Krajina, attraverso la memoria

Un viaggio da Plitvice a Knin diventa l’occasione per una riflessione sulla costruzione della memoria e dell’identità nella regione della Krajina croata, chiedendosi quale sarà il futuro

04/08/2025, Sara Varcounig Balbi -

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Krajina, Croazia - Foto S. Varcounig Balbi

Di fronte alle porte di ingresso del Lidl c’è un cane. È solo, di piccola taglia, color sabbia. Presenta in alcuni punti delle zone senza pelo, è sporco e ha le orecchie incrostate: un randagio. Nell’area antistante al supermercato di Knin, il cane è comparso all’improvviso. 

L’aria trasporta una brezza calda, a mezzogiorno il sole scotta e il cane è immobile sotto i raggi. Non è impaurito, non chiede cibo, né acqua, guarda un punto fisso in direzione delle porte con scritto “Ulaz” che trasportano all’interno del locale refrigerato. 

Osserva i passanti che entrano ed escono ma non li vede, sembra quasi imbalsamato. Le persone attorno, lo guardano. Alcune si fermano, altre passano oltre, forse sono abituate a vederlo. Sembra malato, invita a non avvicinarsi ma allo stesso tempo provoca compassione e pare aver bisogno di un gesto, di qualcuno che dica “ora mi prendo cura di te”. 

I secondi passano e nella speranza che qualcuno del luogo faccia qualcosa mettiamo in moto l’auto, con un vago senso di colpa. 

Il Lidl affollato, simbolo della globalizzazione e il cane randagio. Sembra quasi una rappresentazione dei contrasti presenti nella Republika Hrvatska: da un lato l’ingresso nell’Occidente “moderno e avanzato”, dall’altro le contraddizioni di un’eredità sociale complessa. 

Il fatto stesso che la scena si svolga a Knin accresce la portata simbolica della metafora, la “città della vittoria”, celebrata annualmente da Zagabria ma isolata dal resto del Paese. A completare la scena, a lato, si vede lo scheletro di un ex edificio jugoslavo, lasciato a marcire, che sovrasta l’orizzonte e sembra osservare la “nuova Croazia” dalle sue finestre vuote. 

Knin, Croazia - Foto S. Varcounig Balbi

Knin, Croazia – Foto S. Varcounig Balbi

Viaggio nella Krajina croata

La strada che collega il Parco dei laghi di Plitvice a Knin è parte di una delle arterie principali, la statale D1 Zagabria-Spalato. Sulla carta dovrebbe essere trafficata. Le indicazioni per la notissima città della costa dalmata sono onnipresenti e dal lato contrario, anche a chilometri di distanza, viene ricordato ai viaggiatori, la vicinanza all’area dei laghi, una delle principali attrazioni della Croazia. 

Tuttavia, nella realtà dei fatti, la statale è quasi deserta o attraversata da auto locali. Ad un certo punto, la strada consigliata per Spalato devia passando per la nuova autostrada, rendendo il tragitto della D1 per Knin molto più solitario. 

La distinzione tra i due tratti di strada si nota nell’ambiente circostante. Il primo è costellato dalla presenza umana: indicazioni per appartamenti turistici, case in costruzione e bancarelle locali che vendono miele e formaggio. In un paesaggio idilliaco, dove lo sguardo si perde tra i campi e i boschi verdi delle montagne a confine con la Bosnia, l’impronta del turismo nella zona è evidente. 

L’unica anomalia è rappresentata da un complesso abbandonato e recintato nel paesino di Bjelopolje. Si tratta della vecchia segheria della città, costruita in epoca jugoslava accanto alle rovine della chiesa ortodossa di Santa Petka, distrutta durante la Seconda guerra mondiale. Oggi, l’edificio principale è tenuto in buone condizioni ma la vegetazione riprende pian piano terreno e i magazzini retrostanti sono lasciati allo stato brado, mostrando un cambio di rotta negli interessi economici dell’area. 

Nella seconda parte di strada, invece, il paesaggio cambia e a far compagnia ai viaggiatori restano solo le pianure, i monti della Dalmazia in lontananza e un altopiano quasi carsico.  

Qui è possibile osservare il panorama dell’entroterra in maniera indisturbata perché la presenza umana si limita a qualche raro allevamento di pecore e un paio di cimiteri isolati. 

Si nota però uno sfruttamento economico sulla zona: il paesaggio bucolico viene occasionalmente interrotto da grandi gruppi di pale eoliche che si amalgamano sullo sfondo ma ne sfidano la sua incontaminatezza. 

Dopo circa due ore di viaggio, appaiono infine, quasi all’improvviso, i monti Dinari, brulli e sferzati dal vento, la cui roccia segna le ere geologiche passate. In questo scenario, si incontra una città leggermente più grande. Scendendo lungo due tornanti, si arriva infatti a Knin, un piccolo agglomerato urbano incastonato nel suo paesaggio. 

Frammenti di guerra

La D1 attraversa la Krajina croata, un’area di frontiera. La parola kraj significa fine e già nel XV secolo la regione rappresentava una faglia, “l’ultima terra” dell’Impero Asburgico prima di entrare nei territori ottomani. 

Più recentemente però la zona si è trovata ad essere al centro dei riflettori internazionali per il suo ruolo nella guerra di dissoluzione jugoslava degli anni ‘90. Abitata da una consistente popolazione serba, nel 1991 venne fondata a Knin la Repubblica Serba di Krajina, in opposizione all’indipendenza del neonato Stato croato. 

Una guerra nata sulle macerie della Seconda guerra mondiale. Proprio in queste terre, infatti, le forze fasciste, gli ustascia croati e i cetnici serbi, seminarono il terrore con il sangue, compiendo alcuni dei crimini peggiori della regione, con effetti anche nel dopoguerra. 

Anni dopo, la Krajina si sarebbe di nuovo tinta di rosso, prima attraverso la pulizia etnica da parte delle forze paramilitari serbe guidate da Milan Babić, poi attraverso un’ondata di distruzione, culminante con l’esodo di 200 mila serbi profughi, a seguito dell’Operazione Oluja (Tempesta) del 1995 con cui l’esercito croato riconquistò la regione. 

Ad oggi, la Krajina, anche demograficamente, si può definire “croatizzata”. 

Ridurre un territorio alla storia dei suoi conflitti è sbagliato, ne impedisce il superamento e ne paralizza il ricordo. Tuttavia la storia recente della Krajina si riflette nel suo ambiente, si iscrive all’interno dei luoghi. Le tracce della guerra sono visibili nei monumenti ai caduti, nei colpi di proiettile presenti su alcune case, negli edifici bruciati e abbandonati che si trovano lungo il percorso, ormai divorati dalla vegetazione. 

Allo stesso tempo, il conflitto è inquadrato nell’opera di “croatizzazione” della regione. La riconquista della Krajina riveste uno dei momenti fondativi della “nuova Nazione croata” con la “Tempesta” che rappresenta l’apice della Domovinski rat, la guerra patriottica. Nei territori riconquistati, la celebrazione della vittoria militare diventa così anche un’occasione per esaltare e rafforzare il nazionalismo interno e il sentimento di appartenenza allo stato.

Un esempio è la Chiesa dei Martiri Croati nella città di Udbina, un complesso monumentale, di colore bianco, che domina la regione dall’alto. Completato nel 2010, l’edificio rappresenta un “trionfo del nazionalismo cattolico”, un connubio di politica e religione, integrato ad una rivisitazione storica. 

In quest’ottica, la scelta del luogo rappresenterebbe un’unione “spirituale” tra i martiri della battaglia di Krbava contro gli Ottomani nel 1493 con quelli più recenti della Seconda guerra mondiale e del conflitto degli anni ‘90, la cui sofferenza viene esaltata dall’accostamento del memoriale alla replica della Croce di Vukovar. 

L’aeroporto militare di Udbina fu infatti una della basi strategiche per i bombardamenti serbi diretti alle città croate e all’entroterra bosniaco e in seguito venne preso nell’Operazione Oluja nel 1995. Ad oggi la base non sembra operativa ma resta capitanata all’ingresso da due carri armati e da una grossa bandiera croata.

Quale identità per Knin?

“La vita a Knin è semplice ma pacifica. Una volta all’anno, la città diventa il centro della Croazia” scrive il giornalista Vuk Tesija in un articolo di Balkan Insight del 2023. 

Osservandola dalla strada principale, Knin si presenta come una piccola cittadina, immersa in una vallata, punteggiata da case con i tetti rossi e condomini jugoslavi non particolarmente alti. La fortezza medievale, che domina la città con la sua bandiera nazionale alta 25 metri, non è visibile fin da subito e questo consente ai viaggiatori di osservare Knin nella sua semplicità. 

È sabato mattina e la città si sta godendo l’inizio del weekend. I caffè e i giardini sono occupati per lo più dai residenti o dai rari turisti locali, le strade sono poco trafficate, nei negozi procede un lento viavai. 

Di primo impatto appare come una qualsiasi cittadina dell’entroterra, diversa dalle altre perché caratterizzata dalla presenza della fortezza medievale. Appare curata e nel centro si nota la costruzione di un’enorme chiesa cattolica, bianca, con un design alquanto moderno ma un po’ dissonante dalle case vicine. 

Un paesaggio urbano nel quale emergono alcuni contrasti netti. In alcuni angoli, infatti, appaiono degli edifici abbandonati, luoghi vuoti e desolati, che si fanno via via più presenti appena si esce dalle strade principali. 

Uno stacco che fa apparire la città con un doppio volto, quasi chiaroscurale: da un lato un centro moderno e rigenerato, dall’altro una periferia trascurata e dimenticata. E sebbene questo sia comune in molte grandi città, le dimensioni ridotte di Knin amplificano questa ambiguità interna, che si riflette anche nell’identità cittadina. 

Knin sembra essere divisa tra la glorificazione del suo passato, medievale e recente e la realtà attuale, in cui appare solo con un posto marginale. 

Per esempio, sul sito ufficiale dell’ufficio turistico locale, la città viene descritta come un “crocevia tra l’entroterra e la costa” e un luogo di “considerevole importanza per tutti i croati”, ma nella realtà è esclusa dai grandi collegamenti infrastrutturali, essendo lontana dall’autostrada e mal collegata dai mezzi pubblici. 

Una contraddizione che appare ancora più evidente date le grandi celebrazioni fatte in occasione del 5 agosto, data simbolica dell’inizio della Oluja e le mancanze riscontrate da alcuni cittadini negli altri 364 giorni. 

Questa situazione di sospensione è stata definita dall’antropologo Igor Čoko come un “limbo”. “Anni di un silenzio roboante e del nulla. Un vuoto all’interno del quale sia le persone che il tempo a Knin sono rimasti incastrati” ha spiegato a OBCT. 

“Si tratta di quel limbo nel quale le persone, in attesa di qualche cambiamento che le trascini fuori da questo stato di letargia, trascorrono le proprie vite, sfuggendo alla necessità di fare i conti con il passato”. 

Secondo la sua opinione, Knin non è ancora riuscita a superare il proprio “passato traumatico” nel quale è rimasta intrappolata e cristallizzata, “perché la città vive le cicatrici e le persone portano ancora sotto pelle quegli stessi traumi”.

A partire dall’innalzamento della bandiera nazionale, anche Knin è stata infatti inserita al centro di un processo di costruzione dell’identità nazionale e di “croatizzazione”, tipico di tutta la Krajina. 

La sua esperienza di città multiculturale, abitata da una forte minoranza serba, è stata reintrerpretata a favore di una narrazione che ponesse al centro la propria appartenenza allo Stato Croato e la vittoria dell’Operazione Oluja. 

Così, la narrazione ufficiale propone una ricostruzione storica che descrive come, dopo secoli di occupazione straniera, la città sia stata “finalmente liberata” il 5 Agosto 1995. Una costruzione narrativa che crea, anche qua, un collegamento con la storia medievale della città, evidenziando, a fini politici, una stretta interconnessione tra regno croato e stato attuale. 

Un paradigma memoriale, quello della “città della vittoria” che lascia irrisolte molte questioni del passato e logora alcune fratture esistenti nel presente. Il superamento di una memoria “nazionalizzata” è necessario per poter dare una svolta alla città. 

Un primo passo è stato fatto nel 2020, quando a Knin sono stati invitati alla celebrazione del 5 agosto anche rappresentanti della comunità serba e sono state menzionate le vittime della Oluja. Un’inclusività che però deve continuare ad essere promossa, per poter creare una nuova identità cittadina e garantire un futuro fuori dal “limbo”. 

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Dallo specchietto osservo il parcheggio del Lidl rimpicciolirsi, il cane svanire all’orizzonte e il mausoleo jugoslavo rimpicciolirsi. Mentre proseguiamo verso la prossima tappa, Knin mi lascia una sensazione dolceamara, come se percepissi la mancanza di qualcosa che non riesco bene a definire. Osservo la bellezza del paesaggio circostante e lascio la città con l’immagine di una croce bianca, dedicata ai veterani di guerra croati, che domina l’orizzonte dall’alto.