La Bobar Banka è (cosa) nostra

La vicenda della Bobar Banka di Bijeljina evidenzia i possibili motivi alla base della convocazione di un referendum in Republika Srpska contro le istituzioni giudiziarie della Bosnia Erzegovina

13/08/2015, Rodolfo Toè - Sarajevo

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(Foto Alan Cleaver, Flickr )

Quando il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, aveva dichiarato a inizio estate che avrebbe organizzato un referendum per disconoscere l’autorità della Procura di Stato della Bosnia Erzegovina nell’entità controllata da Banja Luka, l’attenzione dell’opinione pubblica era ancora totalmente assorbita dagli strascichi del caso Orić, l’ex comandante della difesa di Srebrenica arrestato a Berna e successivamente estradato a Sarajevo.

"La Procura della Bosnia Erzegovina congelerà le accuse contro Orić", aveva dichiarato all’epoca Dodik, "non abbiamo alcuna fiducia in queste istituzioni. Se l’intera popolazione della Republika Srpska ritiene che l’ex comandante abbia compiuto dei crimini nei loro confronti, allora la Procura della Bosnia Erzegovina non può comportarsi in questo modo".

L’intenzione di indire un referendum, nonostante ormai in pochi credano alle minacce del leader serbo-bosniaco, potrebbe però avere altre motivazioni, ben più concrete della semplice volontà di ottenere giustizia per crimini commessi durante la guerra contro i serbi.

Lo scorso 28 luglio, la Procura della Bosnia Erzegovina procedeva all’accusa formale di quattro funzionari della Bobar Banka di Bijeljina, per malversazioni per un totale di 5 milioni di euro. I nomi degli incriminati sono quelli di due ex direttori, Petar Čačanović e Dragan Radumil, e di due loro collaboratrici, Mileva Janković e Radmila Telebak.

Il crack della Bobar Banka e i buoni amici dell’SNSD

La storia degli ultimi mesi di vita della Bobar Banka può iniziare nel settembre 2014. Alla fine di quel mese, infatti, muore Gavrilo Bobar, tycoon della Republika Srpska, proprietario della banca, parlamentare all’Assemblea Nazionale dell’entità e membro del comitato centrale dell’Alleanza dei socialdemocratici indipendenti (SNSD) di Milorad Dodik. Proprio le sue relazioni con Dodik sarebbero state preziose, secondo un articolo pubblicato nel 2003 dal settimanale sarajevese Dani , per permettergli di realizzare "il sogno americano in Bosnia Erzegovina" e diventare così "il più potente cittadino della Republika Srpska" dopo la fine della guerra.

Dopo qualche settimana dalla scomparsa del suo fondatore, l’impero costruito da Bobar comincia a scricchiolare. E il 27 novembre giunge la notizia che l’Autorità bancaria della Republika Srpska ha deciso di porre la Bobar Banka sotto l’autorità di un amministratore temporaneo (Savo Ševaljević) chiamato a risolverne i problemi finanziari. La banca soffrirebbe di una grave mancanza di liquidità, della quale immediatamente l’opposizione ha accusato i partiti al governo e in particolare l’SNSD. Dragan Čavić, parlamentare dell’NDP, in alcuni interventi molto duri, ha sostenuto che l’istituto sarebbe stato rovinato da prestiti concessi generosamente (e con molta leggerezza) a membri dell’establishment. Secondo la sua ricostruzione , l’istituto avrebbe dilapidato milioni di marchi. Gli ammanchi di capitale conseguenti sarebbero stati ripianati obbligando soggetti pubblici controllati dall’SNSD, in particolare le imprese come la Elektroprivreda RS, a depositare i propri fondi proprio alla Bobar Banka, tramite procedure illegali di ricapitalizzazione.

Il 23 dicembre arriva la decisione che tutti si aspettavano: i tentativi di aumentare il capitale della banca sono falliti ed essa dovrà, pertanto, essere liquidata. Gli effetti sono disastrosi. Più di 40.000 conti correnti restano congelati, per qualche tempo anche per i piccoli risparmiatori. Ma se i loro depositi (sotto i 25.000 euro) saranno comunque garantiti, la situazione è catastrofica per la già citata Elektroprivreda RS (che deteneva 10 milioni di marchi nell’istituto), per il distretto di Brčko (che ne aveva depositati 27) e per la municipalità di Trebinje, che alla Bobar Banka aveva versato circa 5 milioni di marchi, pari a circa un quarto del bilancio pubblico.

La banca è nostra

Mentre l’opposizione attacca la maggioranza al governo, le autorità di liquidazione si chiudono in un silenzio assoluto, e sospetto. Il 29 gennaio, alla televisione BN, l’amministratore temporaneo Savo Ševaljević si lascia sfuggire quello che i nemici di Dodik avevano sostenuto fin dall’inizio: "La banca ha concesso degli ingenti prestiti" a persone vicine all’amministrazione, "sulla base di considerazioni esclusivamente personali". Quei prestiti ora "sono diventati inesigibili: agivano sulla base della convinzione che la banca fosse cosa loro". Pochi giorni dopo aver fatto questa dichiarazione (6 febbraio), Ševaljević presenta le sue dimissioni.

Quello che sta accadendo alla Bobar Banka resta per l’opinione pubblica un mistero nel corso di tutta la primavera. A marzo, Transparency International Bosnia ed Erzegovina lamenta il fatto che l’Autorità bancaria della Republika Srpska, in violazione delle disposizioni di legge, non abbia ancora fornito un report completo sulla situazione dell’istituto di credito, segno – secondo l’organizzazione internazionale – "che le autorità stanno cercando di nascondere qualcosa".

L’agenzia denuncia più volte la passività delle istituzioni dell’entità. In aprile richiede al Comitato finanziario e di bilancio dell’Assemblea nazionale della RS di organizzare una seduta di interrogazione pubblica della direttrice dell’Autorità bancaria dell’entità, Slavica Injac che, oltre a non fornire informazioni sullo stato della liquidazione della Bobar Banka, si rifiuta di fornire la documentazione che proverebbe che l’Autorità ha effettuato i dovuti controlli sull’istituto prima dell’ottobre 2014 e del crack, come lei sostiene.

Ciò che forse è più grave è che, nonostante sia ormai assodato che la banca è stata al centro di gravi malversazioni, sorge un conflitto di attribuzione tra la Procura di Bijeljina e il Procuratore speciale della RS per indagare sul caso: nessuno dei due organi, infatti, è disposto a farlo. A Bijeljina sono convinti che la questione rientri nell’ambito della lotta al crimine organizzato, ciò che è al di fuori delle loro competenze legali, e passano la questione alla Procura speciale della RS. La quale, però, non fa nulla per risolverla. Il 21 aprile, Transparency International chiede alle autorità della Republika Srpska di risolvere la questione del conflitto di attribuzione, "che sta danneggiando gravemente la fiducia dei cittadini nelle istituzioni".

Il 5 giugno, finalmente, il Procuratore generale della Republika Srpska – che era stato chiamato a esprimersi sul problema della giurisdizione – rinvia la questione al Procuratore nazionale della Bosnia Erzegovina. La questione, quindi, diventa di competenza di Sarajevo. Poco più di un mese dopo, il 18 luglio, Milorad Dodik annuncia il referendum contro la stessa Procura della Bosnia Erzegovina. Mancano solo dieci giorni ai primi arresti e la coincidenza sembra piuttosto singolare: "E’ chiaramente una consultazione per evitare le conseguenze legali del caso della Bobar Banka", ha dichiarato Dragan Čavić al giornale Dnevni Avaz, "e per evitare che vengano svolte indagini simili in altri crack provocati dal partito di Dodik, come quello di un’altra banca dell’entità, la Balkan Investment, o della raffineria di Brod", vittima di una delle tante privatizzazioni sospette del dopoguerra in Bosnia Erzegovina.

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