Kosovo: lo status passa dal decentramento
Il governo kosovaro sembra averla presa sotto gamba mentre Belgrado prende in considerazione sempre ed esclusivamente la comunità serba. Parliamo del processo di decentramento che la comunità internazionale vuol far procedere in modo parallelo ed imprescindibile alla definizione dello status
Per tutto il 2006 il Kosovo sarà tra le priorità del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ed è probabile che se i negoziati avviatisi all’inizio di quest’anno andranno a buon fine lo stesso Consiglio di Sicurezza approvi una risoluzione che sostituisca la 1244 – emessa all’indomani della fine della guerra in Kosovo nel 1999 – facendo in questo modo uscire il Kosovo da una "crisi d’identità" che si protrae oramai da troppo tempo.
Nelle ultime settimane è emerso chiaramente inoltre come la questione del Kosovo sia seguita con più attenzione che in passato anche dall’Unione Europea. Sembra che i funzionari e i politici europei abbiano ora compreso appieno che il Kosovo rischia di essere uno dei nodi irrisolti più pericolosi per l’Unione e che, prima o poi, dovranno affrontarlo. Si è intervenuti troppo tardi in passato, ora non ce lo si può più permettere.
Questo 2006 si è aperto con intense attività diplomatiche ed alcune delle questioni principali che vengono discusse hanno assunto una rilevanza, anche in merito allo status, che prima era forse stata sottovalutata.
Tra queste, al primo posto, il tema del decentramento.
Lunedì scorso Lufti Haziri, ministro kosovaro per l’Autogoverno, ha presentato un documento sulle proposte governative in merito alla riforma delle autonomie locali, già fatto visionare ai membri della squadra negoziale kosovara qualche giorno prima.
"Questo è un documento che contiene i principi fondamentali della riforma dei governi locali, tra questi vi è senza dubbio quello dell’integrità territoriale", ha affermato il ministro che poi non si è prodigato in molti altri dettagli.
Nei mesi scorsi la questione del decentramento non è stata condotta con molta efficacia dal governo kosovaro, anche per una mancanza di volontà politica di farlo. Ma ora è probabile che la questione decentramento entri a pieno titolo nel "pacchetto status" e venga posta sul tavolo dei negoziati.
Del resto era da mesi che i rappresentanti della comunità internazionale in Kosovo sottolineavano che il successo nell’affrontare questa specifica riforma avrebbe influito sul risultato finale dei negoziati sullo status.
Ma l’élite politica kosovara si è dimostrata da una parte restia a delegare poteri agli enti locali e inoltre confusa su come trasferire nuove competenze e nuove responsabilità in modo efficace a questi ultimi.
Per il governo del Kosovo condividere il potere con la comunità serba a livello locale sarebbe già di per sé segno di "multietnicità". Non si va molto oltre e gran parte della discussione verte sui confini amministrativi delle municipalità: a seconda di dove si decida di tracciarli infatti si darà la maggioranza nei governi locali ad una piuttosto che ad un’altra comunità. I serbi, ad oggi, non accettano il rischio di creare municipalità all’interno delle quali sono, una volta ancora, in minoranza. E per questo sino ad ora sono stati fuori dall’intero processo di decentramento.
Per i serbi del Kosovo è stato irritante ad esempio il fatto che delle 5 cosiddette "municipalità pilota", istituite dal governo del Kosovo per fare da "apripista" alla riforma, tre sono del tutto monoetniche (due abitate in gran maggioranza da albanesi ed una dalla minoranza turca) mentre le due restanti sono multietniche, con il rischio – hanno spiegato i leader della comunità serba – che ben presto divengano municipalità abitate in maggioranza da albanesi.
La riluttanza dimostrata dal governo kosovaro nel dare dettagli sul nuovo documento sul decentramento e stimolare in questo modo il pubblico dibattito sta a sottolineare come, in vista nei negoziati, l’esecutivo proceda in modo molto cauto e voglia tenere alcune carte coperte.
Anche il governo della Serbia ha redatto un documento nel quale delinea la propria posizione in merito al processo di decentramento in Kosovo. In quest’ultimo si richiede innanzitutto una piena autonomia culturale, intendendo con questo la possibilità di utilizzare la propria lingua, gestire proprie scuole, propri media e proprie istituzioni culturali, garanzie e protezioni per i propri siti religiosi e monumenti culturali, possibilità di creare legami istituzionali privilegiati con Belgrado.
Poi è stata richiesta autonomia nel campo della sanità e della protezione sociale: questo significa gestire direttamente istituzioni sanitarie e avere poteri nel campo della protezione sociale del sistema pensionistico. Si sottolinea su questo aspetto anche la possibilità di ricevere, in questi campi, diretto supporto materiale e professionale da Belgrado.
Altro elemento sottolineato è stato quello di avere autonomia finanziaria ed economica. Questo viene declinato attraverso una piena autonomia finanziaria delle municipalità, poteri rilevanti in merito alle infrastrutture nella municipalità, diritto di definire autonomamente i piani urbanistici e diritto di condurre privatizzazioni all’interno dei confini delle municipalità.
Viene poi richiesta una polizia ed una magistratura locale. Con questo si intende che determinate competenze per quanto riguarda il mantenimento dell’ordine dovrebbero essere garantite alla polizia locale composta da membri provenienti da tutte le comunità che abitano la municipalità. E poi il diritto del consiglio comunale di eleggere i quadri della polizia locale e i giudici delle corti locali, scelte che dovrebbero comunque essere avallate a livello provinciale.
Il governo serbo ha inoltre richiesto che venga prevista la possibilità che le municipalità creino vincoli istituzionali tra di loro, legami orizzontali supportati da organi specifici che li possano strutturare e supportare. Ed è poi chiaro che Belgrado chiede che le municipalità a maggioranza serba possano creare, a garanzia dell’intero processo, relazioni istituzionali dirette con Belgrado.
Dal dibattito di queste settimane nascono due questioni, ancora del tutto aperte. La prima è: quanto tempo servirà affinché la Pristina ufficiale inizi a pensare al processo di decentramento come una cosa che deve essere fatta bene in modo da non causare danni che in nel futuro saranno difficilmente reparabili? Prendere tempo non è sempre la miglior cosa da fare.
La seconda: quanto tempo servirà alla Belgrado ufficiale per iniziare a pensare ai cittadini del Kosovo nel loro complesso e non solo alla comunità serba quale minoranza in pericolo?
In merito al decentramento sembra purtroppo che entrambi i governi affrontino la questione esclusivamente dalla loro prospettiva. Ed i cosiddetti standard europei rimangono ancora molto lontani.