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Kossovo: VIS, non solo scuole
Pubblichiamo un’intervista a Gianluca Antonelli, responsabile per conto del VIS – Volontariato Internazionale per lo Sviluppo – dell’area Balcani. Dall’inaugurazione di una scuola ad un punto di vista sulla cooperazione in Kossovo.
OB: Il VIS ha da poco aperto una scuola professionale a Pristina, come si integra questa scuola nel sistema scolastico kossovaro? Sarà una scuola privata o pubblica? Il VIS si ha messo a disposizione la struttura ed i materiali didattici o interviene anche ad altri livelli?
Gianluca Antonelli: Lo scorso 8 ottobre è stato inaugurato il Centro di Formazione Professionale Don Bosko di Pristina, alla presenza delle autorità civili e religiose e con una buona partecipazione di giovani. Erano presenti sia il responsabile UNMIK Harri Holkeri, sia il presidente Ibrahim Rugova. La realizzazione della scuola, possibile con il contributo di donatori pubblici e privati rientra nel programma di sviluppo della formazione professionale e di promozione della gioventù kosovara condotto dal VIS in partenariato con il Qendra Sociale Edukative Don Bosko di Pristina, fondazione locale che raccoglie l’impegno dei salesiani e di cattolici in Kosovo.
Il progetto del nuovo CFP prevede, già negli studi di fattibilità compiuti nei due anni successivi alla conclusione della guerra, il suo inserimento e la sua interazione nel sistema scolastico kosovaro. L’area ove sorge il CFP è stata donata dalle Istituzioni locali (UNMIK e Municipalità kosovara), mentre la struttura e le risorse materiali sono state realizzate e introdotte dal VIS. Il CFP avrà una gestione privata, in quanto ne è titolare il Qendra Sociale Edukative Don Bosko in collaborazione con il VIS, ma operativamente è una struttura pubblica: l’iscrizione ai corsi è infatti libera ed i curricula didattici sono concordati con le Istituzioni locali competenti.
Più specificatamente, in questa fase d’avvio, i corsi saranno di due tipi: corsi di formazione e specializzazione per giovani disoccupati, segnalati dagli Uffici del Lavoro locali, al fine di facilitare il loro inserimento occupazionale; corsi di formazione con iscrizione aperta ai giovani, che prevedono il pagamento di una retta corrispondente ai soli costi di funzionamento; in questi corsi sono comunque previste borse di studio integrali e parziali a beneficio dei giovani più svantaggiati. Attualmente sono stati attivati corsi nel settore informatico, elettrico ed elettromeccanico, lingue straniere e amministrazione d’impresa. Nel medio e lungo periodo saranno avviati nuovi corsi di formazione, con curricula modulari e flessibili, in nuovi ambiti professionali (ad es. grafica e termoidraulica), e sarà attivata anche la scuola tecnica secondaria.
L’interazione con il sistema formativo pubblico prevede, come azione fondamentale, anche la formazione e l’aggiornamento di docenti e istruttori locali. Tali corsi saranno erogati secondo modalità diverse, anche attraverso l’uso degli innovativi strumenti della formazione a distanza (open learning), e beneficeranno non solo i docenti del CFP Don Bosko di Pristina ma anche gli insegnanti e gli istruttori dei CFP e delle scuole tecniche pubbliche kosovare. Si tratta di una modalità sperimentata con successo dal VIS anche in altri paesi, come l’Albania e il Medio Oriente, ove il Centro sostenuto dalla ONG funge da soggetto promotore e catalizzatore della formazione-formatori per tutti i training provider (pubblici e privati, purché senza scopo di lucro) che operano sul territorio target. In Kosovo, la piattaforma organizzativa di queste attività è in via di definizione, in collaborazione con i Ministeri competenti, con l’ILO e le altre organizzazioni più impegnate nel settore (la tedesca GTZ, Swisscontact e la francese Atlas Logistique).
Queste sinergie tra il VIS, Istituzioni locali e altri organismi impegnati nella formazione professionale hanno condotto, così come avvenuto in Albania, alla creazione di un Tavolo di coordinamento settoriale, cui è stato demandato il compito non solo di fissare i criteri e le direttive sulla certificazione dei curricula didattici, ma anche di gettare le basi per una regolamentazione normativa del settore. Al Tavolo della Formazione Professionale il VIS e il Don Bosko di Pristina stanno offrendo da una parte strumenti per una maggiore efficacia del sistema formativo, come l’introduzione nelle scuole degli Uffici Formazione-Lavoro, per il raccordo tra CFP e mercato del lavoro locale, con compiti di analisi dei bisogni formativi, di definizione degli standard professionali e dei corrispondenti curricula didattici, di facilitazione dell’inserimento occupazionale dei giovani attraverso stage e la creazione di data-base di imprese e allievi; dall’altra strumenti pedagogici e didattici utili a contribuire al recupero e reinserimento dei giovani più "svantaggiati" che, nei contesti caratterizzati da incapacitazioni e povertà, risultano maggiormente a rischio di esclusione sociale.
OB: Nel comunicato stampa che informa dell’apertura della scuola si afferma che per la prima volta in Kossovo anche le ragazze potranno frequentare una scuola professionale. Come si è arrivati a questo risultato? Si sono incontrate difficoltà a raggiungerlo? Quale l’impatto culturale della scelta?
G.A: Alla base di questa scelta sussiste l’esperienza di dieci anni di interventi condotti in Albania nel settore educativo. Nei Balcani e, in particolare, nelle aree ove la cultura "albanese" risulta prevalente, gli interventi formativi devono sì focalizzare la questione di genere, ma tenendo conto del ruolo della donna nel contesto locale e delle sue opportunità di promozione e valorizzazione, evitando l’introduzione di modelli estranei e non condivisi dalla comunità locale.
Nel caso di Pristina, la scuola offre, da un lato, la possibilità di frequentare corsi altamente qualificanti per la professionalità delle ragazze (informatica avanzata e grafica, lingue straniere per uso commerciale), dall’altro lato i curricula e i programmi didattici sono ispirati alla questione di genere, con conseguenze dirette (ad es. seminari e convegni) ed indirette (vita scolastica) sul piano delle attività. Il Centro si pone inoltre come centro di aggregazione e promozione giovanile attraverso l’organizzazione di attività ludiche, sportive e culturali, delle quali anche le ragazze potranno essere protagoniste.
OB: Attualmente il Kossovo vive una fondamentale fase con l’avvio, seppur stentato, dei negoziati tra Pristina e Belgrado. Come saranno influenzate le attività del VIS da questa rilevante novità?
G.A:L’evoluzione negli ultimi anni delle relazioni internazionali e le nuove priorità di politica internazionale si sono riflesse sulle condizioni del Kosovo, marginalizzando la questione del suo status politico-istituzionale, che rimane sostanzialmente irrisolta. Il problema di "cosa sia il Kosovo" e di "quale sia il suo futuro" non è più un "issue" rilevante nell’agenda politica internazionale. La stessa opinione pubblica mondiale non è informata né è consapevole degli sviluppi della "questione kosovara": solo gli attentati sono in grado di destare ciclicamente l’attenzione sul Kosovo.
Questa totale paralisi ha avuto ripercussioni profonde tanto sul piano politico, quanto su quello economico-sociale. L’amministrazione congiunta UNMIK – Istituzioni Kosovare è in grado di assicurare, infatti, la sola "ordinaria gestione quotidiana" del paese: mancando l’identità politico-istituzionale del Kosovo, sono assenti le fonti e gli alvei dell’ordinamento giuridico, dello sviluppo economico e della vita civile.
L’avvio dei recenti negoziati è certamente un primo, tiepido, segnale utile a coltivare le speranze per una definizione della "questione", anche se gli umori e le aspirazioni politiche interne appaiono ispirate allo scetticismo. Ci sembra doveroso rilevare che i negoziati si svolgono "a riflettori spenti": le Istituzioni internazionali e i paesi che nel 1999 sono intervenuti, direttamente e non, nel conflitto tra Serbia e kosovari di etnia albanese, oggi non assumono posizioni precise né predispongono strategie utili a dirimere la questione. La sorte del Kosovo appare lasciata ai soli contendenti, senza alcun contributo decisivo degli attori della politica internazionale.
La nostra organizzazione guarda con speranza al tentativo di dialogo tra le parti. Tutti i gangli vitali dello sviluppo del Kosovo poggiano, infatti, sulle possibilità di composizione e definizione delle gravi controversie esistenti tra Pristina e Belgrado. Così, ad esempio, il futuro del settore educativo e della formazione, ove il VIS sta offrendo il proprio contributo, non dipende soltanto dalle risorse disponibili o dall’efficacia degli investimenti e interventi. Occorre primariamente chiarire "che cosa sia il Kosovo" e "quale sia il suo futuro" perché i giovani vivano con pienezza e con aspirazioni il proprio percorso formativo; perché le famiglie investano sull’educazione dei figli; affinché scuole e centri di formazione possano essere reale strumento di rammendo del lacerato tessuto sociale; perché infine l’offerta educativa e formativa sia orientata ai settori economicamente trainanti (attualmente incerti).
OB: Come si pone il VIS rispetto al tema fondamentale della convivenza tra le varie comunità del Kossovo? Si sono avviati progetti legati al rientro di sfollati e rifugiati?
G.A: La maggioranza delle limitate risorse disponibili in Kosovo è attualmente destinata ad interventi volti a favorire l’integrazione etnica e la pacifica convivenza tra albanesi, serbi, rom e altre minoranze. Tuttavia, questa sensibilità delle Istituzioni e degli organismi internazionali rispetto ad un problema fondamentale e complesso come quello della convivenza inter-etnica non sembra focalizzare i nodi e le corrispondenti soluzioni.
È necessario che la "questione kosovara" torni ad essere tema essenziale nell’agenda politica internazionale e che, in quella sede, trovi composizione e definizione. Fino a quando questo non accadrà, tutti gli interventi e i progetti esplicitamente volti alla convivenza e al rientro di profughi e sfollati saranno solo parzialmente efficaci e, soprattutto, potranno rivelarsi non sostenibili politicamente e socialmente nel medio e lungo periodo. Mancano, infatti, i fattori di legittimazione e l’humus politico-sociale affinché questi interventi, sulla base di regole e interessi condivisi, siano accolti dalla popolazione locale.
Il tessuto sociale del Kosovo è profondamente lacerato. Il suo rammendo è un’azione di lungo periodo che, nel quadro di una definita identità politico-istituzionale, deve essere trasversale ad ogni ambito dell’agire politico e umano per risultare progressivamente condiviso dalla comunità locale.
Il VIS e il Centro Don Bosko di Pristina si stanno già adoperando per favorire la convivenza orientando verso quest’obiettivo le attività scolastiche e di promozione giovanile, introducendo corsi ai quali parteciperanno membri delle diverse etnie e soprattutto promuovendo attività di aggregazione e socializzazione in grado di coinvolgere la gioventù kosovara senza distinzioni etniche o religiose.
OB: Come ha vissuto il VIS questi anni di cooperazione con il Kossovo, nell’immediato dopoguerra caratterizzato da un denso affollamento di associazioni ed ONG ed ora soggetto ad un vero e proprio esodo prima verso l’Afghanistan ed ora verso l’Iraq?
G.A: Il VIS nell’immediato dopoguerra ha condotto in Kosovo interventi di riabilitazione, consentendo la riapertura di alcune scuole nelle zone rurali e dotando le strutture educative delle attrezzature necessarie per il loro funzionamento.
Tuttavia, già con il rientro dei profughi, il nostro organismo ha avviato studi di fattibilità per interventi di sviluppo nel settore educativo e della formazione, richiesti dalla stessa comunità locale, e soprattutto ha iniziato il progressivo radicamento nel territorio, instaurando rapporti con le Istituzioni e con le diverse espressioni della società kosovara. Ciò ha condotto, nel volgere di tre anni e con un ingente investimento di risorse, alla definizione di un programma di sviluppo della formazione professionale, nell’ambito del quale il Centro Don Bosco sarà promotore e catalizzatore delle corrispondenti attività.
Abbiamo assistito all’esodo di gran parte delle ONG, rimanendo in loco con poche altre associazioni e con grandi sacrifici, cercando di non spegnere i riflettori sui bisogni del Kosovo.
Il politologo Ignatieff, riferendosi proprio al caso kosovaro, definisce il ruolo delle ONG come complementare alle strategie del cd. "impero light", funzionale cioè alle recenti tendenze degli "interventi spot" condotti dalle potenze occidentali nelle aree a rischio. Il lavoro delle ONG e delle associazioni di solidarietà internazionale offrirebbe quel "supplemento d’anima" necessario per consolidare le motivazioni alla base degli interventi armati ovunque ce ne sia bisogno.
Senza entrare nel merito della complessa questione relativa alla legittimità e/o opportunità dell’intervento armato della NATO in Kosovo nel 1999, è indubbio che desti qualche perplessità l’atteggiamento di molte ONG, soprattutto di quelle storicamente impegnate nei progetti di sviluppo.
Snaturando la propria identità, molti organismi hanno limitato gli interventi esclusivamente all’emergenza e alla riabilitazione, trascurando le azioni di sviluppo di lungo periodo ed alimentando ciò che potremmo definire come la "spirale regressiva della società civile". Da un lato, le ONG sembrano rincorrere gli ingenti e più facili finanziamenti resi disponibili dai paesi donatori nei conflitti umanitari o preventivi, mostrandosi collaterali alle posizioni dominanti nelle relazioni internazionali e agli interessi di una delle parti in conflitto. Dall’altro lato, l’esodo della maggioranza degli attori della solidarietà internazionale verso l’area delle emergenze umanitarie, ha non solo accresciuto il ruolo propulsivo delle "emergenze mediatiche" a danno dei conflitti e delle crisi dimenticate, ma ha anche contribuito alla diminuzione delle risorse ed opportunità di sviluppo nelle regioni pacificate e al mancato collegamento tra la comunità locale e la società civile del Nord del mondo.
In accordo con queste tendenze, le ONG, considerate storicamente come "ponti tra Nord e Sud del mondo", corrono il rischio di perdere autonomia e responsabilità politica, e di acuire l’isolamento dei paesi e delle regioni politicamente non rilevanti per le attuali relazioni internazionali.
Così è per il Kosovo, caratterizzato dall’esodo di risorse e interventi per lo sviluppo e dall’oblio della società civile nei nostri Paesi, e questo a distanza di soli quattro anni dalla pulizia etnica e dai bombardamenti…