La guerra sporca della Turchia
Cinque morti e decine di feriti nella provincia orientale di Hakkari, dove continuano gli incidenti dopo che la libreria di un curdo è stata attaccata con una bomba a mano. Nel commando c’erano personaggi legati ai servizi segreti turchi, subito rilasciati. La rabbia della popolazione
Serrata dei negozi, sospensioni delle attività scolastiche, manifestazioni quotidiane, esplosioni e scontri che hanno prodotto cinque morti e decine di feriti. Questo è il bilancio di una settimana di tensione che ha sconvolto la provincia di Hakkari, lembo orientale della Turchia che si incunea tra la frontiera iraniana e quella irachena.
L’elemento scatenante è stata l’esplosione verificatasi il 9 novembre a Semdinli, piccolo centro della provincia.
Una bomba a mano lanciata all’interno della libreria Umut, di proprietà di Seferi Yilmaz che ha un passato nel PKK Partito dei Lavoratori del Kurdistan, ndc, provoca un morto e diversi feriti. Yilmaz, illeso, con l’aiuto dei passanti riesce a catturare una persona che si allontana velocemente dal luogo dell’esplosione ed i due uomini che lo attendono a bordo di una Renault 14.
La polizia interviene e sottrae a stento i tre dal linciaggio della folla.
A questo punto cominciano le sorprese. Nel bagagliaio dell’auto vengono ritrovati kalashnikov, bombe a mano, proiettili e documenti. Tra essi una lista di 105 nomi di personalità politiche locali e membri del DTP (Partito della Società Democratica, nato recentemente dal Movimento della Società Democratica di Leyla Zana). Accanto a questi, foto e cartine della città con alcuni luoghi segnati da una croce e dettagliate informazioni su Yilmaz.
La seconda sorpresa al momento dell’identificazione dei tre fermati. Il primo, quello sospettato di aver materialmente gettato la bomba a mano, è Veysel Ates. Ex militante del PKK successivamente pentitosi, durante l’interrogatorio ha dichiarato al giudice di star lavorando per la gendarmeria. Già nel 2001 il suo nome era circolato nel corso di una indagine sulla scomparsa di due dirigenti locali del HADEP (il nome precedente di DEHAP).
Gli altri due occupanti dell’auto si sono rivelati essere sottoufficiali del Servizio di Informazioni della Gendarmeria (JIT). I due, dopo essere stati sentiti dal giudice, sono ora indagati a piede libero.
La giornata ha poi avuto un ulteriore epilogo di sangue. A poche ore dall’esplosione, colpi di arma da fuoco sono stati sparati sulla delegazione, che comprendeva anche il giudice della città, impegnata ad esaminare la Renault 14. Un uomo è morto e due sono rimasti feriti. Lo sparatore, arrestato, è un sergente della Gendarmeria.
Nei giorni successivi la rabbia della popolazione si è propagata in tutta la provincia ed oltre. "La reazione e la rabbia della popolazione derivano da questo, non si sa dove siano due persone sospettate di essere coinvolte in questa vicenda" è stato il commento del presidente della sezione di Hakkari dell’Associzione dei Diritti Umani (IHD).
In diversi centri i commercianti hanno deciso di chiudere i loro negozi, solo parzialmente riaperti dopo l’intervento dei politici locali. Gli studenti liceali hanno boicottato le lezioni. Marce di protesta un po’ dovunque sono sfociate in incidenti. Ad Hakkari il bilancio è di venti feriti. L’episodio più grave martedi a Yuksekova dove negli scontri sono morte tre persone: "Dopo che un autoblindo si è rovesciato urtando un palo della luce, da un secondo autoblindo è arrivata una pioggia di proiettili", ha raccontato un anonimo testimone.
L’esplosione di Semdinli è stato l’ultimo anello di una catena di diciotto attentati che hanno colpito la provincia di Hakkari negli ultimi mesi. L’episodio più eclatante si è verificato sempre a Semdinli lo scorso 1 novembre: 150 chili di esplosivo esplosi nella strada principale della cittadina che hanno provocato numerosi feriti e danneggiato decine di negozi. Di nessun attentato è stato individuato il responsabile.
Lo scenario di Semdinli ha riportato a galla nel paese i fantasmi legati al caso Susurluk, l’incidente stradale che nel 1996 ha rivelato le ambigue connivenze tra apparati dello stato, estremisti di estrema destra e capi-tribù curdi. Al caso Susurluk ha fatto apertamente riferimento anche il portavoce del gruppo di intellettuali, che nella scorsa estate aveva incontrato il Presidente Erdogan prima del suo viaggio a Diyarbakir. Nel corso di una conferenza stampa l’avvocato Ergin Cinmen ha dichiarato: "Quello che è accaduto rappresenta la continuazione delle relazioni criminali emerse nel 1996 a Susurluk. Se non si andrà al fondo di questa storia, c’è il rischio che dopo Susurluk e Semdinli si verifichino gli stessi episodi anche in altri posti. Si tratta di un film già visto".
Per il segretario del CHP (Partito Repubblicano del Popolo), Baykal, l’episodio di Semdinli: "Rappresenta un avvertimento. Non si deve incrinare la fiducia della gente nel diritto e nello Stato".
Diversi i commenti provenienti dagli ambienti militari. Il capo di Stato maggiore Ozkok ha detto di non voler nè difendere nè accusare i suoi uomini prima dei risultati dell’inchiesta. Il comandante della Gendarmeria ha definito invece i fatti di Semdinli "un episodio locale". Parole alle quali ha risposto indirettamente il Presidente Erdogan: "Dalle prime informazioni che abbiamo si deduce che non si tratta di un episodio locale ma della continuazione di un certo tipo di atteggiamento". Erdogan ha successivamente ribadito più volte di seguire molto da vicino la vicenda: "Non c’è nessuna accondiscendenza da parte nostra verso azioni al di fuori della legge".
Non sono però mancate voci critiche verso l’operato del governo anche dall’interno dell’AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo). Per il deputato Ersonmez Yarbay: "E’ importante far passare il messaggio che noi siamo decisi. Il governo non ha mostrato questa reazione".