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La masseria delle allodole: un’intervista
Un film, tratto dal romanzo omonimo di Antonia Arslan, che segna il ritorno dietro la macchina da presa della coppia di registi più celebre del cinema italiano. Un incontro con i fratelli Taviani
Come siete venuti a conoscenza del romanzo di Antonia Arslan e perché avete deciso di farlo diventare un film?
Vittorio Taviani: "Facciamo tutto insieme, di diverso abbiamo solo le mogli e le famiglie. Abbiamo letto qualcosa sui giornali poi ci siamo passati il libro. Ci ha interessato perché era una storia importante e vicina all’Italia ma ci si era passati sopra. Paolo aveva una donna delle pulizie che diceva di essere armena e accennava a questi fatti ma non le avevamo mai dato troppo peso. E avevamo un senso di colpa per non averla mai presa troppo in considerazione. La Arslan raccontava la storia palpitante della sua famiglia. Ma c’era qualcosa in comune con il nostro cinema: gli eccidi, la guerra tra popoli che convivono. È una storia ancora molto attuale e rappresentativa di quanto è accaduto in anni recenti in Kosovo, in Bosnia, in Rwanda o in Darfour. Ci colpisce molto quando i vicini di casa si uccidono fra loro. È una delle cose più cupe dell’umanità. È un film che abbiano potuto fare in grande libertà. Facendolo avevamo la sensazione che fosse la cosa più contemporanea da fare ora".
Avete scelto di restare fedeli al libro o l’avete rivisto liberamente?
Paolo Taviani: "In passato abbiamo tradito Tolstoj e Pirandello, perché il cinema ha un linguaggio diverso dalla letteratura. Scomponiamo un libro in tante parti e lo ricomponiamo come film che è una cosa distinta. Il nostro compito non è illustrare il libro. Nel libro non c’era la scena delle due donne costrette a liberarsi del bambino. Abbiamo trovato gli appunti di una donna armena che raccontava questa cosa. Lo uccidevano schiacciandolo e soffocandolo schiena contro schiena per non guardarlo e quasi confonderlo nel ventre della madre. Alcune scene le abbiamo mostrate, altre sono suggerite. Abbiamo girato quasi tutto con macchina fissa, cercato riprese abbastanza oggettive seguendo il nostro solito modo di girare".
Già prima della proiezione il film ha suscitato polemiche e qualche protesta da parte turca …
Vittorio: "Non volevamo fare un film contro la Turchia bensì contro quello che fecero i Giovani turchi, che iniziarono un periodo di violenza. Nel film ci sono anche turchi portatori di forza salvifica. Come il mendicante Nazim che fa la spia per il potere, ma quando si sente quasi complice dei crimini cerca un’altra via e porta alla salvezza i tre bambini che saranno i futuri armeni che sopravvivranno. Anche il personaggio di Moritz Bleibtreu, il soldato Youssouf, non vorrebbe essere là a fare l’aguzzino per le donne che vanno nel deserto a morire. È un personaggio che abbiamo amato molto: testimonia fino in fondo, fino al processo, afferma anche la coscienza dei turchi di oggi".
Paolo: "Il personaggio di Nazim è nel libro, anche se l’abbiamo cambiato un po’. Alla fine non è una storia d’amore, è la storia di un amore possibile, anche se non si realizza. La ragazza dice che chi ha avuto a che fare con l’orrore non può più amare. Abbiamo letto vari libri sui genocidi. E sappiamo che il film potrà creare dei contrasti all’interno del popolo turco. Speriamo che anche la Turchia lo faccia e che entri nell’Unione Europea, può essere un ponte con il Medio Oriente. Ogni Paese deve fare i conti con il proprio passato. Lo hanno fatto la Germania con il nazismo e l’Italia con il fascismo. Perché nessuno condanna il movimento fascista dei Giovani turchi? Oggi qualcosa sta cambiando. Speriamo che fra qualche anno il nostro film possa essere mostrato nelle scuole turche. Raccontiamo un genocidio provato da tanti fatti e comunque che non spetterebbe a noi – che siamo cineasti e non storici – provare, noi dobbiamo fare spettacolo".
Vittorio: "Noi non lavoriamo in una prospettiva storica. Mostriamo quel momento storico, che va condannato, il loro punto di partenza nazionalista che è stato punto di partenza per tutti i genocidi. Siamo consci che quel movimento fece anche cose buone che potrebbero essere oggetto di un’altra pellicola. Però quello che fecero in quegli anni va condannato".
Il fondo europeo Eurimages ha sostenuto il film, ma il rappresentante turco si è espresso a sfavore del finanziamento.
Paolo: "Il rappresentante turco di Eurimages era contro i soldi a noi, ma era solo, isolato, tutti gli altri erano per noi. Tutta Europa era a favore del nostro progetto".
Vittorio: "Ora potremmo fare come Clint Eastwood e girare ora un altro film nel quale raccontiamo quei fatti dalla parte turca".
E le zone d’ombra della storia italiana recente, il passato coloniale per esempio? Non avete pensato di farci un film?
Vittorio: "Sulle zone d’ombra nella storia italiana abbiamo già fatto film come "La notte di S. Lorenzo". Poi c’è anche Monicelli, in chiave più grottesca. Ci sono ancora pagine sconosciute del passato coloniale dell’Italia, temi rimossi come la nostra avventura in Africa. Monicelli ha dato uno scossone anche con "Le rose del deserto". Ma nessuno ricorda le stragi di Graziani, che sui libri di storia che si usano a scuola è ancora un eroe".
A questo film si imputa uno stile troppo televisivo.
Paolo: "I nostri ultimi lavori sono stati per la televisione"
Vittorio: "Non possiamo dare ragione a chi dice che siamo televisivi, Facendo i film per la tv eravamo accusato di fare cinema, ora di fare tv. Ma il nostro sguardo è sempre lo stesso. Se un’opera va in due serate in televisione bisogna favorirne la comprensione. Mi viene in mente un carteggio fra Goethe e Schiller sulle loro opere teatrali, se dovessero seguire l’epica o il dramma. Perché l’epica non si evolve, il dramma sì. E concludevano che si dovessero alternare. Lo stesso ora, bisogna tenere conto che c’è la tv anche quando si fa cinema".
E la scelta di Alessandro Preziosi?
Paolo: "Cercavamo un attore che d’impatto facesse innamorare una donna giovane. Ma che fosse anche bravo. Da qui la scelta di Preziosi. Perché le due cose insieme non sono facili da trovare. Vittorio lo conosceva perché l’aveva visto in "Elisa di Rivombrosa" del quale è un appassionato. Siamo andati a cercarlo e vederlo a teatro, avevamo i fucili puntati su di lui invece ci ha convinto definitivamente. Dussolier che ci ha lavorato insieme ha detto: ma che attori bravi avete in Italia!".
Del genocidio armeno ci sono poche immagini, voi avete deciso di utilizzarne alcune.
Vittorio: "Molte foto del film sono di un medico tedesco che stava con i turchi e sono tra le poche testimonianze rimaste. Ora lui è un eroe per gli armeni, è considerato alla stregua dei giusti per gli ebrei. Anche le croci su cui venivano appese le donne che cercavano di scappare sono documentate da queste fotografie".
In una scena molto simbolica un soldato turco rovescia la tavola imbandita nella casa degli armeni e in particolare una zuppiera.
Vittorio: "Le mani del soldato che rovescia la zuppiera dalla tavola sono un simbolo di violenza, di odio, di disprezzo per la ricchezza e per la bellezza. Era anche una guerra di classe".
E per la ricerca degli ambienti e delle scenografie come vi siete mossi?
Paolo: "Per le scenografie e gli ambienti siamo andati in giro per tutta la Bulgaria, dove abbiamo girato. Non trovavamo la masseria nella zona più vicina alla Turchia dove ci sono più somiglianze culturali. Un giorno nel nord del Paese vedemmo dei ruderi di una casa contro una roccia. La mattina dopo prestissimo si presentò da noi lo scenografo con dei disegni, suggerì di ricostruire la masseria intorno a quei ruderi. Ci convinse, anche se l’ipotesi era più costosa, perché avrebbe tolto naturalismo all’idea della masseria".