La lunga strada davanti ai sindacati kosovari

Negli ultimi anni i sindacati in Kosovo sono diventati molto più attivi. Per essere efficaci, però, le organizzazioni dei lavoratori devono liberarsi da un’eredità complessa, che viene dal passato jugoslavo e dal ruolo, più politico che sociale, ricoperto durante la lotta per l’indipendenza del paese

07/07/2023, Halim Kafexholli -

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 © Champ008/Shutterstock

(Originariamente pubblicato da Kosovo 2.0 )

La primavera dello scorso anno è stata particolarmente vivace in Kosovo dal punto di vista sindacale. L’8 aprile 2022, centinaia di lavoratori del settore pubblico, guidati dall’Unione dei Sindacati Indipendenti del Kosovo (BSPK), si sono uniti in protesta. Chiedevano aumenti dei salari e aiuti per sostenere il peso della crisi economica che ha colpito il paese.

Dopo la protesta, i sindacati hanno mandato una serie di lettere e richieste al governo per organizzare un incontro. Il primo ministro, Albin Kurti, non ha risposto. Di conseguenza, i sindacalisti hanno iniziato a parlare della possibilità di uno sciopero generale come strumento a disposizione dei sindacati.

Il 25 agosto, il BSPK ha annunciato che i lavoratori dell’amministrazione pubblica e dell’istruzione avrebbero scioperato. Soprattutto gli scioperanti nel settore dell’istruzione hanno ricevuto particolari attenzioni poiché essi avevano deciso di boicottare l’insegnamento per un intero mese con l’obiettivo di ottenere un aumento di paga.

I sindacati non sono una realtà sconosciuta in Kosovo. Comunque, questa volta, il loro scontro con il governo e le richieste di cambiamento nei sindacati stessi sono stati interpretati come un tentativo del governo di ostacolare la libertà sindacale.

A causa della determinazione dei sindacati nell’ignorare le richieste del governo, gli insegnanti non sono tornati a scuola per quasi cinque settimane, provocando un dibattito sociale esteso. In questo dibattito, le motivazioni dei sindacati in relazione ai lavoratori e al governo sono state messe in discussione. Alcuni critici hanno aggiunto che i sindacati di oggi sono fermi al passato e non sono passati attraverso riforme sufficienti per poter rispondere ai bisogni e alle richieste di oggi.

Nonostante siano stati creati negli anni ’90, i sindacati in Kosovo non sono ancora riusciti a consolidarsi in modo da diventare effettivamente dei tutori dei diritti dei lavoratori e partner nel sistema lavorativo. In aggiunta alle sfide che si sono susseguite negli anni, i sindacati si trovano ora sotto pressione perché attuino delle riforme radicali.

La creazione dei sindacati 

La libertà dei sindacati è un prerequisito per la preservazione della democrazia, dato che storicamente hanno svolto e continuano a svolgere un ruolo essenziale nella protezione dei diritti dei cittadini. 

Le organizzazioni sindacali in Kosovo hanno le proprie radici nel periodo precedente gli anni ’90. Quando ancora esisteva la Jugoslavia, i sindacati kosovari erano parte di una Confederazione jugoslava dei Sindacati, che includeva tutti gli impiegati statali della Federazione Socialista Jugoslava. Al tempo, però, i sindacati non avevano piena libertà o autonomia perché non potevano agire senza l’approvazione del Partito. 

All’inizio degli anni ’90, mentre la Jugoslavia mostrava segni di disgregazione, in Kosovo si era venuto a creare un sistema di segregazione etnica. Il culmine di questa situazione fu il licenziamento di massa di quei lavoratori albanesi che si rifiutarono di sottomettersi e riconoscere l’apparato statale serbo. Circa 150mila albanesi furono licenziati dalla pubblica amministrazione.

L’organizzazione dei sindacati indipendenti in Kosovo nacque nel giugno 1990. L’organizzazione, che aveva come slogan “senza libertà nazionale non c’è libertà sindacale”, era separata dalle istituzioni statali. Il primo congresso si tenne a Gjakova, luogo in cui era stato fondato il Sindacato Indipendente.

Circa 600 delegati parteciparono al congresso, da cui presero forma le strutture dirigenti. Hajrullah Gorani, ora deceduto, venne eletto come primo presidente. Un anno dopo questo sindacato fu nominato Unione Indipendente dei sindacati del Kosovo (BSPK). 

Agli inizi, il BSPK aveva 127.800 membri organizzati in 18 sindacati indipendenti o federazioni che coprivano diversi settori. Nel complesso, serviva da piattaforma comune per le lotte dei sindacati in favore dei diritti dei lavoratori e per rappresentare i loro interessi. 

Il BSPK aiutava anche i lavoratori licenziati, aiutandoli a trovare un nuovo impiego e fornendo assistenza finanziaria alle famiglie dei lavoratori licenziati e a quelle in difficoltà economica. 

Mentre il BSPK combatteva per i diritti dei lavoratori, una lotta diventata movimento nazionale, un altro sindacato prendeva forma in Kosovo, il Sindacato dell’Istruzione, della Scienza e della Cultura (SBAShK). Il professore universitario Agim Hyseni ne venne eletto primo presidente. 

Tra la  fine del 1989 e l’inizio del 1990, il governo serbo cominciò ad intervenire nel settore dell’istruzione. Prima con l’imposizione di piani di studi serbi e poi con la sospensione degli stipendi per i lavoratori del settore. La situazione divenne sempre più tesa, finché la polizia serba non chiuse tutte le scuole nei primi anni ’90. 

L’insegnamento della lingua albanese venne bandito nelle scuole e nelle università. Per poter continuare ad insegnare, i professori albanesi organizzarono un sistema parallelo di istruzione nelle case private. Questo sistema, inizialmente concepito per i maestri delle scuole elementari, continuò fino a marzo del 1999. Durante questo periodo, molte scuole primarie, soprattutto a Pristina, riaprirono. 

Rrahman Jasharaj è attualmente a capo del SBAShK, che oggi ha circa 26mila membri. Jasharaj ha detto che questo sindacato era stato creato per le necessità del tempo, nel tentativo di rispondere agli attacchi del regime di Slobodan Milošević contro l’istruzione in Albania. 

Da allora le attività del sindacato sono aumentate. Si è unito ad altre organizzazioni, che si aiutano a vicenda con attività come la raccolta di aiuti per gli insegnanti licenziati. 

Il sindacato ha cooperato specialmente con la Lega degli Insegnanti albanesi, che poteva agire più liberamente in quanto, non essendo un sindacato, non era stato preso di mira dal regime. Sono stati organizzati incontri e proteste soprattutto in strutture scolastiche e nei centri delle città chiedendo diritti e libertà per i professori albanesi e la protezione dell’istruzione albanese. 

Jasharaj ha dichiarato che i momenti più importanti nella storia di questo sindacati sono quelli del 1993, anno in cui diverse delegazioni internazionali visitarono il Kosovo per verificare lo stato del sistema di istruzione. 

“Le delegazioni straniere videro che il sistema teneva l’istruzione primaria in edifici scolastici, ma l’educazione secondaria aveva invece luogo in case private. Avendo visto come resistevamo, hanno portato la  questione davanti all’assemblea UNESCO, dove il rappresentante dello SBAShK tenne un discorso in cui spiegò ai delegati degli altri paesi quanto fossero difficili le condizioni in cui si trovava il sistema educativo albanese”. 

Secondo Jasharaj, il sindacato è stato accettato come membro con pari diritti nel World Education International nel 1996. Ma, a quel tempo, nemmeno lo SBAShK aveva il ruolo di sindacato. Era piuttosto un’organizzazione umanitaria perché, come ha spiegato Jasharaj stesso, “Così erano i tempi”. 

Dopo la guerra, molti imprenditori avevano difficoltà a sopravvivere e non c’era alcuna base legale per i diritti dei lavoratori. Nella difficile situazione socio-economica di quel tempo anche i sindacati non erano strutturati: ciò significava che non avevano il potere di avanzare rivendicazioni. 

Dopo la guerra, lo SBAShK ha iniziato a consolidare il suo ruolo sindacale protestando contro la United Nations Interim Administration in Kosovo (UNMIK), manifestando insoddisfazione per la noncuranza che l’UNMIK ha dimostrato nei confronti delle condizioni di lavoro degli insegnanti. 

Il sistema politico post 1999 aveva creato un sistema interamente nuovo di relazioni tra settori. Per organizzazioni internazionali il progresso viaggiava mano nella mano con la privatizzazione delle imprese pubbliche. Quando queste riforme vennero implementate migliaia di persone persero il lavoro. Infatti, mentre venivano poste le basi per un sistema economico neo-liberale, le protezioni sociali per i lavoratori, e di conseguenza anche i sindacati, iniziarono a venire meno. 

"L’UNMIK non voleva sentirsi dire che potessero esistere dei sindacati nel Kosovo post bellico”, ha dichiarato ancora Jasharaj. 

Nel 2002, lo SBAShK, organizzò una protesta per chiedere aumenti di salario per gli insegnanti, che al tempo erano pagati 100 marchi al mese circa, l’equivalente di 50 euro oggi.

“I nostri salari assomigliavano più a degli assegni della previdenza sociale, perciò abbiamo organizzato una protesta, che ha visto una grande partecipazione da parte dei lavoratori nel settore dell’istruzione. Lo slogan più ricorrente era: ‘vogliamo salari equivalenti alle paghe giornaliere degli ufficiali dell’UNMIK”, perché i loro salari erano estremamente alti”, ha detto il capo dello SBAShK. 

Tre anni dopo, il sindacato iniziò una riorganizzazione interna e lavorò ad uno statuto che avrebbe definito la struttura e la leadership del sindacato. 

Nel corso degli anni, con il consolidamento di una base legale attraverso la Legge del lavoro (adottata nel 2003), la Legge sull’organizzazione dei sindacati (adottata nel 2002) e l’accordo collettivo (adottato nel 2014) i sindacati nel settore pubblico sono stati rafforzati, ma non quelli nel settore privato. 

La necessità di riforme

L’organizzazione dei sindacati nel settore pubblico e nel settore privato è molto diversa in Kosovo. 

All’interno della confederazione BSPK ci sono 235 associazioni sindacali e 30 federazioni sindacali. Per essere parte del BSPK come sindacato, secondo lo statuto della confederazione, il sindacato deve avere più di mille membri iscritti. Questi sindacati rappresentano più di 300mila lavoratori. 85mila lavoratori provengono dal settore pubblico, mentre il resto, circa 215mila lavoratori provengono dal settore privato e sono rappresentati da un unico sindacato. 

Atdhe Hykolli, il presidente del BSPK, ha spiegato che, dall’ottobre 2021, anche se la partecipazione della forza lavoro nel settore privato è molto più importante, in termini di organizzazione sindacale il settore pubblico è dominante. Hykolli ha detto che il suo obiettivo principale è risolvere l’accordo collettivo, scaduto a fine 2017. 

Si tratta di un accordo tra le organizzazioni dei datori di lavoro, i sindacati dei lavoratori e le istituzioni statali. Il modello di questo accordo coincide con il sistema a tre partiti che si può ritrovare in diversi paesi, nel quale partecipano le tre parti sociali principali per posizione rispetto allo schema delle relazioni di lavoro: le organizzazioni dei datori di lavoro, dei lavoratori e lo stato come mediatore. Questo accordo regola l’istituzione delle relazioni di impiego, orari, vacanze, salari, risarcimenti e conclusione dei contratti. 

Secondo Hykolli, i sindacati nel settore pubblico sono sufficientemente consolidati attraverso il sindacato dell’istruzione, che raccoglie il numero maggiore di membri in Kosovo. 

Nonostante questo consolidamento, Rrahman Jasharaj ha descritto il lungo viaggio dello SBAShK come impegnativo. Secondo lui, i cambiamenti frequenti di governo hanno contribuito a porre sfide al sindacato. Hanno reso impossibile cooperare, dal momento che ogni governo cancellava i progressi raggiunti precedentemente e quindi era necessario ripartire da capo ogni volta.

Il primo sciopero dei molti che lo SBAShK ha organizzato è stato nel 2004, quando il paese era governato dalla coalizione LDK-AAK durante l’amministrazione internazionale. In questo sciopero, durato un mese, Jasharaj ricorda che si chiedevano "salari più dignitosi anche a quel tempo, ma ci fu un incremento di soli sette marchi”.

Secondo Jasharaj i salari sono rimasti bassi e i mezzi impiegati dai sindacati – come proteste e negoziati – sono stati ignorati dalle autorità, perciò gli scioperi sono dovuti continuare per forza. Dall’indipendenza nel 2008, gli insegnanti hanno visto un incremento costante dei salari al di là della propria qualifica o posizione. Ma gli insegnanti sono stati costantemente espliciti nella loro richiesta di salari più alti. I salari degli insegnanti del livello secondario superiore hanno visto un incremento da 240 euro nel 2010 a 430 euro nel 2016. Nel 2018, i salari sono aumentati di 18 euro, in quello che è stato anche l’ultimo aumento. 

Mentre il settore pubblico, con tutte le sue difficoltà, è riuscito a creare una tradizione sindacale, gli sforzi di organizzare un sindacato nel settore privato non sono stati sufficienti. Infatti, i lavoratori del settore privato subiscono costantemente violazioni dei propri diritti e condizioni di lavoro difficili caratterizzate da salari bassi, mancanza di stabilità di impiego e una noncuranza generale per gli obblighi che i datori di lavori hanno nei loro confronti secondo la Legge sul lavoro .

In modo analogo, i salari medi del settore privato rimangono più bassi che nel settore pubblico, mentre il salario netto medio nel settore pubblico si attesta sui 542 euro nel settore privato non supera i 376 euro. Questa differenza nei salari e il maggior rispetto per la legge sul lavoro, hanno reso il settore pubblico più attrattivo per chi cerca lavoro, soprattutto per chi ha un’istruzione universitaria.

Quindi, anche se il bisogno di proteggere i diritti dei lavoratori è significativamente maggiore nel settore privato, qui i sindacati sono spessi deboli o disorganizzati. 

Brikena Hoxha, direttore esecutivo dell’Iniziativa kosovara per la Stabilità (IKS), un think-thank che si occupa di ricerca e analisi empirica sullo sviluppo socio-economico in Kosovo, vede le dinamiche tra sindacati e i settori pubblico e privato in modo simile. 

“Rispetto al settore pubblico, quello privato non ha una rappresentanza nei sindacati. E la possibilità di violare diritti nel settore pubblico è incomparabilmente più piccola che nel settore privato”, ha detto Hoxha. Secondo lei, la  “schiavitù dei lavoratori” accade nel settore privato, cosa che non succede nel settore pubblico che si trova sotto la  protezione del Comitato Indipendente di Vigilanza del Servizio Civile – un organo che assicura il rispetto delle norme e dei principi che regolano il settore. 

Solo un sindacato proveniente dal settore privato opera all’interno del BSPK, ovvero il Sindacato Indipendente del settore privato del Kosovo, che comprende circa 60mila attività.  

I sindacati che si occupano di società a partecipazione pubblica sono anch’essi membri del BSPK, come il sindacati nelle miniere di Trepça, nell’aeroporto, nella Feronikeli e altri. 

Il presidente del Sindacato Indipendente del settore privato del Kosovo, Jusuf Azemi, ha dichiarato che i sindacati del settore privato sono più deboli rispetto a quelli del settore pubblico, e che questi ultimi hanno un supporto legale maggiore dal momento che il datore di lavoro è lo stato. 

“Ad esempio, il sindacato dell’istruzione ha un datore di lavoro, il Ministero dell’Istruzione, mentre noi abbiamo 60mila attività diverse in Kosovo, che signfica avere 60mila datori di lavoro”, ha spiegato Azemi. 

Nel programma elettorale, il governo attuale ha promesso condizioni più dignitose per i lavoratori del settore privato e un aumento di cinque volte del numero di ispettori, che sono responsabili della supervisione del rispetto delle norme della Legge sul lavoro. Comunque questa promessa non è stata ancora mantenuta. Attualmente, ci sono solo 38 ispettore per coprire tutto il paese. 

Azemi ha menzionato anche il settore delle costruzioni, dove la situazione è grave. “Sono andato a Fushë Kosova non più di un mese fa ed è terribile vedere lavoratori in queste condizioni. Vedere i lavoratori che costruiscono palazzi a più piani è spaventoso e ci sono stati anche casi di decessi di lavoratori caduti nel pozzo degli ascensori. Solo quest’anno (2022) sono morti 17 operai”, spiega Azemi. 

Come risultato, i sindacati sono criticati per non proteggere adeguatamente i diritti dei lavoratori e per la lentezza con cui assicurano loro condizioni di lavoro migliori. 

A questo proposito, Osman Osmani, un sindacalista svizzero che si sta impegnando per la cooperazione tra sindacati del Kosovo e della Svizzera, pensa che le “battaglie dei sindacati” dovrebbe avvenire in Kosovo, visto che la situazione è disperata.  

“C’è stata una mancata di solidarietà sindacale nei casi in cui i diritti dei lavoratori sono stati seriamente violati, o in cui la sicurezza sul lavoro, la protezione della salute e della vita non è stata garantita, in questo settore non c’è alcuna organizzazione”, spiega Osmani, che è anche stato segretario per la migrazione presso il sindacato UNIA in Svizzera, un sindacato con 200mila membri, di cui la metà fuori della Svizzera e 15mila albanesi. 

Per Osmani, i sindacati in Kosovo hanno fallito nel fare in modo che ci fossero cambiamenti sistemici e di conseguenza si sono adattati ai nuovi modelli politici ed economici che descrive come "neoliberali". 

Osmani ritiene che i sindacati non hanno vissuto questo cambiamento dal disfacimento della Jugoslavia. Nel sistema del tempo, l’unico datore di lavoro ero lo stato o comunque il settore pubblico, che includeva anche imprese sociali. Per questo motivo, c’era un sistema organizzativo forte solo nel settore pubblico, ma i sindacati erano parte del sistema e i sindacalisti erano percepiti come ufficiali statali. Perciò, secondo Osmani, perfino in Kosovo l’organizzazione dei sindacati continua ad essere più presente nel settore pubblico che nel settore privato. 

“Un deserto sindacale” 

Le battaglie tra sindacati e governo si sono inasprite dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo nel 2008. Il quadro legale per l’organizzazione sindacale ha iniziato ad essere rafforzato ed è stato creato un canale legale che permettesse ai sindacati di presentare le proprie rivendicazioni. 

Così è cominciato il dialogo sociale tra il governo e i sindacati, nel quale questi ultimi richiedono salari più alti, condizioni di lavoro migliori e una riduzione delle disparità economiche. 

Le richieste da parte dei sindacati hanno spesso portato a scontri con le autorità, che hanno ripetutamente usato toni sprezzanti nei confronti dei sindacati, etichettati come strumenti nelle mani di gruppi politici. La relazione dei sindacati con i partiti o con il potere politico è talmente intricata che ci sono stati casi in cui i sindacati sono stati accusati di subire influenze o essere legati a partiti politici, in particolare al Partito Democratico del Kosovo (PDK), specialmente nel periodo in cui quest’ultimo si trovava al governo. 

Il movimento Vetëvendosje (VV), nella sua linea ideologica e anche nella pratica – almeno finché è rimasto all’opposizione – ha supportato i sindacati, compresi quelli dell’istruzione. Ma, durante gli scioperi dell’ultimo anno, il VV, ora alla guida del governo, si è rivolto ai sindacati con un linguaggio critico e a volte dispregiativo, etichettandoli come “strumenti del potere precedente”. 

Uno degli scontri ricorrenti tra i sindacati e il governo continua ad essere il dibattito sul salario minimo, che secondo Jusuf Azemi del Sindacato Indipendente del Settore Privato, dovrebbe essere calcolato sulle spese essenziali di una famiglia di quattro membri. 

Ad aprile 2022, il governo ha approvato un disegno di legge che include un aumento del salto minimo dai 130-170 euro (con differenze in base all’età) a 264 euro lordi (250 netti). La decisione non è stata ancora implementata. Azemi ha detto che il sindacato di cui è alla guida non accetterà di firmare un accodo in cui il salario minimo è al di sotto dei 500 euro netti. 

Salario minimo 

Il salario minimo rientra tra le politiche del governo, il quale la definisce come “l’ammontare minimo del pagamento (remunerazione) che il datore di lavoro deve pagare all’impiegato per il lavoro svolto durante un periodo stabilito di tempo”. 

Il salario minimo serve a proteggere i lavoratori dai salari bassi. L’aumento di salario minimo aiuterebbe i giovani lavoratori, i lavoratori marginalizzati e quelli con basse qualifiche. 

Ad ogni modo, c’è chi si oppone a questo aumento del salario minimo, ovvero il Fondo Monetario Internazionale, il quale teme le implicazioni sul bilancio di un suo incremento,  visto che alcuni trattamenti pensionistici, come quelli delle pensioni dei veterani, sono legati proprio al salario minimo. 

“Durante questo mandato, non c’è stato cambiamento che [il Primo Ministro Kurti] non abbia privato a fare unilateralmente. Non ha mai osato passare attraverso il parlamento”, ha dichiarato Azemi. 

Il dibattito sul salario minimo e sulla sua importanza è stato ripetutamente enfatizzato e sono state fatte diverse promesse da parte dei governi, ma le proposte del Consiglio Economico e Sociale di aumentarlo non sono mai state accettate. 

Il Consiglio è un organo consultivo del governo costituito da rappresentanti dei lavoratori, datori di lavoro e istituzioni statali che monitorano la situazione economica tutti gli anni e continuano a proporre un aumento del salario minimo. Il presidente del Consiglio è eletto a rotazione ogni anno, ma la funzione è rimasta vacante per un anno finché non è stato riattivata durante il mandato di Hykolli. 

Jasharaj dello SBAShK ritiene che lo scontro con il governo sia positivo, perché aiuta ad aumentare l’attenzione sul sindacato. 

Anche secondo Hoxha dello IKS, la relazione spesso discordante tra sindacati e governo ha influenzato la formazione e il riconoscimento del ruolo dei sindacati. Oltre alle critiche sul sisema di organizzazione dei sindacati, dà anche credito al sindacato dell’istruzione. 

“Meritano stima per come hanno cambiato la percezione pubblica del sindacato, se tutti sanno cos’è un sindacato, uno dei motivi è sicuramente lo SBAShK”, ha dichiarato Hoxha. 

Ma, allo stesso tempo, Hoxha ritiene che i sindacati siano spesso incompresi, poiché non viene riconosciuto a sufficienza il loro ruolo. Secondo la Hoxha, sono gli stessi sindacati ad essere responsabili di questa situazione. 

“Negli anni ’90, il loro ruolo era diverso per via della situazione in Kosovo, ma anche per il ruolo che ricoprivano al tempo, che è un po’ frainteso. I sindacati sono rimasti con la  stessa mentalità e non svolgono i loro compiti in modo corretto, ma è anche vero che non c’è una conoscenza generale di come dovrebbero svolgerli.”

La Hoxha ha anche osservato che i sindacati sono registrati come organizzazioni non governative, elemento che ritiene essere un errore, poiché se venissero registrati come parte del sistema lavorativo, come nei paesi nordici, avrebbero un ruolo attivo nella negoziazione dei contratti lavorativi e nella protezione dei diritti dei lavoratori. 

Perciò, la Hoxha pensa che sia necessaria una riforma della sindacati. Spiega che c’è bisogno di una rappresentazione di genere più egualitaria, dal momento che la stragrande maggioranza dei sindacati è guidato da uomini. 

Secondi i dati dell’organizzazione di cui è a capo dalla fondazione, il BSPK ha sempre avuto uomini nei ruoli dirigenziali. Su un totale di 59 delegati, nella confederazione ci sono solo 18 donne. Inoltre, dei quattro coordinatori che guidano gli uffici regionali del BSPK, solo una è una donna. 

L’attivista sindacale Osmani pensa che i lavoratori in Kosovo sono disorganizzati in ogni settore definendoli “un deserto per i sindacati”, mentre definisce i sindacalisti del settore pubblico come "ufficiali pubblici" perché, secondo lui, loro stessi si descrivono così. 

Florina Duli, attivista per i diritti umani e coordinatrice per il Kosovo dell’organizzazione Terre des Hommes, esprime un’opinione simile a quella di Osmani. Secondo lei, l’organizzazione sindacale in Kosovo si trascina molto da un passato in cui i rappresentanti sindacali erano considerati funzionari statali.

“I sindacati sono legati al loro ruolo nell’ex Jugoslavia come anche a quello negli anni ’90, quando erano attivi nella resistenza. Al tempo, lo stato era l’unico datore di lavoro e di conseguenza l’organizzazione sindacale si sviluppò al suo interno. I sindacati erano parte del sistema in qualche modo”, commenta la Duli.

Secondo la stessa Duli, i sindacati dovrebbero essere riformati, in modo che la responsabilità nei confronti dei propri iscritti aumenti, il diritto dei lavoratori ad associarsi volontariamente nei sindacati non venga violata e di conseguenza siano d’aiuto a più lavoratori possibile. 

“I sindacati autentici devono rappresentare il lavoratore in ogni controversia con il datore di lavoro, fornendo anche tutela legale”, ha dichiarato la Duli. 

Anche se, secondo la definizione corretta, i sindacati sono organizzazioni indipendenti, creati come gruppi di associazione volontaria dei lavoratori dipendenti e che hanno come obiettivo la protezione dei loro diritti legali e dei loro interessi economici, sociali e professionali, non sono sempre state visti in questo modo. I sindacati sono anche stati oggetto di critica per ruoli e responsabilità che non sono nemmeno loro. Un esempio di questo sono le critiche costanti nei confronti dello SBAShK per i mediocri risultati nei test PISA e per la qualità dell’educazione in generale, anche se ciò è responsabilità del Ministero dell’Educazione e dei direttorati locali nelle singole municipalità. 

Dare la colpa al sindacato per la bassa qualità nell’istruzione ha spesso generato l’impressione che il sindacato fosse responsabile per il miglioramento del settore. Per Rrahman Jasharaj, il fatto che il problema della qualità dell’istruzione viene “portato all’attenzione solo quando ci sono scioperi” è preoccupante. 

Fino a poco tempo fa i sindacati ricevevano attenzione quasi esclusivamente durante gli scioperi, ma gli scontri recenti hanno stimolato un dibattito che potrebbe essere utile per la libertà dei sindacati, l’organizzazione e una futura riforma dei sindacati stessi.

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