichiarazione fatta dall’allora presidente della RS, Dragan Čavić, su Srebrenica…
Dopo la pubblicazione del rapporto della Commissione della RS, nel 2004?
Sì. Si era trattato di una dichiarazione molto coraggiosa, il gesto di un politico responsabile. Se ci fossero più dichiarazioni di questo tipo, anche da parte bosgnacca e croata, questo cambierebbe completamente l’atmosfera nel Paese. La gente guarda ai propri leader, e quando i leader sostengono i criminali di guerra non ci si può aspettare che le società si confrontino con il passato.
Che effetto hanno avuto sull’opinione pubblica bosniaca le immagini di Mladić recentemente mostrate dalla televisione della Federazione?
Gli spettatori le hanno considerate come la prova che la Serbia ha avuto migliaia di possibilità per arrestare Mladić, ma che semplicemente continua a proteggerlo. Sfortunatamente l’approccio della Serbia nei confronti della Bosnia Erzegovina non è cambiato quanto è cambiato ad esempio quello della Croazia dopo la fine di Tuđman.
Passiamo ad un personaggio positivo… Secondo lei vedremo presto Edin Džeko giocare in Italia?
Eh he, Džeko è un vero eroe bosniaco e un idolo per molte generazioni. E’ cresciuto a Sarajevo durante la guerra e giocava a calcio nelle pause dei bombardamenti… Quando era al Željezničar c’era chi lo criticava, ma adesso ha trovato il giusto successo, sarebbe fantastico se andasse al Milan.
Potrebbe essere lui il giocatore che porterà la nazionale bosniaca in Sudafrica?
Sarebbe bellissimo. Ci sono anche altri ottimi giocatori, come Misimović… Vede, per noi qualsiasi tipo di successo sarebbe importantissimo. Se penso agli anni passati dalla fine della guerra, sono stati solo quattro i momenti di vera felicità, in cui sono stato davvero orgoglioso di essere bosniaco.
Quali?
Nel ’97, quando la nostra nazionale di basket ha sconfitto la Croazia nelle qualificazioni per gli europei; quando Danis Tanović ha vinto l’Oscar; quando abbiamo nuovamente sconfitto la Croazia a pallacanestro, in Croazia, e infine quando Jasmila Žbanić ha preso l’Orso d’oro a Berlino. Quattro volte, in 14 anni…