La Grecia inquieta
Thanos Anastopoulos a tutto campo. Il regista greco parla con noi del suo ultimo film ”Diorthosi – Correction", delle proteste di piazza in Grecia, di Karl Marx e Barack Obama. Uno spaccato sulle inquietudini che animano la Grecia di oggi. Lo abbiamo incontrato a Trieste
Una delle sezioni più interessanti e "nuove" del 20° Trieste Film Festival è stata "Cinema greco: film dal margine". Una panoramica in nove lungometraggi e otto corti su un Paese tanto vicino quanto poco noto al di là delle isole, delle spiagge, dei monumenti e della sua cucina. Una nazione ai confini dell’Europa, il cui presente resta forse ancora troppo schiacciato da un passato glorioso.
Un po’ come il suo cinema ancora nell’ombra di un padre "ingombrante" come Theo Anghelopoulos. Un regista che con le sue grandi opere dal 1970 in poi – "Ricostruzione", "La recita", "Alessandro il grande", "Viaggio a Citera", "Paesaggio nella nebbia", "Il passo sospeso della cicogna", "Lo sguardo di Ulisse" – ha interpretato da protagonista la Grecia che reagì alla dittatura dei colonnelli e si aprì alla democrazia fino a entrare nella Ue. Fu il capofila di quello che allora venne definito il "nuovo cinema greco". Anghelopoulos ha oscurato, con la sua produzione forte dal punto di vista sia contenutistico che formale (i lunghi pianisequenza sono uno dei suoi marchi), i cineasti della sua generazione e anche quelle successive.
Curiosamente un "nuovo" cinema greco nasce nell’anno in cui il maestro raggiunge il vertice della carriera e vince la Palma d’oro a Cannes con "L’eternità e un giorno". È il 1998 e Konstantinos Iannaris gira "La città nuda", che sarà presentato al festival di Berlino, nella sezione Panorama, a inizio ’99.
Il film di Iannaris è anche stato il punto di partenza della retrospettiva triestina curata da Nicoletta Romeo e che ha dato spazio a lavori interessanti come "Città effimera" (2001) di Yorgos Zafiris e "Strade bloccate" (2000) di Stavros Ioannou. E soprattutto "Diorthosi – Correction", secondo lungometraggio di Thanos Anastopoulos, incluso nel concorso internazionale. Quest’ultima è la storia di un uomo esce dal carcere e si ritrova in un’Atene popolata di immigrati e senza casa. Il regista crea un’atmosfera da thriller e pedina il protagonista senza spiegare niente di lui. Chiede aiuto ai servizi sociali, segue una bambina che esce da scuola, cerca una donna. Sono la figlia e la moglie dell’albanese che aveva ucciso anni prima dopo una partita di calcio tra le due nazionali. Anche nella realtà accadde un fatto simile. Subito dopo la vittoria negli Europei 2004, la Grecia incontrò l’Albania ad Atene per le qualificazioni mondiali e fu sconfitta: negli scontri che seguirono fu ucciso un immigrato albanese colpevole di sventolare la bandiera del suo Paese. Ne abbiamo parlato con Thanos Anastopoulos.
Il suo film racconta dell’immigrazione albanese in Grecia dal punto di vista di un greco …
"Dobbiamo fare una premessa. L’immigrazione in Grecia inizia solo nel 1991, in prevalenza albanesi e polacchi. I secondi, per strane ragioni, accolti bene, forse perché più istruiti o perché cattolici. I secondi no. Anche se già cinque secoli fa c’erano state migrazioni di albanesi e in alcune zone sono rimaste tracce della lingua. La nonna del montatore ci ha raccontato che lei capiva i primi immigrati albanesi quando arrivarono. Con loro abbiamo una relazione contraddittoria, questi precedenti esistono ma non se ne parla".
E ora?
"Su 11 milioni di abitanti, circa un milione sono immigrati e il 70% di loro sono albanesi. Fanno i lavori che i greci non vogliono più fare ma non solo, hanno un ruolo importante nell’economia. Il protagonista del film trova lavoro in un ristorante di proprietà di un albanese che aveva iniziato come cameriere".
Che differenza c’è tra il suo film e i tanti fatti sugli immigrati in questi anni?
"Negli ultimi 15 anni sono stati fatti tanti film su questo tema. Il cinema ha riflettuto molto sull’immigrazione, molto più di quanto non abbia fatto la letteratura. I protagonisti delle altre pellicole erano però albanesi. Erano storie di povertà e difficoltà girate da registi di sinistra rivolti a un pubblico di sinistra. Prendevano la parte delle vittime e ricordavano che anche noi siamo stati nei decenni scorsi emigranti vivendo le stesse dinamiche. Ma in questo modo riproponevano uno stereotipo. Preparando il film mi chiedevo: chi sono per poter parlare degli altri? Mi sono accorto che di questi personaggi quello che conoscevo meglio era il greco e ho deciso che dovevo soprattutto parlare di lui. Anche se lui nella storia è il "bad guy" ".
Come è stato accolto il film in Grecia?
"E’ stato accolto bene dalla critica, ha vinto anche dei premi. Con il pubblico è andato abbastanza bene, anche se non si può considerare un successo. Credo che se non ha ricevuto critiche dal punto di vista contenutistico è perché il pubblico conserva una certa distanza rispeto a quello che vede. E questo può essere un mio []e. Lo spettatore non si sente assassino e per questo non si identifica in lui, lo sente diverso da sé. Invece a me non piacciono gli stereotipi, cerco di usarli, di giocarci per ribaltare gli approcci".
Per gran parte del film lo spettatore viene depistato da elementi ambigui.
"Nella prima parte nessuna identità è chiara, non si sa nulla dei personaggi. Anche se i greci capiscono subito, quando il protagonista esce dal carcere, che è greco e non straniero. Attraverso di lui si va a ritroso a scoprire quel che era successo prima".
Le strade hanno grande importanza nel film.
"Atene è la quarta protagonista insieme all’uomo, la donna e la bambina. Volevo mostrare la claustrofobia della situazione e la xenofobia che permea la società. L’eccesso di nazionalismo che si lega alla chiesa ortodossa. In tutto questo c’è l’origine dell’odio per i diversi".
Uscito dal carcere Yorgos si ritrova a essere un diverso.
"Sì, il paradosso è che si ritrova vittima a sua volta, in un’area sociale d’emarginazione dove ci sono gli immigrati che odiava. I ruoli si sono invertiti. Mi sembra di fare discorsi marxisti vecchio stile, ma invece Marx va recuperato, anche i suoi strumenti sono molto utili per comprendere la società di oggi. È tanto fuori moda che è di nuovo importante. Come l’altro grande Carlo, Darwin, che guarda caso è anche lui oggetto di tentativi di revisionismi. Se si vuole essere a sinistra bisogna esserlo anche quando non si è al potere. Bisogna sempre mettersi in discussione, esaminare bene le cose. È difficile perché tutti vogliono solo il potere".
C’è anche una forte presenza delle cerimonie religiose nel film.
"Sì, c’è la processione del Venerdì Santo che è un ritrovo sociale oltre che un fatto religioso. Ci andiamo tutti, anch’io che non sono credente, è un modo per coltivare rapporti sociali. È incredibile come oggi la gente torni a essere attratta dalla religione. Vedo l’Islam più in salute dell’Occidente, in senso positivo. Da noi sta ritornando il fondamentalismo. La religione ha sempre avuto un ruolo importante nelle società, fin dall’antichità. Ma ogni tanto bisognerebbe farsi delle domande. La cosa paradossale è che mentre tanti parlano di religione si sia perso quasi completamente il senso del sacro. La religione è diventata solo espressione di poteri. Ma nonostante questo sono ottimista, sono contento di vivere in questi anni perché comunque è un periodo stimolante. Forse è questione di carattere, forse è perché sono idealista, ma se non si è ottimisti si finisce con la disperazione. Che non è un buon alleato quando si deve lottare".
"Diorthosi" se l’è prodotto da solo.
"Ho chiesto un contributo pubblico e non me l’hanno dato. Avevo urgenza di fare questo film, mi sembrava fosse necessario, così ho fatto la cosa più piccolo borghese di tutte: sono andato in banca e ho fatto un mutuo. C’è chi lo fa per un’auto e chi per un film! Spero che la prossima volta sarà più facile ma non mi illudo, fare cinema è un esame continuo".
La Grecia è reduce dalle grandi proteste di dicembre. Come le legge?
"Molti fatti per anni hanno costruito un clima di tensione: la crisi globale, le tensioni sociali e i gravi scandali che abbiamo avuto nell’economia. La società è stata schiacciata senza finestre di speranza. Ogni democrazia deve avere una valvola di sicurezza in cui indirizzare le tensioni, come una pentola a pressione. Invece, mentre il governo di destra non sapeva o non voleva gestire gli scandali, l’opposizione non ha creato la possibilità di essere un’alternativa credibile. Tutto questo ha creato frustrazione".
Così si è arrivati all’incidente che ha scatenato tutto.
"Sì, una notte nel quartiere di Atene intorno al Politecnico, dove c’erano state le proteste del ’73 contro i colonnelli e che ha fama di essere quartiere di opposizione e di rivolte c’è stata una discussione tra un gruppo di giovani e la polizia. Le solite cose che si urlano alla polizia e qualche lancio di oggetti. Soltanto che un poliziotto ha deciso di rispondere, di estrarre l’arma, caricare e sparare. Un atto criminale della massima stupidità".
E c’è stata la rivolta.
"Un omicidio a sangue freddo di un ragazzo ha provocato una reazione inaspettata della società. Anche perché il giovane era la vittima perfetta: appartenente all’alta borghesia e passava di là quasi per caso. Ci sono state manifestazioni in tante città, una sorta di eventi in parallelo più che un vero movimento. Questo fatto ha toccato tutti in modi e per ragioni diverse. Come una pentola a pressione che all’improvviso si apre. Il primo ministro non ha voluto le dimissioni del ministro degli Interni e del capo della Polizia, così la protesta è cresciuta. E poi nei primi giorni alcuni gruppi hanno danneggiato negozi e banche".
E come fanno di solito i governi questo è bastato per dipengere i manifestanti come un pericolo…
"Esattamente, hanno messo i cittadini contro altri cittadini. Ma c’è stato qualcosa di più simbolico. In piazza Syntagma, di fronte al Parlamento, alcuni manifestanti hanno incendiato l’albero di Natale. Il giorno dopo il sindaco ne ha fatto mettere un altro e ha mandato la polizia a presidiarlo 24 ore su 24 e si sono viste le foto pazzesche dei poliziotti tutti intorno all’albero. L’altra cosa è che il sindaco di Atene disse di capire le ragioni della protesta ma chiese di interromperla per consentire lo shopping natalizio e di riprenderla dopo le feste. Questo per rassicurare la classe media che si poteva fare acquisti come se niente fosse. Il punto è che c’è una tensione nascosta, una classe media intera repressa. Non so che accadrà se dovesse succedere qualcosa contemporaneamente in diverse città europee. Sarà una pagina nuova nella storia dell’Europa, anche se non so in che direzione. Tra i Paesi europei ci sono più cose in comune di quello che pensiamo: i problemi sono comuni e le informazioni ormai viaggiano veloci. Basta una miccia e non so che accadrà. Non so se le polizie europee abbiano un piano per gestire tutto questo oltre a invitare la gente a essere paziente. Ma invitare alla pazienza non è un piano! Ci hanno raccontato favole a lungo e oggi non ci sono più favole. Obama negli Usa sta cercando di raccontare una speranza a questa stessa classe media frustrata. In Europa c’è più disillusione. Noi abbiamo già raggiunto quel che Obama promette a livello sociale ma abbiamo fallito".
Le proteste grece indicherebbero che c’è una reazione.
"Oggi dobbiamo tutti reinventarci. La sinistra per prima deve reinventarsi se vuole essere alternativa, deve tornare a farsi delle domande. Quel che è successo a dicembre prova che la società è malata ma ancora viva. La reazione, con blog, incontri, domande e manifestazioni, è l’inizio di una speranza, di un meccanismo nuovo".
E Obama?
"Si è presentato come un Messia, si è creato quasi una teologia. Forse è la persona più specchiata e illuminata. La sua storia mi piace, è una bella storia. Ma è rischioso. È un personaggio globale, vedremo che farà. Spesso nella storia i Messia hanno portato a catastrofi. Il timore è di un evento violento se le aspettative sono troppo alte o di una reazione se invece funziona. Temo che, come dice il film di Paul Thomas Anderson, "ci sarà sangue". Del resto ci sono persone che diventano eroi perché sono pronti a giocare un ruolo per i bisogni della società in quel momento. Obama è come se avesse accettato un ruolo. Quello che servirebbe nella società di oggi sarebbe la responsabilità individuale di ciscuno di noi nel nostro posto della società. Che ciascuno fosse eroe per la propria famiglia e i propri amici. Avremmo cittadini più responsabili. Ma molti preferiscono che siano gli altri a prendere le decisioni per loro: è umano anche questo. Del resto sia la paura sia la speranza sono molle per attivarsi. Quel che mi turba è che oggi siamo tutti dentro un incubo e non ne parliamo".