La forza delle parole

Gordan Mihić, classe 1938, è uno dei più brillanti sceneggiatori serbi. La sua carriera dagli esordi nel mondo del giornalismo al successo con i film di Paskaljević e Kusturica. Nostra intervista

03/04/2008, Ana Luković - Belgrado

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Quando è entrato nel mondo del cinema? Come si è sviluppata la sua carriera?

Ho cominciato come giornalista, prima quando andavo a scuola e poi in un tabloid. Ma non vorrei tornare in quel mondo. Nella rubrica culturale per cui lavoravo scriveva un critico cinematografico, il mio collega Slobodan Glumac faceva lo sceneggiatore, e il mio amico Ljubiša Kozomara amava il cinema e mi ha proposto di scrivere una sceneggiatura. Non sapevamo come si facesse, ma abbiamo scritto la sceneggiatura „Doći i ostati" (Arrivare e restare), sulla migrazione dal villaggio alla città. Era il 1963.

A quel tempo, tra l’altro, lavorava con noi in redazione Milan Milićević Lango, il migliore amico di Đorđe Marjanović, il cantante più famoso dell’epoca, che voleva che si girasse un film su di lui. Đorđe aveva chiesto a Lango di scrivere la sceneggiatura. Lango ci chiamò e noi tre una sera ci sedemmo a tavolino, creammo una storia, la dividemmo in tre parti, e alle 9, quando la redazione apriva, la sceneggiatura era pronta. Fu il nostro primo film, catastroficamente accolto dalla critica.

Nel frattempo, io e Kozomara, con la nostra sceneggiatura „Doći i ostati", eravamo riusciti a conquistare l’interesse di Slobodan Bobu Selenić, direttore artistico di Avala film. Lui disse: "Fantastico, lo vorrei fare". Ma poi non si fece sentire per due giorni, allora noi andammo a Zagabria dal direttore di Jadran film, Sulje (Sulejman) Kapić. Il segretario prese la sceneggiatura e la lesse, poi scoprimmo che era Branko Baletić. Firmammo subito un accordo, e quando tornammo a Belgrado Boba Selenić ci stava aspettando per firmare con Avala film. Alla fine si fece una coproduzione. Il film vinse il secondo premio al festival di Pula, e quello fu il mio vero inizio, perchè noi due volevamo che questo fosse il nostro primo film.

Nel corso dei sette anni successivi, io e Ljubiša Kozomara abbiamo avuto una carriera da meteore, diretto altri sette film, fino a „Vrane", che ha partecipato a 11 festival internazionali e ottenuto molti premi, ma non è mai stato proiettato a Belgrado. Tra „Doći i ostati" e „Vrane", abbiamo girato con Žika Živojin Pavlović il film „Kad budem mrtav i beo", una sorta di omaggio all’onda nera… Siamo stati riconosciuti come persone che facevano film un pò fuori della norma, ma non abbiamo mai avuto problemi. Allora ho cominciato a lavorare anche in televisione, con una serie per cui ho vinto anche un premio…

Questo fu il mio inizio nei primi dieci anni, fino al 1969. In seguito ci siamo un po’ divisi, e ognuno ha cominciato a lavorare per conto suo. Fino ad oggi ho scritto 45 sceneggiature, diretto 4 film, realizzato 18 serie TV e drammi radiofonici, scritto alcuni libri e così via.

Che significato ha avuto il cinema serbo fino al 1990? Qual era la sua importanza per il regime e per la società? Quante risorse umane e finanziarie venivano stanziate, e con che risultati?

Gordan Mihić

Il cinema serbo ha avuto una grandissima importanza. In Serbia, e solo in Serbia, non c’è mai stato un cinema di regime. Fino al 1990 si potevano girare film anche contro il regime, ed anche guadagnare soldi facendolo. Chi lavorava nelle strutture statali sosteneva l’arte e il cinema. Nessuno aveva problemi con i finanziamenti. In seguito, con la democrazia, abbiamo dovuto cominciare da zero, e gli attori hanno monopolizzato i finanziamenti. È terribile, ma è la verità. Ora lo Stato ha ripreso a finanziare il cinema, ma solo in modo molto limitato.

Ed il cinema, come è sopravvissuto ai cambiamenti?

Non è cambiato molto. Ogni nuovo film è un nuovo inizio, una nuova ricerca per lo sceneggiatore. Per quanto riguarda gli attori, continuiamo ad averne di grandissimi, così come per i maestri della ripresa e del suono. In realtà avevamo tutto quello che ci serviva. Al cinema serbo non è mai mancata la libertà, ma bastavano anche i soldi. Anche ora si guadagna qualche soldo, ma non abbastanza. La cosa più grave è che non ci sono cinema. In passato, se un film aveva 60.000 spettatori era un fiasco. Ora è un successone, dal momento che i cinema sono pochissimi. Gli investimenti stranieri sono sempre stati pochi, a parte nel periodo di Ratko Dražević, il grande direttore di Avala film, ma è durata solo qualche anno.

Si è sviluppato dopo il 1989 un sistema di distribuzione e promozione pubblicitario moderno e funzionante?

Si è sviluppato, ma senza cinema non serve a molto. Questo è il problema più grande a partire dagli anni ’90. Il mio film Dnevnik (Diario) al cinema l’hanno visto in 2000. Però è stato mostrato in televisione, e così l’hanno visto molti più spettatori. Alcuni miei film hanno avuto 500-600.000 spettatori, ma allora non c’erano la televisione e Internet, e andare al cinema era l’unico modo di vedere un film. Penso in ogni caso che certi film vadano fatti, senza pensare a quanti spettatori avranno.

Come sono cambiati i luoghi del cinema?

Oh, questa è una catastrofe… Le strutture sono state vendute dal Ministero della Cultura e privatizzate, quindi ristrutturate e adibite ad altri scopi più redditizi. Il cinema, come il teatro, almeno a livello locale, non è certo una macchina da soldi. Ci sono delle compagnie emergenti, ma non hanno sufficienti meccanismi per sostenerle. Ci vorrebbero delle leggi sul modello francese.

In che cosa consiste, secondo lei, il carattere "nazionale" della cinematografia serba rispetto a quella dei vicini?

Credo che il cinema serbo si distingua per la forte personalità dei suoi autori, lo stretto legame con la vita e il grande talento.

Che importanza hanno per il cinema balcanico l’UE e gli Stati Uniti?

Per quanto ne so, l’America non dà nessun sostegno. Forse ci sono alcune co-produzioni, ma in quel caso vanno in Bulgaria, è normale che il capitale vada dove è più sicuro. L’Unione Europea ha il fondo Euroimage. Insieme ad altri 4 autori, ho ottenuto i mezzi per fare un film. Questa organizzazione sa riconoscere i buoni film e finanziarli, anche se penso che dovrebbe sostenere di più il cinema serbo. Tuttavia, le iniziative dovrebbero partire dal nostro paese. Penso che il cinema serbo meriterebbe un trattamento migliore. Cannes e Venezia hanno un certo snobismo nei nostri confronti, pensano soprattutto ad avere grandi nomi e volti alla moda. Non c’è molto posto per gli autori serbi, non c’è nemmeno un premio alla scenografia. Berlino è un po’ più aperta, e a differenza di Cannes non ha pregiudizi.

Come vede il futuro del cinema serbo, e il suo futuro personale?

Cambieranno le forme e le tecniche cinematografiche. I cinema non moriranno mai, ci saranno sempre giovani che vorranno andarci con il ragazzo o la ragazza. Ma perché la gente torni al cinema bisogna ricominciare a girare e produrre molti film, di tutti i generi. Negli ultimi anni poi si è affermata una sorta di dittatura della regia, un film si identifica dal nome del regista. Io invece ritengo che la sceneggiatura non sia una cosa secondaria… Per me non era un problema, ma ora lo sta diventando per i giovani sceneggiatori, questa è un’ingiustizia e un rischio per il futuro.

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