La Coalizione delle donne di Serbia e Kosovo
È una novità senza precedenti. La Rete delle donne kosovare e le Donne in nero della Serbia si sono unite in una Coalizione pacifista per intervenire nei negoziati sullo status del Kosovo. La Coalizione richiama la risoluzione 1325 dell’Onu sul ruolo delle donne nei processi postbellici
Di Jelena Bjelica, Danas, 3 giugno 2006; traduzione di Persa Aligrudic per Le Courrier des Balkans e di Carlo Dall’Asta per Osservatorio sui Balcani
La Coalizione pacifista femminista ha da poco pubblicato il suo primo comunicato, a proposito dei negoziati sulla protezione del patrimonio culturale. Il comunicato sottolinea tra le altre cose che le autorità di Serbia e Kosovo hanno passato sotto silenzio la risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che invita i governi a coinvolgere un maggior numero di donne nei processi politici postbellici, e che la Coalizione appena costituita ha deciso di tenere dei negoziati paralleli.
È la prima volta, in questi ultimi quindici anni di attivismo femminista sul territorio dell’ex Jugoslavia, che viene formata ufficialmente una coalizione tra due importanti organizzazioni di Serbia e Kosovo. Certo durante tutti questi anni è stata a più riprese espressa solidarietà tra le donne del Kosovo e quelle serbe, ma non c’era mai stata una collaborazione istituzionale così forte.
Cosa rivendica la Coalizione pacifista femminista nei negoziati sullo status del Kosovo?
– Il rispetto della Risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite «Le donne, la pace, la sicurezza»
– La partecipazione delle donne ai negoziati sullo status del Kosovo
– Il riconoscimento e il rispetto delle pacifiche iniziative delle donne legate ai negoziati sullo status del Kosovo
– Un seguito ai negoziati pacifici sotto forma di valutazione da parte delle reti pacifiste di donne (di Serbia e Kosovo)
– Il sostegno alla sua piattaforma da parte delle reti femminili internazionali
– Il riconoscimento e il rispetto da parte degli attori importanti della comunità internazionale, non in quanto soggetto «complementare» o «ornamentale» nei negoziati, ma come attore di estrema rilevanza nel processo di pace e di pacifica negoziazione.
La serie di riunioni che si è tenuta tra le Donne in nero serbe e la Rete delle donne kosovare ha dato l’avvio ad una iniziativa civica indipendente fondata sulla solidarietà delle donne. La coordinatrice della Rete delle donne kosovare, Igbala Rogova, e le rappresentanti delle Donne in nero, Stasa Zajovic, Jovana Vukovic e Vera Markovic, si sono incontrate all’inizio di marzo 2006 a Belgrado nel quadro di una riunione regionale della fondazione svedese Kvinna till Kvinna, per discutere della situazione politica in Serbia, della sicurezza, della pace nella regione e della partecipazione delle donne in questo processo.
In quell’occasione si sono occupate della loro futura collaborazione: riunioni comuni, tavole rotonde, comprensione femminista delle implicazioni della sicurezza, partecipazione delle donne alla costruzione della pace e nei processi pacifici, organizzazione di negoziati paralleli delle donne in cui saranno commentate e criticate le posizioni e le conclusioni ufficiali (serbe e kosovare) delle équipe di negoziazione.
Negoziati paralleli
Un mese e mezzo più tardi, il 23 maggio, queste due organizzazioni hanno pubblicato il loro primo comunicato sotto il nome comune di Coalizione pacifista femminista, a proposito dei negoziati sulla protezione del patrimonio culturale. Il comunicato annuncia che le autorità di Serbia e Kosovo non hanno tenuto conto della risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che invitava i governi ad includere un maggior numero di donne nei processi politici postbellici, e che questa nuova Coalizione delle donne ha deciso di tenere dei negoziati paralleli e di presentare delle valutazioni in merito a tutte le questioni affrontate a Vienna.
Benché la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne sia un documento giuridico ratificato dalla maggioranza dei Paesi membri delle Nazioni Unite, la risoluzione 1325 rappresenta il primo documento giuridico obbligatorio concernente la partecipazione delle donne nelle questioni della pace e della sicurezza. Essa è stata adottata il 31 ottobre 2000 dal Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite, e sottolinea soprattutto l’importanza della partecipazione delle donne nei processi pacifici, come pure nelle regioni di crisi e di guerra, la protezione delle donne contro la violenza, soprattutto la violenza sessuale, così come l’integrazione di queste prospettive all’interno dei meccanismi di applicazione degli accordi pacifici.
La Coalizione pacifista femminista propone di escludere dalla politica i monumenti culturali e religiosi, e d’includere nei negoziati tutte le comunità che vivono in prossimità di questi monumenti, di fondare una organizzazione professionale e indipendente per la protezione dei monumenti, così come di coinvolgere i cittadini del Kosovo nella protezione del patrimonio culturale attraverso dibattiti, discussioni e riunioni pubbliche. La Coalizione pacifista femminista sottolinea nel suo primo comunicato ufficiale che «le chiese, le cattedrali, i minareti e gli altri edifici sono legati al patrimonio culturale ed alla storia di tutti i gruppi etnici», e che «questa è la ragione per cui tutti i gruppi etnici hanno il diritto di condividerli, conservarli e proteggerli».
Le donne, attrici della pace
È vero che a livello internazionale le donne non sono visibili praticamente che come vittime della guerra, come oggetti passivi del nazionalismo e del militarismo. In quanto attrici della pace, in quanto promotrici di iniziative pacifiche, esse sono quasi invisibili. Ciò è confermato dalla composizione delle missioni di pace in ogni parte del mondo e naturalmente anche in Kosovo. Non ci sono donne nelle alte sfere decisionali della Unmik, della KFOR, dell’OCSE e delle altre istituzioni internazionali. Nei negoziati sullo status del Kosovo le donne sono presenti solo come «decorazione»: non si conta che una donna nelle due delegazioni. Questo fatto, insieme alla reviviscenza delle resistenze nazionaliste ai negoziati, rende questi negoziati di pace ancora più fragili e incerti.
«I gruppi di donne che in questi anni hanno tenuto dei contatti coi gruppi del Kosovo sono quelli che devono essere consultati nel momento dei negoziati, ma c’è il pericolo che gli incontri alternativi che intercorrono costantemente tra i gruppi femministi di Serbia e Kosovo diventino il segno di un parallelismo dei negoziati sociali», avverte Borka Pavicevic, direttrice del Centro per la decontaminazione culturale di Belgrado. Aggiunge che è indispensabile che la via della società civile e la via degli Stati si incontrino, si riconoscano, si rispettino e siano produttive.
«Chi portava il cambiamento in Kosovo erano le donne, esse si sono emancipate attraverso una vera rivoluzione. Naturalmente, bisogna che le donne siano incluse da entrambe le parti, il che non succede nel caso della politica. Tutta la regione è inquinata dal maschilismo. È il segno di una chiusura delle società, l’annuncio di ciò a cui esse vogliono assomigliare. Le donne possiedono un istinto per le fasi di cambiamento, perché la domanda centrale è: come vivremo, come sarà organizzata la società? Le donne, nelle équipe di negoziazione, devono rappresentare gli interessi dei cittadini, della popolazione. Bisogna affrontare la realtà e il virtuale, il reale e la mitologia», conclude Borka Pavicevic.
Piattaforma della Coalizione pacifista femminista
I diritti della persona umana, ed in particolare quelli delle donne, e la qualità della vita dell’individuo devono stare al di sopra del territorio e delle frontiere. Il diritto all’autodeterminazione per noi donne sottintende il controllo sulla nostra vita, il nostro corpo, il nostro spirito; il diritto all’integrità e all’autonomia (economica, politica, morale, emotiva, sessuale). Come donne attiviste della società civile, femministe e pacifiste, noi sosteniamo il diritto all’autodeterminazione, che respinge qualsiasi forma di omogeneizzazione e di esclusione etnica. Noi ci impegniamo senza riserve per la separazione di Stato e Chiesa, il che significa che le comunità religiose non possono prendere decisioni sulle questioni di Stato, sui sistemi educativi o sanitari. Il diritto all’autodeterminazione non deve minacciare alcun diritto acquisito fino ad ora. La legge consuetudinaria, che più di tutte minaccia i diritti delle donne, non deve essere riabilitata col pretesto di preservare l’«identità culturale», indipendentemente dal fatto che si tratti di comunità religiose maggioritarie o minoritarie.
I diritti della persona umana, e soprattutto quelli delle donne, sono sottoposti alla sovranità degli Stati: tutti i Paesi firmatari dei documenti internazionali sui diritti della persona umana devono in primo luogo sostenere gli interessi di cittadini e cittadine, anziché quelli dello Stato.
La sicurezza delle persone è soggetta alla sovranità dello Stato: ciò significa la sicurezza di cittadini e cittadine (economica, politica, personale, sanitaria, etc.), il rispetto dei diritti umani, soprattutto quelli delle donne; il sanzionamento di ogni forma di violenza contro le donne, tanto sul piano privato quanto su quello pubblico; la smilitarizzazione della società. La sicurezza delle persone sottintende una piena collaborazione col Tribunale dell’Aja, la condanna di tutti coloro che hanno commesso crimini di guerra nei territori dell’ex Jugoslavia, e l’esigenza che tutti quelli che hanno commesso dei crimini, per primi quelli che l’hanno fatto in nostro nome e in nome di tutti gli altri, se ne assumano la piena responsabilità.
Il diritto e l’obbligo per noi di partecipare ai processi pacifici, d’influenzare i negoziati pacifici: in quanto donne, noi paghiamo il prezzo più caro della guerra, del militarismo e di ogni forma di violenza. In quanto cittadine, noi abbiamo il diritto di esigere che il Paese in cui viviamo e la comunità internazionale rendano conto del modo in cui i fondi sono spesi: si tratta del denaro di tutti i cittadini/cittadine e noi abbiamo il diritto e l’obbligo di esigere che essi siano investiti per la pace, lo sviluppo e il benessere anziché nella guerra. Noi esigiamo da ogni attore importante della comunità internazionale che essi considerino i diritti delle donne come una questione internazionale essenziale, e che ci riconoscano e ci rispettino in quanto attrici della pace.