Kosovo: la crescita economica non crea occupazione
Forte crescita economica che non intacca l’alto tasso di disoccupazione: un modello economico che deve cambiare per rispondere alle sfide della globalizzazione. L’economia del Kosovo vista da Marco Mantovanelli, manager paese per la Banca mondiale
Mentre le maggiori economie mondiali come la Cina hanno segnato la più debole crescita economica dal 1990, alcune piccole economie di paesi in via di sviluppo come il Kosovo sembrano muoversi al ritmo giusto. Secondo il rapporto Global Economic Prospects del gennaio 2019, si prevede che nel 2019 il Kosovo registrerà il più alto tasso di crescita del PIL (4,5%) nel Sud-est Europa. Il rapporto prevede le stesse tendenze anche per i prossimi anni. In un’intervista a OBCT, il responsabile per il Kosovo della Banca mondiale Marco Mantovanelli spiega i principali elementi di questa tendenza in crescita, nonché i rischi e le sfide future.
Quali sono i principali indicatori dell’attuale spinta economica in Kosovo?
L’attuale trend è certamente una notizia positiva, e mostra che il Kosovo sta iniziando ad allontanarsi da un modello economico che la Banca mondiale considera "crescita instabile". In passato, la crescita si basava principalmente sul consumo delle famiglie, alimentato dalle rimesse. Ora vediamo una crescita sostenuta anche da un aumento degli investimenti pubblici e privati.
Il Kosovo deve perseguire una strategia per accelerare gli investimenti pubblici, ma soprattutto quelli privati, compresi gli investimenti diretti esteri. Abbiamo bisogno di un’economia che si concentri maggiormente sulla produttività e sull’aumento della capacità di esportazione. In un’economia senza sbocco sul mare come il Kosovo, se non espandi il mercato non puoi crescere facendo affidamento solo sul consumo locale. Ciò richiede investimenti, adozione di nuove tecnologie e competenze. Vi sono alcuni sviluppi positivi: lo scorso anno la crescita non è stata guidata solo dai consumi, ma anche dagli investimenti, per lo più pubblici, come l’espansione della rete stradale e autostradale. Non c’è niente di male in questo: spendere soldi pubblici nella costruzione di strade, per esempio, rappresenta un buon ritorno.
Ma quali sono le sfide per mantenere la crescita del PIL al ritmo attuale?
Uno dei rischi è che alcuni degli investimenti programmati alla fine non si concretizzino. Guardando al bilancio del settore pubblico, gli investimenti di capitale tendono ad essere sottoutilizzati e i risparmi che ciò genera nel bilancio vengono poi utilizzati per finanziare spese ricorrenti improduttive. La Banca mondiale preferisce che la spesa pubblica sia indirizzata verso investimenti produttivi che generano ritorno economico. Altri rischi interni sono la spesa sociale come le indennità di veterani e insegnanti, le pensioni e i salari che possono avere un impatto fiscale. I rischi esterni sono ovviamente la Brexit e la performance economica generale dell’Unione europea. Se l’Eurozona rallenta, ha un effetto di smorzamento anche sul Kosovo.
Il tasso di crescita del PIL in Kosovo è in aumento ed è il più alto nella regione, ma lo stesso vale per quello di disoccupazione, che è tra i più alti della regione con il 30,6%. Perché queste cifre così contrastanti?
L’attuale modello economico è stato costruito su un circolo vizioso, con un settore privato che non è dinamico e non produce abbastanza posti di lavoro. In questo contesto, il settore pubblico è più attraente per i lavoratori rispetto a quello privato. È difficile per i datori di lavoro privati attirare e trattenere lavoratori qualificati, dal momento che le condizioni di lavoro nel settore pubblico sono considerate molto migliori. Il problema principale è che la crescita non sta generando nuovi posti di lavoro a causa delle limitazioni nel nuovo settore privato. Nel settore privato i generatori più efficienti di nuovi posti di lavoro sono le start-up, ma qui c’è un problema. Le aziende che eliminano posti di lavoro sono di solito quelle più grandi e affermate, che adottano gradualmente nuove tecnologie e quindi richiedono meno forza lavoro. Le start-up e le piccole e medie imprese in Kosovo tendono ad essere molto piccole, con meno di otto dipendenti.
Perché le start-up in Kosovo non sono ancora in grado di crescere e svilupparsi più velocemente?
Non adottano nuove tecnologie o innovazioni e non sono in grado di attrarre e acquisire competenze rilevanti per la nuova economia globale. Così non si creano "gazzelle", aziende che crescono velocemente e portano rapidamente occupazione. Per crescere, le aziende devono avere tre elementi: know-how, competenze e capitale. È difficile sviluppare il know-how in assenza di sufficienti investimenti diretti esteri, che non portano solo capitali in un paese, ma anche know-how che si spera venga trasferito alle aziende locali. Per quanto riguarda le competenze, qui c’è un problema serio, perché secondo la Banca mondiale il Kosovo non sta preparando le risorse umane per il mercato del lavoro. E il terzo problema è il capitale: nonostante il sistema bancario sia capitalizzato e abbia liquidità, è ancora difficile in particolare per le start-up accedere ai finanziamenti, quindi non possono crescere.
Come può la fuga di cervelli influenzare l’economia del Kosovo a lungo termine?
Questa è una sfida attuale in ogni paese, in particolare nell’Europa sudorientale. Anche in Italia, da dove vengo, molti giovani qualificati vanno all’estero per trovare nuove opportunità. Questo è certamente un problema serio: l’unica risposta sta nel creare le condizioni per un vivace settore privato. Un’altra misura è sostenere la produttività, perché le aziende in Kosovo nascono piccole e rimangono piccole, non sono in grado di espandersi e offrire nuovi posti di lavoro, quindi è normale che le persone desiderino emigrare. Non c’è una soluzione facile: il Kosovo deve lavorare per migliorare sia il settore pubblico che quello privato. In molti casi, tuttavia, i giovani possono beneficiare della formazione ricevuta dai loro datori di lavoro e poi lasciare comunque il paese.
Gli investimenti di capitale aiutano a rilanciare l’economia, e la crescita in Kosovo si basa principalmente su tali investimenti, principalmente nelle infrastrutture. Uno di questi investimenti è la nuova centrale a carbone "Kosova e Re". L’anno scorso, però, il presidente della Banca mondiale Jim Yong Kim ha dichiarato che la banca non sosterrà la sua costruzione. Perché?
Le regole e linee guida che consentono alla Banca mondiale di finanziare progetti basati sul carbone sono molto rigide. Ovvero, dobbiamo dimostrare che non ci sono altre alternative praticabili. I recenti sviluppi nelle tecnologie rinnovabili e un forte calo dei loro costi indicano che tali alternative esistono e ciò rende impossibile per la Banca mondiale finanziare "Kosova e Re". Sappiamo, tuttavia, che il governo e un investitore privato straniero stanno finalizzando piani alternativi per procedere con il progetto. Dal lato degli investimenti, si tratterà quindi di un significativo investimento estero.
Secondo la Banca centrale del Kosovo, gli investimenti diretti esteri (IDE) hanno subito un significativo calo nel 2018. Che cosa dovrebbe fare il governo del Kosovo per attirare gli investitori stranieri?
Ci sono molte ragioni per questo calo degli IDE, compresa la percezione generale della situazione nel paese, i problemi con le forniture di elettricità, le questioni burocratiche quando si tratta di firmare contratti, ecc.. Se gli investimenti esteri sono fatti in settori di valore, ricadono poi sui fornitori locali. Questi investitori stranieri possono anche introdurre nuove tecnologie e migliorare le aziende locali, ma ciò non sta accadendo abbastanza in fretta. Il governo può agire su diversi fronti e alcuni passi sono già stati fatti. Costruire competenze è un compito indispensabile, a lungo termine e non facile. Un altro obiettivo è migliorare l’ambiente imprenditoriale in generale. Sulla carta, il Kosovo ha fatto molti progressi in campo imprenditoriale. In pratica, tuttavia, permangono molti ostacoli.
Marco Mantovanelli
Marco Mantovanelli è stato nominato Country Manager per il Kosovo e la Macedonia del Nord, facenti parte della regione “Europa e Asia centrale” della Banca mondiale il 1 maggio 2016. Mantovanelli ha più di venti anni di esperienza nello sviluppo economico in America Latina, Africa ed Europa. Ha iniziato a lavorare per il gruppo Banca mondiale a metà degli anni ’90, contribuendo con ricerche ed analisi economiche relative all’ideanzione e alla realizzazione di infrastrutture urbane e progetti di sviluppo urbano in Bolivia e Colombia. Mantovanelli si è laureato in Relazioni internazionali e Scienze Politiche all’Università di Bologna, e in Economia Internazionale alla Johns Hopkins University School of Advanced International Studies. Prima di lavorare per la Banca Mondiale, è stato consulente e ricercatore economico sia in Europa che negli USA.