La mia vita lungo l’Ibar
Kema, come lo chiamano a Mitrovica, è in ansia. La sua è una delle poche famiglie albanesi che vivono ancora a Mitrovica nord. Tra poco l’inviato Onu renderà pubblica la sua proposta per lo status futuro del Kosovo. Kema lo sa, la sua città è uno dei punti caldi delle trattative. Un reportage
Mitrovica è una delle città del Kosovo conosciuta per il fatto che il vento, durante l’inverno, non ha alcuna pietà. Kemajl Huremaliq, ha deciso di accompagnarci nella parte Nord di questa città divisa. Lui abita proprio lì anche se passa gran parte della sua giornata nella parte Sud, alla biblioteca cittadina, dove lavora.
La sua vita è trascorsa lungo il fiume Ibar. Kema, come lo chiamano a Mitrovica, è però in ansia, come altri cittadini che vivono sul suo stesso lato del fiume. Tra qualche giorno Martti Ahtissari, inviato Onu per i negoziati sullo status del Kosovo, renderà pubblica la sua proposta per lo status futuro del Kosovo. Kema lo sa, Mitrovica, la sua città, è uno dei punti più caldi delle trattative.
Come verrà risolto il problema di questa città divisa e della parte Nord, da sette anni sotto controllo serbo? Lui, albanese, sarà obbligato a lasciare la sua casa? La divisione di fatto attuale verrà formalizzata?
Passiamo il ponte. Un poliziotto Unmik indiano esegue il solito rituale: controlla i documenti della macchina e poi ci fa passare. "I poliziotti kosovari imparano dal loro collega asiatico come si devono controllare i documenti delle macchine", commenta Kema. Dal ponte, paradossale simbolo della divisione della città, era stato tolto per un certo punto il posto di blocco di KFOR e polizia. Poi ripristinato. Kema, nonostante la loro presenza, si sente insicuro e quando torna dal lavoro preferisce passare da un ponte pedonale, poco distante.
Al di là dell’Ibar
La prima cosa che ti colpisce è che sembra di entrare in uno stato diverso. Macchine vecchie, senza targhe o con targhe di città serbe circolano senza problemi. Alcuni ti guardano storto passando con una macchina con la targa KS, Kosovo.
Poche decine di metri per arrivare a destinazione, i tre grandi grattacieli dove vivono le 27 famiglie albanesi di Mitrovica Nord. Poche centinaia di metri quadrati, il loro "territorio libero".
Ci troviamo di fronte a tre edifici di dieci piani ciascuno, lo stile è socialista, la razionalità anche: pochi metri quadrati occupati, molte famiglie con una casa.
Alcuni bambini serbi giocano nelle scale dei palazzi. Halit Balaj è uno degli abitanti più anziani dei tre grattacieli. Sulla porta del suo appartamento non vi è un nome, solo un numero. Anche le altre porte non hanno scritto alcun nome all’ingresso. E lo stesso avviene per gli appartamenti dove vivono delle famiglie serbe. ""Questa è la misura numero uno per la sicurezza", racconta Halit, 75 anni.
E la misura numero due? "E’ questa", e ci mostra una seconda porta in ferro dietro alla prima. Non si scherza in questa zona. Tutti vivono ancora nella paura dei cecchini e ognuno ha fatto il massimo per rendere le proprie case dei luoghi sicuri.
Zymreti, la moglie di Halit, all’inizio non è molto amichevole. I giornalisti fanno parte di quel gran numero di persone che ha loro creato forti delusioni. E’ vestita in nero. Suo figlio, Luani, è uno degli undici giovani maschi del palazzo rapiti ed uccisi dai militari serbi l’ultimo giorno di loro presenza in Kosovo, nel 1999.
Il cadavere di suo figlio è stato poi ritrovato nel fiume Sitnica. I suoi tre bambini ora vivono con i nonni. Un racconto che si può sentire spesso. In tutto il Kosovo.
I due anziani sono in particolare preoccupati dai nuovi abitanti del palazzo. Gli albanesi stanno progressivamente vendendo infatti i loro appartamenti. "Hanno aspettato per sette anni, potevano anche aspettare qualche giorno in più", commenta Zymret.
Subito dopo la guerra abitavano nel loro palazzo solo tre famiglie serbe, ora rappresentano la metà dei residenti nel palazzo. "Ci sentiamo sempre più insicuri perché i serbi adesso sono anche dietro le nostre spalle. Se accade qualcosa là fuori, e a Mitrovica Nord accadono spesso incidenti, non possiamo nemmeno chiudere il portone principale dell’edificio".
Ogni cosa che Halit e Zymret raccontano è in relazione con i serbi. E’ una vita difficile la loro, e spesso vengono provocati. "Non molto tempo fa mi hanno tagliato le antenne della televisione, quattro volte di seguito in un solo mese".
Con i vicini serbi non scambiano parola. Ma non è lo stesso con i bambini. "Qualche volta nostra nipote chiede alla sua amica serba di comperarle qualcosa nei negozi serbi della città, perché ha paura ad andarci".
In merito alla presenza militare internazionale KFOR, qui sono di stanza i francesi, la considerano una "maledizione". Ma non sono più contenti di quanto fatto dalle istituzioni kosovare. Da sette anni si sentono abbandonati da tutti.
L’ultima a morire è la speranza, commentano malinconici, aspetteremo sino a quando verrà definito lo status del Kosovo. Ma sanno bene che nessuno arriverà a risolvere la situazione con una bacchetta magica.
La pulizia etnica soffice
Le case e gli appartamenti degli albanesi nei pressi del fiume Ibar sono quasi tutti in vendita. "Mala Albania" (piccola Albania) – come chiamavano i serbi questa zona prima della guerra – praticamente non esiste più.
Sono le stesse istituzioni di Belgrado ad acquisire queste case, che poi vengono concesse gratuitamente per tre anni alle famiglie serbe che decidono di trasferirvisi. Il prezzo medio degli appartamenti è di 18.000 – 20.000 euro.
"Il governo della Serbia sta comperando questi edifici perché vuole di fatto tagliare l’accesso, da Mitrovica, al villaggio di Suhadoll e mettere quindi de facto il confine là. In quel villaggio abitano albanesi, anche un nostro ex premier ha una casa là, ora è occupata ed è diventata la sede della Facoltà di economia per gli studenti serbi. Al suo fianco stanno anche costruendo un convitto" spiega Hajrullah Mustafa, un intellettuale cittadino.
"Gli albanesi che in passato vivevano nel nord della città, ora vivono nel sud, spesso in affitto. Il governo del Kosovo non ha dato loro alcun aiuto per affrontare questa situazione sino a quando verrà definito lo status finale".
Per lui è inaccettabile che due interi quartieri, Lagjia e Minatoreve e Kroi i Vitakut non siano stati ricostruiti dopo la guerra. "Essendo Mitrovica una città divisa pensavamo che l’attenzione del governo e delle autorità kosovare si sarebbe concentrata su questa città. Non è stato così. La città è ormai divisa e sempre più spesso sia nei media internazionali, ma anche in seno alle istituzioni kosovare, viene citata come simbolo di una convivenza impossibile. Il processo di decentramento continuerà e verranno create due differenti municipalità, su base etnica, una per i serbi e l’altra per gli albanesi".
La Serbia si sta muovendo per ottenere il massimo possibile dal processo dei negoziati e questo probabilmente significherà grande autonomia per il Kosovo del nord. I legami tra questa parte del Kosovo e la Serbia non verranno ridotti, ma rinforzati. E Mitrovica rischia di non essere solo una città divisa, ma addirittura in due Stati diversi.