La Krajina e gli spettri del passato
In un momento particolarmente delicato per la Croazia e la Serbia, entrambe in attesa di un parere positivo da parte dell’UE, scoppia un caso singolare. A Belgrado viene eletto un sedicente "Governo in esilio" della Repubblica serba di Krajina
Mentre sia in Croazia che in Serbia i rispettivi governi cercano di fare i salti mortali per cercare di convincere l’UE che stanno procedendo nella giusta direzione, nell’ottica dell’avvio dei negoziati, previsti per il 17 marzo per la Croazia, e alla scadenza imminente della presentazione dello Studio di fattibilità per la Serbia, un fatto sconcertante piomba sulla strada europea delle due ex repubbliche jugoslave.
Sabato 26 febbraio al centro culturale Dom sindikata di Belgrado si è tenuta una seduta in cui è stato formato il cosiddetto "Governo in esilio" della Repubblica serba di Kraijna (RSK). Nella seduta è stato ribadito che "nemmeno dopo nove anni dalla brutale aggressione dell’esercito croato e della pulizia etnica dei Serbi della regione della RSK, né la Croazia, né la comunità internazionale hanno fatto alcunché per continuare il processo di soluzione della questione dei Serbi di Croazia".
Una dichiarazione che ci riporta indietro agli anni novanta, al tempo della guerra nella ex Jugoslavia, e alla dichiarazione unilaterale di indipendenza della Regione autonoma della Krajina, divenuta in seguito la Repubblica serba di Krajina guidata da Milan Babic, oggi pentito e in carcere in Olanda.
Nel comunicato, riportato dall’emittente B92 il giorno stesso della seduta, si precisa che il compito del "Governo rifugiato" è di difendere coi mezzi politici e con colloqui con il governo croato, l’Unione europea e le Nazioni Unite, gli interessi dei Serbi della Croazia.
Il "Governo in esilio" è composto dai deputati già eletti nel 1993, i quali si considerano ancora legittimi rappresentanti dei Serbi dell’allora Krajina serba. Tuttavia – come precisato dal presidente del Parlamento della RSK, Rajko Lezajic – questi ultimi non sono in contatto con i rappresentanti dei Serbi di Croazia presso il parlamento croato, e questo perché "loro non sono i rappresentanti del popolo serbo della Krajina. Loro sono rappresentanti di se stessi. Noi siamo il popolo serbo che è sempre stato equiparato a quello croato, dal 1918 al 1990", ha precisato Lezajic.
Tali dichiarazioni hanno suscitato le ire della Croazia ufficiale, ma hanno incontrato scarsa rilevanza e dichiarazioni non ufficiali sulla presa di distanza da parte del governo di Belgrado. A fronte delle buone relazioni tra i due Paesi la maggior parte dei rappresentanti di governo ha espresso in via non ufficiale la propria disapprovazione per una tale iniziativa.
Una timidezza di posizioni che ha reso del tutto insoddisfatto il governo di Zagabria, benché rassicurato dall’ambasciatore della Serbia e Montenegro, Milan Simurdic, della condanna di una siffatta bizzarra iniziativa.
Non dello stesso parere, però, è la segreteria del Partito radicale serbo. Per voce del presidente della segreteria del SRS, Dragan Todorovic, si viene a sapere che il suo partito appoggia le intenzioni dei rappresentanti del governo in esilio della Krajina. "la RSK è sotto occupazione della Croazia e deve essere fatto in modo che tutti i Serbi, cacciati durante l’operazioni Lampo e Tempesta, ritornino. Noi li possiamo aiutare moralmente, perché non siamo al governo, ma appena andremo al potere, faremo tutto il possibile per aiutarli. E a Strasburgo parleremo di questo, così che l’Europa possa sentire cosa è accaduto ai Serbi della RSK", ha detto Todorovic a Radio B92.
Non sono tardate, ovviamente, le reazioni da parte dello stesso presidente dei Consiglio nazionale serbo Milorad Pupovac, nonché deputato al parlamento croato. Pupovac ritiene che "questa sia un’iniziativa di quella gente che nel 1995 (anno delle due operazioni militari di cui sopra, ndt.) era tra i maggiori responsabili di quanto accaduto, proprio perché non fecero nulla per impedirlo".
Va ricordato che durante le operazioni Lampo e Tempesta, nell’estate del 1995, furono allontanati migliaia di Serbi di quella regione, commettendo pure crimini di guerra, dei quali tra i maggiori responsabili figura il latitante generale croato Ante Gotovina.
Ad ogni modo, insiste Pupovac non è chiaro l’intento di questa iniziativa, dal momento che i Serbi di Croazia hanno i loro rappresentanti legalmente eletti. Il timore è che ciò possa portare ad una frattura tra il governo di Zagabria e quello di Belgrado.
Un timore condiviso pure dalla presidentessa del Partito popolare croato, Vesna Pusic, che ha definito l’iniziativa come un incidente e come il tentativo di "impedire l’avvio dei colloqui con l’UE e di rinviare le riforme della Croazia in accordo con gli standard dell’UE. Questo incidente a Belgrado non è favorevole e secondo me – ha detto la Pusic – politicamente è del tutto irrilevante".
Il quotidiano croato "Slobodna Dalmacija", esce nell’edizione di lunedì 28 febbraio con il seguente titolo "Colpevoli della guerra chiedono ancora sangue". Un articolo che richiama la pericolosità dell’idea di una grande Serbia e delle sue conseguenze. Secondo il presidente della Comunità dei ritornanti in Croazia Josip Kompanovic "questi giochi col fuoco potrebbero avere delle serie conseguenze delle quali molti non sono coscienti, e che di nuovo potrebbero essere sentiti sulla pelle degli abitanti di qua, siano essi Croati o Serbi".
Kompanovic aggiunge inoltre di conoscere di persona il neo eletto premier del governo della RSK, un certo Milan Buha di Beli Manastir, noto per il suo orientamento nazionalista. Notizia confermata dall’emittente belgradese Radio 021, che lo individua come il direttore della azienda Lisja di Novi Sad.
Secondo la maggior parte dei commenti raccolti dalla stampa croata, la controversa iniziativa organizzata a Belgrado, giunge proprio nel momento in cui la Croazia sta incrociando le dita per ottenere l’esito positivo sull’avvio dei negoziati con l’UE. L’intento sarebbe quello di frenare l’avvicinamento del Paese all’UE, cercando di portare l’attenzione su una delle condizioni cruciali per l’ingresso nell’UE, ossia il rispetto delle minoranze.
Tuttavia, fa notare il presidente del SDSS (Partito democratico indipendente serbo) e deputato al parlamento croato, Vojislav Stanimirovic, si tratta di persone che hanno venduto le loro proprietà in Croazia e adesso vivono e lavorano in Serbia e Montenegro, "se pensano che ci siano ingiustizie verso i Serbi di Croazia, perché non vengono qui e cercano per vie politiche di realizzare i loro piani".