Kosovo, polemiche dopo gli scontri

Il Kosovo è alle prese con le conseguenze politiche delle manifestazioni, sfociate in scontri violenti con la polizia, organizzate dal movimento di opposizione Vetevendosje per denunciare la mancata imposizione di misure di reciprocità con la Serbia. Che vorrebbero più intransigenti. Scambi di accuse tra il movimento, la polizia e il governo guidato da Hashim Thaci. L’UE critica le manifestazioni che ritiene ingiustificate

18/01/2012, Veton Kasapolli -

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Scontri tra Vetevendosje e polizia del Kosovo - sito Vetevendosje

L’opinione pubblica del Kosovo dibatte in questi giorni le conseguenze politiche delle manifestazioni organizzate lo scorso 14 gennaio dal movimento di opposizione Vetevendosje (Autodeterminazione) ai valichi di frontiera con la Serbia di Merdare e Dheu Bardhe, sfociate in scontri violenti con la polizia. Decine di poliziotti e manifestanti sono rimasti feriti, mentre circa 150 persone sono state arrestate.

A spingere Vetevendosje a manifestare è stata l’accusa al governo guidato da Hashim Thaci di non applicare la mozione parlamentare approvata nel dicembre 2011 di piena reciprocità politica, economica e commerciale nei confronti della Serbia. Ora, dopo gli incidenti, il governo accusa Vetevendosje e il suo leader Albin Kurti di aver organizzato manifestazioni violente. Il movimento a sua volta rovescia invece le accuse di violenza sulla polizia.

Nei giorni successivi alla protesta, una trentina di ong kosovare hanno inscenato una protesta di fronte alla sede dell’esecutivo, esprimendo insoddisfazione rispetto al modo in cui la polizia ha gestito la situazione e accusando direttamente quello che hanno definito un “governo di polizia” per le violenze del 14 gennaio. Criticata anche la comunità internazionale, accusata di aver sostenuto a occhi chiusi l’operato del governo.

Proteste annunciate

Sia il governo che la polizia sapevano con largo anticipo che le proteste avrebbero avuto luogo. Lo stesso movimento Vetevendosje aveva annunciato ben prima di Capodanno che, nel caso avesse ritenuto il governo inadempiente rispetto alle decisioni del parlamento di Pristina, avrebbe chiesto ai propri membri e simpatizzanti di bloccare i valichi con la Serbia e il relativo transito di merci.

L’annuncio aveva messo in agitazione il governo. Hashim Thaci aveva contrattaccato, parlando ironicamente dei “valori patriottici” e della “rumorosa opposizione” al suo governo. Thaci aveva poi dichiarato che non tutte le decisioni prese dal parlamento, in riferimento alla questione della reciprocità con la Serbia, sono da intendersi come vincolanti per il governo. Il premier kosovaro aveva infine fatto esplicito riferimento al fatto che le proteste rischiavano di portare alla ripetizione delle violenze post-elettorali a Tirana, dove la polizia aveva fatto fuoco sui manifestanti. Le violenze annunciate sono diventate realtà, anche se fortunatamente in forma meno drammatica. Alla fine, però, decine di manifestanti e poliziotti sono rimasti feriti.

La protesta

Nelle intenzioni di Vetevendosje, il blocco dei valichi e il relativo stop a beni importati dalla Serbia, doveva implementare le mancate misure di reciprocità tra Pristina e Belgrado. La mozione del parlamento approvata a dicembre su iniziativa proprio di Vetevendosje chiede infatti al governo di realizzare piena reciprocità politica, economica e commerciale con la Serbia. Inoltre la risoluzione chiede al ministro del Commercio e dell’Industria di stimolare la produzione locale, al fine di rimpiazzare quella importata dalla Serbia.

Vetevendosje ha chiesto un sostegno pan-albanese alla propria iniziativa, invitando a manifestare persone dalla stessa Albania e dalla Macedonia. Numerose pattuglie di polizia erano presenti sulle strade che portavano a Merdare e Dheu Bardhe. Di fatto i manifestanti sono stati bloccati ad alcuni chilometri dai valichi e in molti casi, il numero degli agenti superava quello degli attivisti di Vetevendosje.

Divergenti le versioni su come siano iniziati gli scontri violenti. L’esecutivo sostiene che la polizia abbia gestito bene la situazione, facendo sì che le vie di comunicazione rimanessero praticabili per il libero movimento. Secondo il ministro degli Interni Bajram Rexhepi, la forza pubblica ha agito “molto professionalmente, utilizzando la forza minima indispensabile”. Vetevendosje ha invece parlato di repressione violenta di una manifestazione pacifica.

Secondo fonti media gli scontri sarebbero iniziati quando la polizia è intervenuta per disperdere i manifestanti con lacrimogeni, spray urticante, manganelli e cannoni d’acqua. Versione supportata anche dal Council for Protection of Human Rights and Freedoms, secondo cui non c’è stato alcun tentativo di raggiungere una soluzione concordata tra le parti. In un secondo momento, anche Amnesty International ha condannato l’uso della forza da parte della polizia.

Tra gli arrestati e i feriti ci sono anche il vicepresidente del parlamento e vari membri di Vetevendosje. I media hanno riportato anche l’arresto di vari abitanti dell’area degli scontri e il presunto tentativo di ammanettare un cittadino in sedia a rotelle. Un fotografo è rimasto ferito ed ha perso conoscenza in seguito alle cariche di polizia. Sul fronte opposto, numerosi agenti sono rimasti feriti dal lancio di pietre.

Reciprocità

La protesta di Vetevendosje non è riuscita a bloccare il traffico di merci in entrata dalla Serbia. La polizia è infatti intervenuta ben prima che le manifestazioni raggiungessero i valichi di confine.

L’Unione europea ha condannato le proteste, giudicandole ingiustificate e dirette contro uno dei diritti fondamentali promossi dall’UE, quella del libero movimento di persone e merci. Secondo il rapporteur per i Balcani occidentali dell’Unione, lo sloveno Jelko Kacin, "Le proteste sono state una provocazione" e la loro sostanza politica "è all’opposto dei valori basilari dell’UE".

L’Unione europea è parte attiva nel mediare i negoziati tra Pristina e Belgrado. Lo scorso settembre si era giunti allo sblocco della situazione di stallo creatasi col congelamento delle relazioni commerciali tra Kosovo e Serbia scattato nell’estate del 2011.

Secondo l’opposizione, però, l’accordo raggiunto sarebbe lontano dall’aver risolto i problemi. Alle aziende che vogliono esportare in o attraverso la Serbia viene richiesto di reperire documenti differenti da quelli che riportano i simboli statuari del Kosovo (una delle richieste poste da parte serba). Ancora una volta, la questione simbolico-politica emerge come particolarmente delicata nei rapporti serbo-kosovari.

Vetevendosje chiede che la reciprocità venga intesa in modo molto più vincolante, non limitata alle sole questioni formali che riguardano le bolle di esportazione. Chiede che il Kosovo non riconosca i documenti serbi, che gli accordi raggiunti a Bruxelles vengano rigettati e che ogni rapporto commerciale tra Serbia e Kosovo venga interrotto fino a che Belgrado non accetti di dialogare con Pristina a livello paritario.

Sotto i riflettori, naturalmente, anche se in modo indiretto, la questione del Kosovo del nord. Secondo Vetevendosje, importare beni per milioni di euro dalla Serbia contribuisce a finanziare le strutture di Belgrado che controllerebbero la parte settentrionale del Kosovo stesso.

Social media contro tv pubblica

Durante gli eventi del 14 gennaio, forse per la prima volta in Kosovo, i social network sono stati utilizzati come un vero e proprio canale alternativo di comunicazione di massa, rivolto sia agli utenti singoli che ai media più tradizionali.

Attraverso Facebook le manifestazioni sono state raccontate minuto per minuto, mentre video e foto venivano condivise in rete, soprattutto dagli stessi manifestanti, anche allo scopo di denunciare il comportamento della polizia. C’è anche chi ha suggerito di utilizzare i social network come piattaforma per ribellarsi contro lo “stato di polizia”, sulla falsariga delle rivolte della primavera araba.

Totalmente diverso il racconto emerso dai reportage della tv pubblica RTK, largamente percepita come “amica” nei confronti del Partito democratico di Hashim Thaci. In un editoriale sul quotidiano Zeri, l’opinionista Adrian Collaku ha scritto: “RTK ha mostrato la polizia come unica vittima degli scontri, mentre nella maggior parte delle storie apparse sul web i ruoli erano invertiti. Questo non dovrebbe stupire nessuno, visto che l’emittente pubblica contribuisce alla campagna contro le proteste di Vetevendosje e, in generale, contro chiunque abbia idee diverse da quelle dell’esecutivo”.

E ora?

Il governo ha promesso un’indagine ufficiale sui fatti del 14 gennaio. Una richiesta simile è arrivata anche da Ulrike Lunacek, relatore per il Kosovo presso il Parlamento europeo. Il presidente del parlamento di Pristina, Jakup Krasniqi, ha incoraggiato i partiti a discutere in aula prima di scendere in piazza. Krasniqi ha poi lanciato la proposta di una tavola rotonda per discutere gli ultimi eventi, che dovrebbe essere presieduta dal presidente Atifete Jahjaga.

Ma prima che questo succeda, Vetevendosje metterà con tutta probabilità in atto una seconda protesta, annunciata per il prossimo 22 gennaio. Stavolta il movimento protesta per ribadire il proprio fondamentale diritto a manifestare.

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