La crisi abitativa nei Balcani occidentali
In città come Belgrado, Tirana e Pristina il costo degli alloggi è ormai troppo alto rispetto al livello delle retribuzioni. Il mercato immobiliare è sempre meno accessibile, soprattutto per i giovani, ma le istituzioni stentano a fare la loro parte

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Panorama di Pristina - © Offthecouchexperience/Shutterstock
(Questo articolo è stato originariamente pubblicato da Kosovo 2.0 nell’ambito di PULSE.)
Da sette anni Dejana Stošić vive in affitto a Belgrado. Questa ventiseienne originaria di una cittadina del sud della Serbia lavora per un’azienda privata e ha da poco visto aumentare il suo stipendio, ma per il momento non ha in programma di lasciare l’alloggio condiviso in cui abita. Il costo della vita nella capitale serba ormai è molto alto.
“Ci impiego un’ora e mezza per arrivare al lavoro ma non posso permettermi di trasferirmi vicino all’ufficio, perché si trova in uno dei quartieri più cari di Belgrado”, racconta. “Da alcuni anni ormai spendo più della metà del mio stipendio in bollette e affitto”.
Alloggi fuori portata
Qualche anno fa, il Ministero dello spazio , un’ong di Belgrado specializzata nello sviluppo urbano, ha creato una mappa open-source che raggruppa annunci di abitazioni in affitto e in vendita sul mercato belgradese mettendoli in relazione con i salari medi e mediani. L’esperienza di Stošić non è isolata: la mappa indica che in molte zone di Belgrado il costo degli alloggi è tutt’altro che abbordabile.
Di recente il governo serbo ha lanciato un programma di prestiti agevolati destinato alle persone tra i 20 e i 35 anni che hanno intenzione di acquistare la loro prima casa; l’acconto richiesto è solo dell’1 per cento. Migliaia di persone hanno presentato domanda, ma il programma è stato criticato per la sua scarsa sostenibilità. Altri programmi statali di prestiti agevolati riguardano solo le cittadine e i villaggi di campagna.
Secondo Numbeo , un database open-source, affittare un bilocale nella zona centrale di Belgrado può costare dall’equivalente di 600 euro all’equivalente di 1.200 euro al mese. In periferia invece i prezzi per un bilocale variano dai 300 ai 650 euro, utenze escluse.
Eurostat definisce un alloggio “accessibile” quando il suo costo, comprensivo delle bollette, non supera il 40 per cento del reddito disponibile di una famiglia. A dicembre 2024, secondo le statistiche ufficiali, lo stipendio medio mensile in Serbia ammontava all’equivalente di 837 euro. Un indicatore più accurato del reddito tipico è però il salario mediano, che si aggirava sui 680 euro.
“Questo significa che una famiglia di tre persone a Belgrado, con due stipendi mediani, può pagare fino a 400 euro al mese per l’alloggio senza subire una pressione finanziaria eccessiva”, spiega Marko Aksentijević del Ministero dello spazio. Gli appartamenti pubblicizzati a quella cifra, però, sono quasi tutti monolocali. “Le famiglie sono costrette a scegliere: vivere stipati in uno spazio troppo piccolo o pagare più di quanto possano realmente permettersi. La situazione è allarmante”, sostiene Aksentijević.
Secondo il ministero dell’edilizia solo il 10 per cento della popolazione serba può permettersi di affittare o acquistare un’abitazione senza subire difficoltà economiche. “È chiaro che lo stato deve aiutare fasce più ampie della popolazione rispetto a quelle che vivono in condizioni estremamente difficili”, afferma Aksentijević.
La pandemia da Covid-19 e la guerra in Ucraina hanno contribuito in modo significativo all’aumento del costo della vita e all’aggravarsi della crisi abitativa in Europa. “A Belgrado i costi dell’affitto hanno avuto un’impennata nel 2022, aumentando del 50 per cento in meno di un anno. Il rincaro è stato legato all’arrivo di migliaia di cittadini russi fuggiti dal loro paese dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina”, ci spiega City Expert, una delle agenzie immobiliari più grandi della Serbia.
Uno sviluppo urbano incontrollato
Secondo i dati forniti dal programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani (UN-Habitat), lo scorso anno ha segnato una tappa fondamentale nello sviluppo urbano del Kosovo. Per la prima volta, più della metà della popolazione del paese (il 50.2 per cento) vive nelle aree urbane.
La guerra del 1998-1999 ha avuto un impatto significativo sulla disponibilità degli alloggi in Kosovo. Secondo Besnike Koçani, di UN-Habitat, il 40 per cento delle abitazioni è rimasto distrutto o gravemente danneggiato, e così parte della popolazione rurale si è trasferita in città in cerca di un rifugio. “Il panorama abitativo ha registrato un notevole aumento dell’abuso edilizio, in particolare nei primi anni 2000”, aggiunge Koçani. “Questo è avvenuto principalmente a causa dei deboli controlli da parte delle autorità e di una pianificazione urbana insufficiente”.
In questi decenni le aree urbane del Kosovo sono diventate più dense, dominate da condomini spesso costruiti senza tenere in considerazione la capacità infrastrutturale o i piani regolatori. Ne sono derivate un’espansione urbana incontrollata, una pressione crescente sui servizi pubblici e maggiori disparità tra i diversi comuni. In molti casi ci sono problemi con la fornitura di acqua ed energia elettrica, con le fognature e i trasporti.
Negli ultimi anni alcune aree, specialmente quella di Pristina, hanno vissuto un vero boom edilizio. Secondo i dati di UN-Habitat, il numero totale di unità abitative è cresciuto del 41 per cento: da 412mila nel 2011 a 583mila nel 2024. È però quasi raddoppiato anche il numero di case e appartamenti vuoti, che sono passati da 100mila nel 2011 a 183mila nel 2024.
L’aumento del numero di alloggi sfitti è strettamente legato alla folta diaspora del Kosovo. Centinaia di migliaia di kosovari vivono e lavorano all’estero: molti di loro investono in immobili nelle loro città natali, o come progetto per la pensione o per sostenere le proprie famiglie. Queste abitazioni rimangono spesso vuote per gran parte dell’anno, poiché i proprietari vi fanno ritorno solo durante le vacanze.
Gli investimenti della diaspora stimolano il settore edilizio in Kosovo ma alterano anche il mercato immobiliare, perché riducono l’offerta e fanno salire i prezzi. Secondo Numbeo, affittare un bilocale a Pristina costa tra i 225 euro e gli oltre 300 euro. Un appartamento con tre camere da letto viene solitamente affittato a oltre 300 euro nelle zone periferiche e a più di 600 euro nelle aree centrali. Secondo i dati ufficiali più recenti, risalenti al dicembre 2021, lo stipendio mensile medio in Kosovo si aggira sui 550 euro netti.
Non ci sono dati ufficiali che misurino l’aumento dei prezzi immobiliari avvenuto in Kosovo negli ultimi anni. “Secondo la mia stima, l’aumento è stato tra il 20 e il 30 per cento”, dice Driton Tafallari, esperto di immobili e sviluppo urbano. Di sicuro l’aumento è stato notevole.
Costretti a vivere coi genitori
Anche l’Albania sta affrontando una crisi immobiliare simile, con affitti alle stelle e stipendi stagnanti. La popolazione urbana è in aumento e lo sviluppo edilizio è incontrollato, ma l’accessibilità economica rappresenta un grosso problema, specialmente nella capitale e soprattutto per i giovani.
Emre Berisha, un tassista venticinquenne di Tirana, vive con i suoi genitori nella casa di famiglia, come il 70 per cento dei giovani albanesi. “Non vedo come riuscirò mai a permettermi di andare a vivere da solo. Il mio reddito dovrebbe almeno raddoppiare”, dice Berisha. “L’unico modo per andare via di casa sarebbe sposarmi e aprire un mutuo”.
Come Pristina e Belgrado, Tirana è il maggiore centro economico del suo paese e attira un gran numero di giovani che vi si trasferiscono per studiare o cercare lavoro. Diversamente da Berisha, però, molti di loro non hanno una casa di famiglia in città e sono costretti ad affittare un alloggio. Affittare un bilocale nella zona centrale di Tirana può costare tra l’equivalente di 500 euro e l’equivalente di 900 euro al mese, utenze escluse, mentre in periferia i prezzi scendono a 350-500 euro, secondo Numbeo.
L’edilizia sociale può fornire una soluzione?
Nel 2018 l’Albania ha lanciato un programma di prestiti agevolati destinato alle giovani coppie sposate, che però ha ricevuto ampie critiche per le sue carenze. In parallelo, nel 2025 circa 1200 coppie hanno avuto accesso agli alloggi popolari a Tirana.
Per poterne beneficiare devono dimostrare che il loro alloggio attuale non rispetta gli standard minimi di abitabilità, ma le domande per gli alloggi popolari superano di gran lunga le disponibilità e oltre la metà delle richieste non viene soddisfatta.
In Kosovo attualmente non esistono programmi abitativi specifici per i giovani. Nel dicembre 2024 il Parlamento ha però approvato una legge sull’edilizia sociale e accessibile, che pone le basi per una strategia immobiliare nazionale.
Dovrebbe essere istituita un’apposita agenzia per monitorare e centralizzare l’attuazione delle misure previste, che comprendono sussidi per l’acquisto di appartamenti. La legge estende inoltre i benefici dell’edilizia popolare a chi non può permettersi un’abitazione ai prezzi di mercato, fissando un tetto massimo per l’affito al 30 per cento del reddito familiare.
Secondo un rapporto del 2014 della Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (l’analisi disponibile più recente), in Albania l’edilizia sociale, sia pubblica che privata, corrispondeva solo allo 0,1 per cento degli edifici residenziali, mentre in Serbia ammontava allo 0,5 per cento; all’interno dell’UE l’8 per cento del patrimonio abitativo è classificato come edilizia sociale. In Kosovo l’edilizia sociale è regolata dai singoli comuni, la maggior parte dei quali ha costruito o destinato edifici all’edilizia sociale negli ultimi decenni.
Come in Albania e in Serbia, l’edilizia sociale in Kosovo ha lo scopo di sostenere i cittadini più vulnerabili. Molti altri, però, non sono in grado di permettersi l’acquisto di una casa.
Questo articolo è stato prodotto nell’ambito di PULSE, un’iniziativa europea coordinata da OBCT che sostiene le collaborazioni giornalistiche transnazionali.
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