La battaglia di Stalingrado del governo serbo

Un articolo di Željko Cvijanović sulle difficoltà del governo serbo e sulle possibilità di riscattare la fiducia dei cittadini con l’annunciato processo agli accusati dell’omicidio del premier Djindjic

28/08/2003, Željko Cvijanović - Belgrado

L’annunciato processo contro gli assassini di Zoran Djindjic sarà un avvenimento politico che stabilirà il destino del governo serbo

L’imminente processo contro gli accusati per l’attentato al premier Zoran Djindjic è vissuto dal governo serbo come la possibilità di riabilitare la sua cedibilità. La quale è, sotto la pressione di numerosi scandali di corruzione, gravemente compromessa.

Ecco perché il processo ai 45 accusati, che domenica scorsa il ministro della giustizia Vladan Batic ha annunciato che si terrà verso la fine del mese di ottobre, potrebbe salvare il governo della Serbia dalla difensiva che dura già da più mesi, nella quale a causa delle accuse di corruzione e criminalità si trova davanti ai suoi oppositori i nazionali democratici del Partito democratico della Serbia, DSS, e i liberali riformatori del Partito G17 Plus.

"Sono convinto che, dopo questo processo avremo fatto un passo in più verso l’ideale al quale lo stesso Djindjic tendeva, ossia che la Serbia sia democratica, moderna e stabile", ha dichiarato il vice presidente del governo Cedomir Jovanovic.

Il passaggio del governo al contrattacco è stato segnato dalla approvazione il 21 agosto del rapporto della sua commissione sul funzionamento della sicurezza di Djindjic, dove sono state confermate parecchie mancanze.
La commissione, guidata dal vice premier Zarko Korac, ha confermato che Djindjic è stato abbandonato alla grazia dei suoi assassini, tenendo conto del fatto che la sua sicurezza non ha funzionato nemmeno dopo che alla fine di febbraio all’uscita da Belgrado è accaduto un mancato attentato contro il premier.

Tuttavia, la commissione non ha invocato alla responsabilità il ministro della polizia Dusan Mihajlovic, al quale competeva la sicurezza del premier, anzi ha richiesto al suo ministero e ai servizi segreti di adottare misure nei confronti dei diretti responsabili delle mancanze.
Dopodiché sono stati destituiti tre funzionari di basso grado della polizia.

La conclusione sulla responsabilità del governo è stata evitata anche durante la menzione della Unità per le operazione speciali, JSO, la più potente unità speciale in Serbia, il cui vice comandante Zvezdan Jovanovic con un fucile di precisione ha colpito al cuore Djindjic.
Ciò significa che tale unità, guidata dal accusato numero uno e organizzatore dell’attentato Milorad Lukovic Legija, è stata nominata nel rapporto della commissione come una "ferita cancerosa" del sistema della sicurezza serba, benché l’unità da più di un anno prima dell’attentato si trovasse sotto il diretto comando del governo.

A causa del coinvolgimento dei membri di questa famigerata unità nell’omicidio – come confermano molti analisti – il governo insiste proprio per questo nella formulazione della tesi secondo la quale Djindjic non è stato ammazzato da una parte dell’apparato statale, il che tirerebbe in gioco la sua responsabilità, ma dal clan mafioso di Zemun, col quale Lukovic era in strette relazioni.
Nonostante che tra le fila del governo si sia insistito sul fatto che questo rapporto assumerà un vero significato solo dopo il processo agli assassini, il referto della commissione Korac ha incontrato numerose obiezioni proprio perché ha aggirato la responsabilità dello stesso governo e, in modo particolare, del ministro della polizia.

Ecco perché il funzionario del partito di opposizione DSS, Djordje Mamula ha considerato che nel rapporto del governo "la parte più importante è quella sottaciuta".
"Non è stato detto che il governo ha avuto informazioni corrette sulla disponibilità della unità speciale e che alcuni membri del governo hanno avuto relazioni con i clan mafiosi" ha detto Mamula.

Il giorno dopo l’adozione del rapporto il procuratore speciale ha ordinato le accuse contro 45 persone per l’omicidio del premier e per "atti penali di t[]ismo".
Come direttamente coinvolti nell’omicidio nell’accusa sono nominati Milorad Lukovic Legija, ex comandante della JSO, e Jovanovic l’aiuto comandante di tale unità, mentre gli altri sono accusati di collaborazione all’omicidio.

Tuttavia, addirittura 18 degli accusati, compreso anche Lukovic, sono latitanti, così che saranno condannati in contumacia.
Nell’attesa del processo, il governo crede che la grande pubblicità, che su di esso verrà fatta, sarà in grado di fermare l’effetto distruttivo degli scandali per corruzione che lo fanno tremare, e far sì che la simpatia dell’opinione pubblica possa ritornare quella del periodo in cui sono stati arrestati gli assassini del premier.

Non sono pochi, tuttavia, quelli che credono che il processo si possa trasformare in un fiasco.
Per il fatto che gli accusati dell’omicidio di Djindjic sono stati arrestati tra marzo e aprile durante l’azione di polizia denominata "Sciabola", eseguita nelle condizioni del proclamato stato di emergenza, che ha dato mano libera alla polizia, tra l’altro di trattenere i sospetti per 90 giorni in prigione senza la possibilità per quel periodo di avere un avvocato.

La mano libera della polizia ha consentito anche numerose illegalità, tra le quali di strappare il riconoscimento della colpevolezza degli accusati con la violenza e la tortura.
Inoltre, durante l’azione di polizia, che è durata dal 12 marzo al 22 aprile, sono state arrestate circa 10.000 persone, delle quali il maggior numero si è dimostrato innocente.

Il potere, mediante i media censurati durante il proclamato stato di emergenza, ha accusato pubblicamente molte persone della partecipazione all’omicidio del premier, per poi rinunciare all’accusa e rilasciare i sospetti.
Solo uno degli esempi riguarda l’arresto del giudice di Belgrado Zivot Djoicevic, il quale alla metà di marzo è stato accusato dal governo di aver preso una tangente dalla mafia per liberare dall’accusa criminali incalliti e assassini.

Siccome dopo tre mesi è stato rilasciato di prigione, Djoincevic è stato accusato per possesso illegale di armi, che ha ottenuto in prestito durante il 1998 dalla polizia, quando svolgeva la funzione di giudice in Kosovo.
Tale procedimento ha portato anche alle proteste e allo sciopero degli avvocati. Per tale motivo il segretario della camera degli avvocati della Serbia, Zoran Zivanovic, afferma che "lo stato dovrà pagare i danni alle mille persone che ha condotto e tenuto nelle prigioni senza nessuna ragione e motivo".

"In mille casi lo stato ha giocato in modo aspro e non serio con i suoi cittadini, squalificandoli con le accuse più amare e più pesanti", dice Zivanovic.
A causa di tutto ciò esiste la possibilità che davanti al tribunale sia parzialmente annullato anche il successo insospettato della polizia, la quale ha ottenuto da Zvezdan Jovanovic la confessione di aver sparato a Djindjic.

Perché, dopo la confessione, Jovanovic, probabilmente secondo il consiglio dell’avvocato ha deciso di difendersi con il silenzio
Molti avocati spiegano che il silenzio di Jovanovic e l’eventuale ritiro della confessione potrebbero mettere il tribunale in grosse difficoltà.

Il rispettabile professore di diritto penale-processuale, Momcilo Grubac, dice che le confessioni date alla polizia non si possono usare come prove tranne nei casi in cui sono state ottenute con il consenso del sospettato e con la presenza del suo avvocato.
"A causa delle irregolarità riguardo i tempi e i termini del trattenimento delle persone da parte della polizia si potrebbe fare questione sulla loro validità e sulla legalità giudiziaria", dice Grubac.

Ecco perché il processo agli accusati per l’attentato potrebbe essere "la battaglia di Stalingrado" del governo serbo: nel caso in cui l’accusa venisse approvata il governo potrebbe riavere parte della credibilità nei confronti dei cittadini, visto che spesso le accuse di criminalità e corruzione che gli vengono rivolte le ascrive a quei circoli dei quali afferma che hanno assassinato il premier.
Per questo una delle star del processo sarà l’ex capo della sicurezza dell’Esercito della Jugoslavia il generale Aco Tomic, accusato fra i 45 per "associazione a scopo di attività nemica".

Del generale Tomic, fra l’altro collaboratore dell’ex presidente Jugoslavo Vojislav Kostunica nella sua resa dei conti politici con Djindjic, si afferma che si incontrava con Lukovic e che gli aveva promesso che l’esercito non avrebbe reagito nel caso in cui Djindjic fosse stato assassinato.
Nel caso, però, in cui l’accusa non venisse approvata nella sua totalità e nel caso in cui l’omicidio di Djindjic in tribunale non venisse chiarito fino in fondo, ci si potrebbe aspettare che il governo perda anche quel poco di credibilità e che ciò sia l’introduzione alla sua caduta finale.

Allora l’azione "Sciabola" non sarà ricordata come il più grande successo della polizia serba dopo la Seconda guerra mondiale, come spesso viene valutata dai suoi difensori del governo, ma come lo scontro di clan mafiosi e politici, dove il governo è stato soltanto uno dei partecipanti, come viene interpretata dagli oppositori del governo.

Per approfondire vedi:

La difficile decisione del premier serbo

Serbia, sondaggi d’opinione

Serbia: detenuti affermano di essere stati torturati

La Serbia dopo Djindjic

Djindjic: un omicidio politico

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