La Fortezza di Cotone e la Chiesa dell’Apocalisse
Dal candore abbagliante delle terrazze calcaree di Pamukkale con la zona archeologica di Hierapolis, all’atmosfera sospesa di Laodicea, un viaggio tra meraviglie naturali e antiche città romane nel cuore fragile e maestoso della Turchia

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Panoramica di Pamukkale dall'alto - Foto F. Polacco
È inutile: per quante foto tu abbia visto in precedenza, per quanto tu possa averne letto e altri te ne abbiano raccontato, il primo impatto con quel Grande Bianco che è Pamukkale ti sorprende.
Sarà perché lo vedi tutto insieme ad una giravolta della strada, l’ultima venendo da Denizli. O perché non è un bianco normale: non quello del marmo più candido, pur essendo pietra; non quello della neve, perché qualsiasi manto nevoso è prima o poi interrotto da un bosco o da un albero.
Ecco, forse la falesia candida che riluce alle pendici della città greco-romana di Hierapolis dà l’idea di un ghiacciaio: solo che anche il ghiacciaio da qualche parte si scioglie, si liquefà, e le stratificazioni più recenti o più antiche hanno un grado di biancore diverso.

Ai bordi dell’altopiano su cui sorge l’antica Hierapoli, inizia la grande calotta di pietra bianca che ha dato il nome a Pamukkale – Foto F. Polacco
Invece qui è tutto compatto, immoto, assolutamente bianco. E lo specchio d’acqua che si estende più in basso, una specie di laghetto alpino in cui si riflette il costone, non è determinato dal suo scioglimento. Al contrario: sono le sorgenti d’acqua, i rivoli innumeri, i torrentelli scoppiettanti ad aver creato l’immensa scenografia di pietra.
Il carbonato di calcio che trasportano, unito al calore termale delle sorgive, ha formato una serie di terrazzamenti pietrificati a più livelli, modellati in conche curvilinee che raccolgono le acque: e queste, strabordando, continuano ad accrescerle in ulteriori, millenarie concrezioni.

Laghetto creato dalle acque termali che hanno generato il bianco costone calcareo di Pamukkale – Foto F.Polacco
Meglio però dimenticare le foto d’epoca in cui masse di turisti si crogiolano indisturbati entro quelle piscine naturali. Di davvero accessibili ne sono rimaste pochissime, il percorso è rigidamente controllato, così come è vietato aggirarsi per le ‘scogliere’ con qualunque tipo di calzature, neppure con ciabatte di gomma: ammessi solo i piedi nudi.
La ‘Fortezza di Cotone’ (questo significa Pamukkale) è un tipico caso di quello che oggi è di moda definire overtourism; e il calpestio di decine di migliaia di scarpe, scarponi o scarpette su quelle candide distese non farebbe altro che annerirle, consumarle. E allora addio a questo Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO: titolo che la località, con la zona archeologica di Hierapolis, ha acquisto nel 1988.
Più che per le testimonianze monumentali, quindi, è per questa meraviglia geologica che i turisti pagano senza fiatare i 30 euro del biglietto di ingresso.
La rinomanza ha i suoi inconvenienti: rumorosi ‘girocotteri’ sorvolano il sito per consentire a chi se lo può permettere un tour dall’alto; trenini elettrici carichi di turisti sfrecciano sfiorando i pedoni lungo le stradine che collegano i principali punti di riferimento. Tuttavia, chi vuole salire all’antico teatro, o alla basilica che contiene i resti dell’apostolo Filippo, oppure inoltrarsi tra i resti dispersi nel verde della vastissima agorà, dovrà rassegnarsi a scarpinare.

Hierapolis, il teatro ellenistico-romano – Foto F. Polacco
Raccontare qui anche solo una parte di quanto si può vedere a Hierapolis sarebbe improbo quanto inutile. Ma un paio di cose che non entrano nel solito circuito dei gruppi organizzati vanno segnalate.
Anzitutto, proseguendo verso la Porta settentrionale, per lungo tratto il costone candido diventa pressoché pianeggiante, creando un effetto quasi da circolo polare: lì, una ‘calotta di ghiaccio’ ha inglobato, sigillandole per sempre in una morsa, tombe monumentali che ne emergono come isole.
Inoltre, nel giardino del Museo archeologico (allestito nelle terme romane) vi è una serie fenomenale di maestosi capitelli marmorei ornati di sfingi: un esempio lampante del ‘barocco’ in auge nella piena età imperiale. Perfino a Roma è impossibile trovarne altrettante tracce: perché qui in Oriente, si ricordi, l’impero rimase quasi incolume alle invasioni barbariche sette secoli più a lungo che da noi.
Hierapolis fu devastata da ingenti terremoti, per cui ad esempio quasi tutto ciò che si vede è post-neroniano. Fino ad essere definitivamente abbandonata alla fine del VI sec.d.C.
Tuttavia, l’affollamento e il movimento odierni sono tali da far quasi dimenticare che ci si trova di fronte a rovine.
Antiche tombe inglobate nel travertino di Pamukkale – Foto F. Polacco
Chi voglia invece provare il sentimento tipico dei viaggiatori romantici che, tra Sette e Ottocento, si aggiravano in siti spettacolari e decaduti, silenziosi e dimenticati, potendo meditare così sulla maestosità perduta del passato e sulla fragilità delle vicende umane, non può che prediligere una visita alla non lontana Laodicea.
Qui, non più folle affannate e affamate di selfie, non guide sgolanti, né plotoni di visitatori teleguidati da auricolari wi-fi. Qui, in un pianoro vastissimo e battuto dal vento, troviamo solo pace, suggestione e silenzio. Sparuti gruppi di visitatori punteggiano i teatri, i ninfei, i templi, i viali colonnati. Senza sommergerli: anzi, ne sono sovrastati.

Laodicea, ninfeo monumentale di età imperiale – Foto F. Polacco
La monumentalità urbanistica e architettonica di Laodicea ha ben poco da invidiare a quella della sua più frequentata vicina. L’assenza di un ‘Castello di Cotone’ la penalizza, è vero; ma in un certo senso anche la preserva. E si vede bene tutto intero proprio da qui, sull’altro lato della vallata del fiume Çürüksu, il biancore della falesia di Pamukkale in tutta la sua estensione longitudinale, ben maggiore della sua altezza: ma lontano e come sfocato, attutito, ridimensionato.
Eppure, Laodicea era in antico più famosa della sua vicina. La chiesa – cioè, in senso etimologico – ‘la comunità’ o assemblea dei fedeli che qui si adunava ai primordi del cristianesimo, è una delle ‘sette chiese’ apostrofate da Giovanni nell’Apocalisse per ammonirle ed indirizzarle verso la Salvezza. Inoltre è da qui, non da Hierapolis, dopo un terremoto più devastante degli altri, che vennero coloro che fondarono una nuova città a Kaleiçi, dando così vita all’odierna Denizli.
I suoi tessuti, forse gli stessi che ho ammirato nelle vetrine e che ho visto ricamare con destrezza nelle sartorie del bazar, erano talmente pregiati già allora che il famoso ‘calmiere’ dei prezzi voluto da Diocleziano per contrastare l’inflazione galoppante (301 d.C.) li cita come una delle merci tipiche di quello che oggi per gli economisti è il ‘paniere’.
E sì, sono anche fortunato: in una foto scattata una quindicina d’anni fa a Çavdarhisar ai resti dell’antico macellum del mercato romano, sul cui parapetto era inciso lo sterminato elenco dei prodotti dell’impero coi relativi prezzi, scopro di aver colto esattamente il particolare che ora cerco: il prezzo stabilito per la LAODICENORUM…. TELAM!

La menzione della ‘Laodicenorum Telam’, del tessuto dei Laodicei, nell’iscrizione di Çavdarhisar – Foto F. Polacco
Mi sono aggirato a lungo, per ore, da solo, tra queste rovine sparse. Mi sono inoltrato fino all’estremo della città, dove quello che ora è un vasto catino erboso e solitario era un tempo lo stadio dei giochi atletici, echeggiante i clamori degli spettatori.
Il giorno successivo ho lasciato questa regione riattraversando gli alti montani passi che la circondano e la separano dalle coste vertiginose della Licia sul Mediterraneo Orientale: verso la Fenicia, verso l’Egitto.
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