La lenta morte della Bulgaria rurale
In Bulgaria si stima che siano almeno 500 i villaggi rurali fantasma. Solo negli ultimi due anni sono spariti 100 paesini perché nessuno vi abita più. La storia di Paramun villaggio rurale dove l’età media è di 75 anni
(Quest’articolo è stato pubblicato il 4 novembre 2013 nel contesto del progetto Slow Europe, selezionato e tradotto da Osservatorio Balcani e Caucaso)
Paramun è un paesino a 70 chilometri ad ovest di Sofia, capitale della Bulgaria. E’ pieno di case dai muri scrostati e dai vetri delle finestre infranti. Arbusti e querce ricoprono le colline circostanti.
Con la sua aria pulita e il suo bel paesaggio potrebbe essere una località turistica, ma Paramun rimane uno di quei 650 paesi in Bulgaria che hanno meno di 50 abitanti. L’età media a Paramun è di 75 anni quindi, ogni mese, Paramun, e paesi simili, vedono calare ulteriormente la loro popolazione.
Negli ultimi due anni sono spariti 100 paesini in Bulgaria, perché nessuno vi abita più o perché la loro manciata di abitanti è stata assorbita da municipalità confinanti più grosse. Gli anziani abitanti spesso tengono qualche gallina e piccoli orti, cercando di sopravvivere con la loro misera pensione di 100 euro al mese. Ma con l’aumentare del costo delle bollette, senza menzionare il costo del cibo o di altri beni primari, tirare avanti è dura.
“I nostri nipoti sono stranieri”
Inoltre nella Bulgaria rurale vi sono sempre meno giovani. Le riforme agrarie avviate agli inizi degli anni ’90 hanno distrutto l’economia rurale. Oggi vi è scarsa possibilità di trovare lavoro e questo forza i giovani ad andare nei centri più grandi o all’estero. A Paramun, per esempio, abitano una decina di anziani, gli unici che vi risiedono per tutto l’anno. In estate il numero arriva a 20-30 persone, spesso pensionati che normalmente vivono in città e che vi vanno per godersi l’estate. Ma Paramun in passato aveva 400 abitanti. Molti si occupavano di allevamento di pecore e capre e lavoravano nella fattoria collettiva, che ha chiuso dopo la caduta del comunismo nel 1989.
Tasko ha 76 anni, si riposa sotto la grondaia di un edificio abbandonato, in mano un bastone di legno. Non vi è nessuno all’orizzonte. “Ho trascorso tutta la mia vita a Paramun”, ci racconta. “Una volta, qui, c’erano 500 pecore. Ora non ce n’è più nessuna. Avevamo anche capre, ma non ci sono più giovani che vogliono fare i pastori. I nostri nipoti ci sono già stranieri”.
Con una popolazione di circa 7,3 milioni di persone la Bulgaria ha uno dei tassi di disoccupazione più alti in Europa. Nell’agosto del 2013 era al 13%, con un taso di disoccupazione giovanile vicino al 28,4%.
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Secondo la confederazione sindacale Podkrepa, ogni anno tra i 20.000 e i 25.000 giovani bulgari lasciano il paese in cerca di lavoro. Attualmente la diaspora bulgara è attorno al milione di persone. E anche nel caso trovino lavoro, i giovani bulgari devono accontentarsi di salari minimi, dato che la media salariale nel paese è di 5 volte inferiore a quella dei paesi dell’Europa occidentale.
Via il vecchio, dentro il nuovo
Dopo l’affermarsi del socialismo in Bulgaria e la nascita della Repubblica popolare di Bulgaria nel 1946, tutta la terra dei villaggi è stata incorporata in fattorie collettive, sia forzatamente che su base volontaria. Agli inizi degli anni ’90 la Bulgaria ha fatto sforzi ingenti per scostarsi dal passato comunista e andare verso quello che veniva reputato come uno scintillante futuro neo-liberale.
Le fattorie cooperative del precedente regime sono state liquidate e molte delle attrezzature sono state svendute. Il governo rifiutò le proposte di chi suggeriva di far continuare a lavorare le cooperative agricole, cambiando la proprietà e trasformandole in società a capitale collettivo. Come conseguenza centinaia di migliaia di posti di lavoro andarono perduti e le grandi fattorie vennero smembrate e frammentate per ricostituire gli antichi confini fondiari. La terra è ritornata agli eredi dei precedenti proprietari che però spesso avevano pochi incentivi a coltivarla.
Oggi l’80 per cento di questi terreni sono in media di 5 acri, non sufficienti per l’agricoltura moderna. Un paese che era un esportatore di frutta, verdura e carne ne è oggi importatore. E la popolazione rurale è in continua diminuzione. Nel 1975 il 42% dei bulgari risiedeva in aree rurali. Oggi, secondo l’ufficio statistico Eurostat, sono leggermente sopra i due milioni – un milione dei quali pensionati – vale a dire il 27,5% della popolazione.
Rigenerazione
A circa 260 chilometri a sud-est di Sofia vi è la rinomata località sciistica di Pamporovo, nei monti Rodopi. Nei dintorni vi sono molti villaggi vuoti; uno di loro, Peshtera, non ha più residenti fissi dal 2012. L’ultimo che vi abitava è morto lo scorso autunno. Tre cani abbandonati sono tenuti in vita dagli abitanti dei paesi vicini che utilizzano alcuni edifici vuoti di Peshtera come fienili e vengono due volte a settimana per portare ai cani un po’ di cibo.
Ma, per grama che possa sembrare, la situazione qui non è così male. Molte case sono state ristrutturate da famiglie greche o inglesi, come anche da una coppia di Sofia.
Secondo l’Istituto per la ricerca sulla popolazione dell’Accademia bulgara per le scienze (BAS) vi sarebbero però almeno 500 villaggi fantasma nel paese. In uno studio realizzato per la BAS la ricercatrice Dona Pickard ha invitato le autorità ad affrettarsi ad adottare provvedimenti per stimolare una rinascita rurale e “sostenere le tradizioni della cooperazione e dell’azione collettiva che sono ancora vive nei villaggi”. E’ chiaro che qualcosa vada fatto. Per la BAS se si continua così con pochi nuovi nati e mancanza di opportunità lavorative, entro il 2060 non vi saranno più villaggi in Bulgaria.
Negli anni recenti vi sono stati a dire il vero alcuni interventi governativi e dell’Unione europea per cambiare la situazione e in alcune aree il settore agricolo sta iniziando a riprendersi. Ad esempio la decisione di riformare i sussidi esistenti attraverso il “Programma di sviluppo rurale” per incoraggiare la produzione di grano, la viticoltura e l’allevamento ha portato a ritornare ai livelli di produzione di grano degli anni ’80. Le autorità hanno inoltre concesso finanziamenti per aiutare i comuni a migliorare le infrastrutture come strade, opere idriche e fognarie.
Ciononostante questi fondi sono limitati ed è difficile attrarre investimenti per progetti più ambiziosi e il decrescere costante della popolazione rurale ne è una conferma. Nel frattempo chi rimane in campagna non può che rimuginare continuamente sui bei vecchi tempi andati.
“Questo era il più bel paesino di tutta la regione” afferma Tasko di Paramun mentre guarda con orgoglio la piazza del paese, in passato piena di gente. E’ come se fantasmi del passato fossero apparsi improvvisamente davanti ai suoi occhi: bambini che vanno nella scuola ormai chiusa, donne che si affrettano a fare la spesa in negozi scalcinati, uomini che mietono il grano in campi dove ora non cresce più nulla. Non si sa se Paramun tornerà mai alle glorie del passato, è improbabile però che Tasko riesca ad esserne testimone.