La Jugoslavia dei ventiquattromilabaci
1955-1965, 10 anni in cui l’Italia ha giocato il ruolo di "vicino Occidente" e in cui la sua cultura pop ha profondamente influenzato la Jugoslavia socialista. Una recensione
(Recensione originariamente pubblicata su "La battana. Rivista trimestrale di cultura", n.199)
La monografia di Francesca Rolandi, Con ventiquattromila baci. L’influenza della cultura di massa italiana in Jugoslavia (1955-1965), pubblicata nel 2015 da Bononia University Press, rappresenta un’interessante novità nel panorama storiografico italiano riguardante l’Europa sudorientale. Il testo, rielaborazione della tesi di dottorato difesa dall’autrice presso il Dipartimento di Slavistica dell’Università di Torino, è dedicato all’analisi dell’influenza della cultura di massa italiana in Jugoslavia nel decennio 1955-1965. Avvalendosi di un fecondo confronto con i più recenti sviluppi del dibattito storiografico internazionale, lo studio conferma la maturazione della ricerca accademica sul Sud-Est Europa in Italia – nonostante il generale ridimensionamento dell’interesse verso un’area geopolitica oggi meno rilevante nel dibattito pubblico. Al contempo, Rolandi ha il merito di riportare l’attenzione sulla complessa evoluzione delle relazioni tra le due sponde dell’Adriatico, superando uno sguardo troppo spesso limitato alle frizioni che hanno contraddistinto i rapporti nel corso di determinate fasi del XX secolo.
Nell’analisi del ruolo di “vicino Occidente” che l’Italia assunse agli occhi degli jugoslavi nel secondo dopoguerra, il lavoro si avvale dell’ampia letteratura sulla cultura di massa (pop culture) jugoslava resasi disponibile negli ultimi anni. Prodotto di un’esponenziale crescita dell’interesse storiografico per il socialismo jugoslavo, il tema ha ricevuto particolare attenzione sia nei paesi post-jugoslavi che a livello internazionale e ha visto la pubblicazione di diversi lavori di ricerca. È emersa infatti la necessità di guardare alle diverse esperienze del socialismo reale non solo dal punto di vista della storia politica, ma tenendo in considerazione le declinazioni della vita quotidiana nei suoi aspetti sociali e culturali. La riflessione di Francesca Rolandi rielabora ampiamente la letteratura disponibile, rintracciando le direttrici utili a comprendere la posizione della cultura di massa italiana in Jugoslavia, ma al contempo si appoggia a un ampio lavoro sulle fonti primarie raccolte nel corso della ricerca negli archivi e nelle biblioteche in Italia come nelle diverse ex-repubbliche jugoslave. La ricerca esplora la documentazione prodotta dagli organi statuali e partitici oggi a disposizione degli studiosi, integrando efficacemente un esteso lavoro sulla stampa dell’epoca, con una particolare attenzione alla pubblicistica “patinata” che si rivelò fondamentale veicolo di diffusione della nuova cultura di massa.
L’analisi prende le mosse dalla firma del memorandum di Trieste nell’ottobre del 1954, accordo che offrì una prima sistemazione dei contenziosi sul confine italo-jugoslavo, favorendo una distensione nei rapporti tra i due paesi. Il decennio preso in considerazione dall’autrice si conclude quindi con il 1965, anno contraddistinto dalle riforme che sanzionarono l’ulteriore apertura del sistema jugoslavo verso Occidente e determinarono un relativo ridimensionamento del ruolo dell’influenza italiana. In un mondo condizionato dalla contrapposizione tra i blocchi, il rapporto tra il corso della politica estera e le dinamiche di politica interna rappresentò un aspetto cruciale nella definizione della terza via jugoslava e nell’apertura a nuove influenze. Come illustrato dagli studi sulla realtà culturale jugoslava, il partito guidato da Tito acconsentì a un pronto distacco dai modelli del realismo socialista imposti nell’immediato dopoguerra, concedendo spazio a codici culturali occidentali che avrebbero influenzato sensibilmente la cultura di massa consolidatasi nel paese a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta.
Il lavoro di Francesca Rolandi attraversa le sfaccettature del fenomeno, ricostruendo l’articolazione dei significati dell’influenza italiana. La città di Trieste rappresenta il punto di partenza della riflessione. Il capoluogo, da oggetto di contesa negli anni post-bellici, divenne repentinamente i principale terreno di contatto tra i cittadini dei due paesi. L’abitudine, diffusa tra gli jugoslavi, di recarsi oltreconfine per fare acquisti nei negozi triestini favorì le prime esperienze dirette della società dei consumi occidentale. Il sistema di relazioni viene indagato estendendo l’analisi alle dinamiche di attraversamento della frontiera: dai contatti quotidiani alla gestione politica, fino alla reciprocità rappresentata dalle sortite in Jugoslavia intraprese dai cittadini italiani in cerca di acquisti vantaggiosi nel campo alimentare. Tali esperienze, come approfondisce ulteriormente l’autrice, sono oggi consolidate nella memoria collettiva delle popolazioni jugoslave e spesso vengono riproposte in una dimensione nostalgica verso un’epoca di apertura e di libertà di movimento rimesse in discussione delle distorsioni della transizione post-socialista.
L’analisi si sofferma quindi sui principali ambiti di influenza della cultura di massa italiana in Jugoslavia: la musica, il cinema, la moda, il design e la cultura materiale. Il successo della musica leggera italiana favorì fin dagli anni cinquanta la maturazione della zabavna muzika/glazba jugoslava e di una dimensione evasiva rispetto alle tradizionali coordinate culturali del socialismo. In seguito, anche se in misura più limitata, la diffusione del rock e del fenomeno dei cosiddetti “urlatori” favorì la penetrazione in Jugoslavia delle sonorità affermatesi sulla scena musicale americana. Quella tra il sistema politico-culturale jugoslavo e il mondo del rock è descritta come “una storia più di compromessi che di conflitto”, proprio in quanto il passaggio attraverso il contesto italiano favoriva una rinegoziazione degli elementi di anticonformismo giovanile più difficili da accettare per il socialismo jugoslavo.
Un settore che all’epoca rivestiva invece un ruolo centrale nelle politiche del partito era l’industria cinematografica. In anni in cui Cinecittà rappresentava il principale promotore dell’immagine italiana nel mondo, si arrivò rapidamente a un confronto tra le due sponde dell’Adriatico. Se il neorealismo si prestava facilmente a una legittimazione ideologica – presentando le contraddizioni del sistema capitalista – il successivo sviluppo del cinema italiano, le coproduzioni e le collaborazioni tra quadri favorirono maggiore familiarità con i modelli del divismo occidentale, riproposti dalle visite in Jugoslavia di celebrità come Sofia Loren e Gina Lollobrigida. L’aspetto che quindi incideva maggiormente sulla cultura dei consumi e nella quotidianità era rappresentato dalla crescente influenza dalla moda e del gusto italiano. Testimonianza inequivocabile rimane la celebre pellicola Ljubav i moda, datata 1960, che riservava uno spazio di rilievo alla moda italiana e che faceva della Vespa guidata dalla protagonista un’icona di modernità. Tali tendenze si sarebbero rafforzate nella riproduzione dei modelli Fiat, così come nel design degli elettrodomestici e della variegata oggettistica che entrava gradualmente a far parte della vita quotidiana jugoslava.
Elvis partiva da Memphis alla volta di Mosca passando per Napoli e Zagabria.
Il ragionamento condotto da Francesca Rolandi attraversa diversi ambiti e fenomeni, rievocando episodi e circostanze particolarmente eloquenti, ma al contempo risulta efficace nello sforzo di collocare i risultati empirici in un quadro interpretativo più ampio. Nel dopoguerra, l’influenza italiana raggiunse rapidamente le città e i territori maggiormente prossimi al confine, come efficacemente testimoniato dalla ricezione delle canzoni di Sanremo: tradotte e ritrasmesse da Radio Rijeka a poche ore di distanza dalla presentazione sul palco del Festival. Grazie all’approccio su scala jugoslava, tuttavia, la ricerca porta alla luce il grado di penetrazione in tutta la Federazione, a partire dai più ricettivi contesti urbani nelle diverse repubbliche. Ponendosi in una prospettiva più ampia e dialogando con la storiografia più recente, l’autrice colloca quindi tale sistema di influenze transnazionali nel contesto dei rapporti tra i blocchi. In questa fase della guerra fredda, a seguito della crescente americanizzazione della cultura di massa italiana, la Jugoslavia subiva indirettamente l’influenza statunitense. Dalla Jugoslavia non-allineata, tali tendenze, avevano più facile accesso agli altri paesi est europei, aprendo di fatto un canale di comunicazione dagli Stati uniti al blocco sovietico. In qualche modo, Elvis partiva da Memphis alla volta di Mosca passando per Napoli e Zagabria. In tali attraversamenti, sottolinea Rolandi, gli aspetti della cultura occidentale considerati più sovversivi subivano un processo di “addomesticamento”, tale da rendere possibile in alcuni casi la penetrazione fino nel blocco sovietico.
Dal punto di vista degli studi sulla guerra fredda, le ricerche condotte da Francesca Rolandi contribuiscono a smussare l’immagine impermeabile della cortina di ferro, attraverso le molteplici direttrici oggi sempre più indagate dalla storiografia. Il libro dimostra come la vicinanza geografica e l’opportunità politica abbiano portato l’Italia a svolgere un ruolo di “filtro” e quanto un’ “Italia immaginaria” abbia aperto le porte in Jugoslavia all’occidentalizzazione della cultura di massa nell’ambito della nuova società dei consumi. Destreggiandosi tra politica internazionale, scambi culturali, dimensione materiale e incursioni nel campo della memoria, Con ventiquattromila baci rappresenta un importante contributo alla comprensione della sfaccettata esperienza della Jugoslavia socialista. Al contempo propone uno sguardo inedito sulle relazioni tra le due sponde dell’Adriatico che, oltre a rivolgersi agli addetti ai lavori, può certamente incontrare l’interesse di un pubblico più vasto e favorire la (ri)scoperta di una stagione di incontri.