La distanza tra il Tribunale dell’Aja e noi

ll Tribunale dell’Aja per l’ex Jugoslavia ha svolto un ruolo fondamentale, ma ha dimenticato coloro nel cui interesse operava. Le recenti sentenze Gotovina e Perišić, la lotta per arrivare ad una narrazione comune del traumatico passato della regione

05/03/2013, Refik Hodžić -

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In risposta alla mia stimata antagonista in questo dibattito, e ad alcuni commentatori, ribadisco che l’idea secondo cui il Tribunale non avrebbe contribuito alla riconciliazione in ex Jugoslavia perché “non ha investito sufficiente tempo e risorse per spiegare il proprio lavoro alle comunità locali”, o perché “ha incriminato solo 161 persone”, non è convincente. Per quanto io continui a mantenere delle riserve sulla nozione alla base di questo dibattito, ritengo che gli insuccessi del Tribunale sotto questo profilo [della riconciliazione] derivino dal fatto che coloro che nel Tribunale hanno preso le decisioni, e i loro mentori politici, non si sono mai considerati responsabili di fronte alla popolazione della ex Jugoslavia come, in teoria, avrebbe dovuto essere.

Conclusione del dibattito 

Con quest’intervento Refik Hodžić tira le somme del dibattito di cui è stato protagonista assieme a Janine N. Clark e dedicato al Tribunale dell’Aja e alla sua eredità

Nel desiderio di tenersi lontani dalla “politica” e di lasciare che “le sentenze parlassero da sole”, [il Tribunale] non ha mai sentito il bisogno di rendicontare adeguatamente, alle persone nel cui interesse operava, su questioni cruciali quali la logica che animava la strategia della Procura o la cosiddetta politica delle sentenze.

Cavilli giuridici, terremoti politici

Le recenti sentenze di appello nei casi Gotovina e Perišić sono un esempio lampante di questa “sindrome della torre d’avorio”. Entrambe contengono una svolta significativa nella giurisprudenza del Tribunale, apparentemente di tipo tecnico. Il ragionamento sulla logica legale [di queste sentenze] può essere ricostruito solo da quanti siano disposti a scavare nelle note alla ricerca di un significato inafferrabile, pronti a fare un atto di fede per escludere quelli che appaiono essere ovvi motivi di natura politica.

Queste sentenze hanno causato un terremoto nella regione, con implicazioni reali e distruttive sul “processo di riconciliazione”. E mentre si scatenano dibattiti virulenti su “nazioni vittoriose e cause giuste”, “ingiustizie storiche”, “cospirazioni politiche e scambi” tra serbi, croati e bosniaci che cercano di darsi conto di questi verdetti, una voce rimane fragorosamente silente. Quella del Tribunale.

Questa del resto non è un’eccezione ma la regola: i giudici del Tribunale sono sempre stati e saranno sempre più interessati in quello che hanno da dire sulle loro sentenze gli autori delle riviste di diritto internazionale, piuttosto dei popoli alla cui pace duratura avrebbero dovuto teoricamente contribuire. Al massimo, lasceranno al programma outreach del Tribunale il compito di “vendere” le loro decisioni alle comunità interessate.

Cos’è l’outreach?

La mancanza di volontà di considerare come il lavoro dei giudici influenza il mandato del Tribunale, tuttavia, non può essere compensata dal programma outreach. In particolare per come questo programma è interpretato e attuato dalla maggioranza delle corti internazionali, cioè come una libera miscela di public relations, diffusione di informazioni de-contestualizzate e infinita serie di conferenze.

Continuo a credere che il Tribunale abbia un’importanza fondamentale per il contributo dato all’accertamento delle responsabilità e per aver portato alla luce i fatti relativi ad alcuni dei più gravi crimini commessi in ex Jugoslavia. In maniera più profonda, tuttavia, ho finito per accettare il fatto che il Tribunale dell’Aja, sfortunatamente, non è la NOSTRA istituzione, ma solamente un altro organo delle Nazioni Unite. Coloro che ne influenzano il funzionamento e le decisioni interpretano il mandato di contribuire ad una pace duratura nella regione in un’ottica molto diversa dalla nostra.

Dobbiamo aspettare di vedere completato il suo lavoro, grati per le cose buone che ha fatto e sperando che non danneggi irreparabilmente la sua credibilità. Poi, dovremo setacciare il suo archivio alla ricerca di pezzi di verità che possano aiutarci nella nostra lotta per arrivare ad una narrazione comune del nostro traumatico passato. Ma questo dovrà essere fatto con una fredda, oggettiva e integrale accettazione della distanza esistente tra il Tribunale e noi, le persone che avrebbe dovuto servire.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell’Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l’Europa all’Europa

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