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Kosovo, stillicidio di aggressioni

L’altro ieri sera un ragazzo di Mitrovica nord è stato pugnalato presso il ponte che divide la città in due. Mentre proseguono con difficoltà le trattative in vista del prossimo incontro dei negoziati sullo status la violenza nei confronti delle minoranze non cessa

30/03/2006, Saša Stefanović - Pristina

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Ponte di Mitrovica

Mitrovica

Nella settimana in cui il vice-inviato ONU per i negoziati sullo status Albert Rohan era in Kosovo per spingere ad un accordo tra Belgrado e Pristina sul tema del decentramento amministrativo la questione sicurezza è ritornata ad essere di drammatica attualità.

Un ragazzo serbo di 19 anni è stato pugnalato nei pressi del ponte che collega – o purtroppo si deve ancora scrivere divide – la parte sud della città, abitata in prevalenza da albanesi e la parte nord abitata da serbi. E’ accaduto la sera del 28 marzo.

Secondo testimoni oculari gli aggressori sarebbero stati due e sarebbero poi scappati nella parte sud della città. Il ragazzo è stato immediatamente portato all’ospedale di Mitrovica nord ed operato d’urgenza. Attualmente non è più in pericolo di vita.

Un incidente grave che senza dubbio renderà ancora più difficili i tentativi della comunità internazionale di rafforzare i rapporti tra le due comunità maggioritarie di questa città divisa. Anche prima di qeust’ulteriore incidente nella parte nord della città, oltre il fiume Ibar, non erano particolarmente benvenuti coloro i quali provenivano da sud ora gli animi sono ancora più accesi. Tant’è che quale risposta alla violenza sono subito scese in piazza a protestare a Mitrovica nord qualche centinaia di persone.

All’indomani dell’aggressione il ponte principale di Mitrovica è stato chiuso. Decisione presa dalla poilizia UNMIK anche in considerazione della visita in città dell’inviato ONU Albert Rohan arrivato per incontrare i politici serbi di Mitrovica nord.

Ciò che più sembra preoccupare la comunità serba è l’apparente impunità che sembrano godere gli autori di atti come questi. Sono pochi infatti coloro i quli sono stati portati davanti ad un giudice e condannati per essersi resi responsabili di attacchi e violenze nei confronti delle minoranze.

L’incidente accaduto a Mitrovica è purtroppo il più grave di una serie di altre violenze avvenute negli ultimi giorni nei confronti della minoranza serba. Tra il 25 ed il 26 marzo due ordigni sarebbero stati lanciati contro la casa di Milan Dorovic, un rientrante serbo a Klina.

Secondo quanto riportato dall’UNMIK si sarebbe invece trattato di alcuni grossi sassi gettati alle finestre della casa. La stessa UNMIK riporta che una o più persone sarebbero rimaste davanti alla porta d’ingresso di Milan Dorovic sino all’arrivo, qualche miniuto più tardi, della polizia kosovara, prontamente intervenuta dopo essere stata chiamata da quest’ultimo.

Nell’ultimo mese sono state numerose le intimidazioni a Klina nei confronti di rientranti serbi. In questi ultimi incidenti nessuna persona è risultata ferita e le proprietà dei serbi sono risultate solo lievemente danneggiate. Chiaro è il messaggio che gli autori di questi atti hanno voluto dare: la minoranza serba non è la benvenuta. Ma quest’ultima sembra decisa a non abbandonare le proprie case.

Klina è l’unica area urbana del Kosovo dove sta avvenendo il ritorno della minoranza serba.

Se i serbi rientranti in questa zona sembrano intenzionati ad integrarsi e vivere nel Kosovo di oggi altri serbi, in particolare quelli che risiedono a Mitrovica nord ed a Zvecan, Leposavic e Zubin Potok sembrano voler continuare nel muro contro muro ed opporsi a qualsiasi integrazione.

Due atteggiamenti molto diversi tant’è che sono molti coloro i quali a Mitrovica nord ritengono che l’atteggiamento di chi tenta di integrarsi sia dannoso per la comunità serba e rischi di legittimare il fatto che Mitrovica e l’area a nord del Kosovo rimanga, dopo i negoziati sullo status di quest’ultimo, parte integrante del Kosovo e non venga, com invece loro auspicano, annesso alla Serbia.

Certo è che su questa città contesa difficile si arrivi ad una soluzione sostenibile se non si coinvolgono entrambe le comunità che vi vivono. Per ora l’impressione è che molta acqua debba scorrere sotto il ponte sul fiume Ibar prima che quest’ultimo, che divide la città, possa divenire un simbolo d’unione.

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