La frattura

Un libro che mette in campo la difficile condizione dei diversi in un universo che chiede a loro di nascondersi. Una recensione di "La frattura" che ha valso al suo autore Darko Tuševljaković il Premio dell’Unione europea per la letteratura

10/02/2020, Diego Zandel -

La-frattura

mbond77/Shutterstock)

Due lunghi racconti, legati solo dal filo di sangue che unisce un figlio omosessuale a un padre ex ufficiale dell’esercito, per il quale un figlio così rappresenta un’umiliazione, compongono il romanzo del serbo-bosniaco Darko Tuševliaković “La frattura”, vincitore del Premio dell’Unione europea per la letteratura, pubblicato in Italia da Voland nella bella traduzione di Anita Vuco e a cura di Manuela Orazi.

Il primo racconto è ambientato in Grecia, a Corfù, dove vanno in vacanza Bogdan e la moglie Radica, i genitori di Damir, un ragazzo, ma lo verremo a sapere nel secondo racconto, o seconda parte del romanzo, omosessuale, il cui nome già qui occhieggia tra le pagine, nelle menzioni, molto caute ed esplosive, dei due. Trattandosi di un viaggio di gruppo che parte da Belgrado, Bogdan e Radica si uniscono in compagnia –  già sul pullman che li porta sull’isola greca – a Zoran, un medico, e alla sua bella e giovane moglie Tanja. Alloggiati in un villaggio turistico, la cui struttura è gestita alla bell’e meglio, i quattro trascorrono più o meno tutto il tempo insieme, spingendo alle confidenze le due donne. A un certo momento accade anche una sorta di scambio di coppia, o sospetto tale, che – se ha il suo risvolto boccaccesco tra Tanja e Bogdan che, per quanto anziano, finiva ogni volta per essere attratto dalle curve della donna – resta avvolto nel dubbio relativamente al rapporto di Radica con Zoran, del quale a Bogdan non sfugge il ritorno tardivo di lei in camera, per essere rimasta fino a sera tardi in spiaggia con quello.

Ai dichiarati sospetti di Bogdan, che rinfaccia alla moglie il tradimento, Radica gli rivela invece che sta più tempo con Zoran per tenerlo lontano dalla moglie, avendo saputo da Tanja che l’uomo è uso metterle le mani addosso, per essere la donna avvezza al sesso facile, quasi affetta da bulimia sessuale, una patologia che lui frenava, appunto, picchiandola. Ma gli aspetti sessuali, a eccezione di una particolare scena di masturbazione tra Bogdan e Tanja, sono nel romanzo sempre abilmente sfumati, e anche questa scena ha risvolti, un malore di Bogdan, che la smorzano.

Comunque, la frequentazione tra i quattro, si apre a tante piccole rivelazioni che raggiungono il massimo quando a una cena i due uomini si trovano a bere fino a ubriacarsi, al punto che a un certo momento Bogdan, nell’alzare il bicchiere vuole fare un brindisi inneggiando “al paese che fu, distrutto dai froci europei”, intendendo così la Jugoslavia.

Di brindisi in brindisi, mentre Bogdan, vedendo Zoran brillo, appoggiare la testa sulla spalla di Tanja pensa alla notte prima, quando lei “gli aveva regalato una seconda giovinezza, mettendosi a giocare con lui a un gioco in cui non si era mai cimentato prima” si sente proporre da lui un altro gioco. Quale? Quello di raccontare ciascuno la propria esperienza più tragica, “qualcosa che non ha mai raccontato a nessuno, qualcosa che finora ha custodito nel profondo di sé”. Alla riluttanza iniziale di Bogdan, che sospettava una provocazione di Zoran per aver forse saputo da Radica del figlio omosessuale, segue la decisione di stare al gioco. Ma accade che, mentre prende avvio la sua storia, di quando era nell’esercito – quella di un soldato che si era rivelato un ottimo tiratore per finire poi suicida per essere stato tradito dalla promessa sposa – Bogdan viene continuamente disturbato da un gruppo promiscuo di olandesi ubriachi seduti al tavolo vicino, tanto rumoroso e inopportuno nei modi (il lancio di una bottiglia gli arriverà alle spalle) da finire col mescolare il dolore del ricordo per quel soldato suicida con la rabbia per il comportamento degli olandesi. Una pagina magistrale di Tuševljaković, che esplode quando, arrivato al suicidio del soldato che si fa esplodere una bomba a mano tra le gambe, vede tra gli olandesi due donne baciarsi in bocca. A quel punto Bogdan non ci vede più, si alza da tavola e si lancia contro le due donne, così scatenando una rissa furiosa, alla quale il povero Zoran, intervenuto per tirar fuori l’incontenibile Bogdan, finisce col prenderle anche lui, finendo entrambi nella stessa camera d’ospedale.

Una situazione estrema che vedrà i quattro in qualche modo svelati l’uno all’altro, con Radica che, disgustata per la reazione eccessiva del marito, manifesta il suo disappunto standogli lontana e come indifferente alle sue precarie condizioni fisiche, una reazione che, capiremo, è la risposta alla ferita famigliare che si porta dietro, nella consapevolezza che la violenza del marito contro le due lesbiche aveva a che fare con il figlio omosessuale. La deflagrazione ci sarà quando, a un certo momento, dopo la ripresa del gioco delle rivelazioni, lì, nella camera d’ospedale Radica prenderà la decisione non solo di lasciare il consesso, ma Bogdan. Un abbandono bell’e buono, tant’è che inutilmente cerca di fermarla, richiamandola.

Ma lei non lo ascoltava. Spalancò il portafoglio e fece un passo verso Tanja e Zoran. Voltò la fotografia verso di loro e la inclinò in direzione della luce fantasma. La vide anche Bogdan.

– Questo, – disse, spingendo la fotografia sotto il loro naso – questo è nostro figlio. Damir. È nato ventisei anni fa, si è laureato e poi si è iscritto a una seconda facoltà. A suo tempo, avrebbe voluto scrivere un libro. Se lo avessimo sostenuto, forse l’avrebbe scritto. Due settimane fa se n’è andato. In Germania. Con un amico”.

A quel punto lei se ne va, lasciando cadere significativamente sul pavimento le chiavi di casa. È il suo addio da Bogdan, dalla loro casa, dal loro matrimonio, è la frattura, che dà il titolo al romanzo, generata dal disprezzo di Radica per il marito, che non ha accettato il figlio omosessuale.

Quel figlio, Damir, che incontreremo nella seconda parte del romanzo e che si presenterà scrivendo in prima persona. Lo troveremo, dopo la separazione dei genitori, a Kragujevac, nella regione serba della Šumadia, dove studia. Si frequenta con David, uno studente la cui personalità occupa buona parte del racconto a causa della forte influenza che ha su Damir che ne sembra stregato fino a trovarsi coinvolto in eventi che, tra risse, bevute, citazioni letterarie, l’ambizione di Damir di diventare scrittore e così via, rendono più forte la loro complicità.

Il racconto si dipana tra diversi aspetti, tra cui uno magico (David racconta che a uno spettacolo di un illusionista la madre incinta di lui di otto mesi fu chiamata sul palco per essere ipnotizzata in forme che arrivarono fino a lui nel ventre, con influssi subiti ancora da allora), e altri non esenti da sguardi su quella che fu la Jugoslavia, essendo entrambi figli di genitori provenienti dalle diverse parti che un tempo la componevano: David di madre slovena e Damir di madre croata, per averla Bogdan conosciuta quand’era ufficiale dell’esercito di stanza in Istria.

Il momento più drammatico dell’articolato racconto resta quando Damir rivive la propria cacciata da casa da parte del padre Bogdan dopo che questi ha appreso della omosessualità del figlio: una svolta della sua vita, una nuova frattura, che lo allontanerà per sempre dai genitori, confermando a posteriori la decisione che abbiamo visto nella prima parte del romanzo prendere dalla madre. Una sorta di flash back che, da due prospettive diverse, mette in campo la difficile condizione dei diversi in un universo che chiede a loro di nascondersi e che emerge verso la fine del libro quando Katarina, un’amica comune di Damir e di David, di fronte alla sparizione improvvisa di quest’ultimo che pure il primo aveva accompagnato fin davanti al portone di casa, gli dice: “Quella è una città piccola per nascondersi. Devi impegnarti molto per passare inosservato tanto a lungo”.

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