La (mia) guerra in casa
"Non riesco a dormire, e se mi addormento faccio incubi. L’unico pensiero fisso è la guerra. La guerra in casa. Sì, perché l’Ucraina è casa mia". Un intenso testo di chi per noi ha corrisposto per anni da Kiev, ora costretta in Italia
Sono al sicuro, lontanissima da bombe, missili, granate, soldati e carri armati. Eppure è come se sentissi fischi e rimbombi dentro la mia testa, istante dopo istante. Non riesco a scrivere, non riesco a concentrarmi per più di due minuti, non riesco a distrarmi, non riesco a seguire le conversazioni intorno a me, che mi sembrano tutte futili e senza senso. Non riesco a dormire, e se mi addormento faccio incubi. L’unico pensiero fisso è la guerra. La guerra in casa. Mai e poi mai mi sarei aspettata di citare questo libro di Luca Rastello per descrivere questo periodo della mia vita e rivivere quelle immagini sfocate della guerra nei Balcani in un altro paese un po’ più a est. Una tragedia che si ripete alle porte d’Europa e, questa volta, in quella che è un po’ casa mia; una casa che non so quando, come e se mai rivedrò. Sì, perché l’Ucraina è casa mia, è quel “luogo ideale, per me, in cui è più naturale vivere da straniera” (Italo Calvino ha la citazione perfetta). E quell’Ucraina che mi ha accolto a braccia aperte, che mi ha fatto ridere e piangere nella pazzia e nel disagio degli ultimi cinque anni, che mi ha regalato amici e conoscenti a dir poco unici, avventure ed esperienze indescrivibili, ora sta lottando per la propria vita. E lo sta facendo da sola, abbandonata dal mondo intero al suo destino.
Il popolo ucraino è costantemente sotto attacco su più fronti. Colpi di mortaio, bombardamenti e razzi stordiscono e distruggono le principali città e villaggi del paese da una settimana. Una settimana che pare lunga un secolo, ma dove ogni attimo è fatale. Tanto che il telefono non mi abbandona per un secondo perché è l’unico mezzo che mi permette di seguire le notizie in tempo reale e di sapere se la mia gente è al sicuro. E mentre la mia gente laggiù sussulta per il suono della sirena che la invita a scendere nei rifugi antiaerei, in cantina o nella metropolitana che funge da bunker per mettersi a riparo, io ricevo le notifiche dall’app dei trasporti urbani di Kiev/Kyiv che non mostra più orari né vende più biglietti, ma regala un servizio tempestivo di informazione allarmante.
Sotto assedio, i miei ucraini rimangono più uniti che mai. Consapevoli del fatto che devono cavarsela da soli, quelli che sono rimasti hanno raccolto le proprie difese e si sono organizzati per affrontare l’aggressore con una forza e un coraggio a dir poco ammirevoli: riuscireste a crederci che alcuni si sono messi a marciare in direzione di un carro armato nemico per respingerlo a mani nude, lanciando giusto un paio di bottiglie Molotov improvvisate? O a un contadino che lega un carro armato al suo trattore e se lo porta via, mentre il soldato di turno lo rincorre inutilmente? In nome della libertà, della democrazia e della sovranità territoriale, in nome di quei valori europei che noi occidentali privilegiati diamo ormai per scontati, gli ucraini restano uniti, compatti – tutto il contrario di quello che si potrebbe dire sulle prime reazioni dei paesi europei, che arrancano per trovare una linea comune su come e quando agire.
Ma cos’è che rende forte la mia Ucraina, che la rende così coraggiosa e di cui mi sento fiera e orgogliosa? Innanzitutto: la rabbia. Una rabbia finora repressa perché nessuno ha mai desiderato allargare e prolungare quel conflitto che durava da otto anni nei territori orientali e trasformarlo in una guerra su larga scala. Anzi. La decisione di lunedì 21 febbraio del presidente russo Vladimir Putin di riconoscere l’indipendenza delle repubbliche del Donbas è stata, in un certo senso, inaspettata. Ma non perché sembrava impossibile, no. Era semplicemente considerata una scelta troppo facile e quindi improbabile, un’opzione a cui nessuno era preparato. Preparato per quello che sarebbe accaduto dopo. No, non ci si aspettava né un decreto ufficiale che riconoscesse l’indipendenza alle repubbliche separatiste, né un lungo discorso ufficiale (o meglio, una lezione di storia completamente rivisitata) del presidente Putin volto a spiegare le motivazioni dell’invio di truppe russe in quei territori e l’evacuazione della popolazione di Donetsk e Lugansk. E non ci si aspettava di certo l’inizio di tale guerra, che si è sempre voluta evitare a (quasi) tutti i costi. La concentrazione di truppe russe lungo i confini e la minaccia di invasione erano dunque un’operazione di copertura per questa reale invasione di massa e un cambio di regime a Kiev, che nessuno era stato in grado di prevedere?
Sono molti gli interrogativi che si sovrappongono da quando Putin ha deciso di invadere l’Ucraina adottando una retorica di “denazificazione”. Ma chi sono qui i nazisti? E, soprattutto, a chi conviene questa maledetta guerra?
Oggi è il mio compleanno. I primi messaggi sono arrivati proprio dai miei amici ucraini, che nonostante le bombe, mi mandano il loro pensiero di auguri corredato da un “Siamo tutti interi. Ci aggiorniamo”.
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