Ormai la delegazione kosovara per i negoziati sullo status sembra essere decisa su un’unica formula: indipendenza non negoziabile. Ma andare ai negoziati esclusivamente con la richiesta dell’indipendenza non sembra essere sufficiente. Cosa state facendo per delineare una vera e propria strategia?
Noi abbiamo questa nostra posizione, che poi può essere chiamata anche strategia. L’indipendenza del Kosovo non è una questione che può essere discussa o negoziata. L’indipendenza è il risultato di un lavoro durato 100 anni da parte del popolo kosovaro, il risultato di tanti fattori, di sangue versato, di un grande progresso che è stato raggiunto, di rilevanti investimenti da parte della comunità internazionale, specialmente negli ultimi due decenni. Tutto questo fa dell’indipendenza una richiesta democratica essenziale del popolo kosovaro, che non può essere negoziata con qualcun altro.
Questa storia del popolo kosovaro riguarda anche la guerra del 1999, che non è stata sufficiente ad ottenere l’indipendenza. Cosa è cambiato da allora?
Vi sono state molte circostanze che sono cambiate in questi sei anni. Dopo la guerra in Kosovo vi era un grande caos, nessuna istituzione funzionava. Vi è stato anche un decennio, tra il 1990 ed il 1999, nel quale vi è sttaa una sorta di vuoto di potere. Un’ulteriore considerazione è che noi non abbiamo una tradizione eccellente nell’organizzazione del potere. Questi sei anni sono stati necessari per imparare, per iniziare a governare. E questo è quello che è cambiato: ora esiste una classe politica in grado di governare il Kosovo. Le istituzioni sono stabili, funzionanti, democratiche e responsabili davanti ai cittadini. Una base per il futuro stato del Kosovo. Una base che ora esiste.
Quali sono gli altri argomenti che porterà la delegazione kosoavra al tavolo delle trattative se l’indipendenza non è negoziabile?
L’indipendenza e l’essenza delle cose. Il consenso attorno all’indipendenza ha cominciato a crearsi ora in seno alla comunità internazionale, o come ha affermato un analista politico, "il consenso dietro le quinte". Anche a Belgrado lo sanno bene cosa succederà con il Kosovo. Noi chiediamo di realizzare lo stato del Kosovo. Questo sarà la nostra richiesta principale ed il nostro obiettivo del quale discuteremo con la comunità internazionale. Tutte le altre questioni sono collegate a questo e riguarderanno ad esempio le relazioni con i serbi del Kosovo, i rapporti con gli stati vicini, l’Albania, la Serbia e Montenegro, la Macedonia, o il rapporto con comunità internazionale, specialmente NATO, Bruxelles e Commissione Europea. Sottolineo in particolare con la NATO perché esiste un largo consenso sul fatto che quest’ultima rimarrà a lungo in Kosovo, anche dopo la definizione dello status finale, e poi abbiamo anche bisogno di una missione consultiva e d’osservazione da parte dell’UE.
Uno tra i tre possibili vice di Marrti Athisaari sarà un russo. Temete che come è successo in passato la Russia difenda gli interessi dei serbi, percepiti come fratelli ortodossi?
Non è sicuro che uno dei suoi vice sarà un russo come non è sicuro che avrà dei vice e nemmeno è sicuro che a guidare i negoziati sarà Athissari. Ma soffermiamoci invece sulla linea slavo-ortodossa. E’ risaputo che la Serbia intenda contribuire a stabilizzare la situazione in Kosovo. Ma questa posizione è contraddittoria sia sul piano politico, che diplomatico che sul terreno. Belgrado ha ad esempio sborsato molte risorse per bloccare il processo di stabilizzazione. Dal punto di vista politico Belgrado non ha diritto di influenzare il destino del popolo del Kosovo. Belgrado ci ha provato tante volte ed il risultato è stato violenza e guerra. In merito alla Russia è stato positivo che dopo il crollo dell’Unione Sovietica la sua politica estera ha guardato sempre più ad occidente. Questo ha influssi positivi anche sul Kosovo. La Russia è sulla linea degli altri paesi del Gruppo di Contatto. Negli ultimi dieci anni la Russia ha dimostrato di non difendere i serbi ad ogni condizione. Quando loro sbagliano ed hanno sbagliato, quando hanno commesso crimini e genocidi contro altri popoli non li hanno difesi.
Cosa stanno facendo i gruppi di esperti che vi affiancheranno durante i negoziati?
A livello pratico non hanno ancora cominciato a lavorare, si stanno costituendo e non hanno ancora ricevuto alcuna indicazione da parte della delegazione ufficiale. Ma comprenderanno esperti in grado di lavorare su molte questioni diverse, discutere dei negoziati, proporre modelli e soluzioni.
La questione dei danni di guerra sarà tra queste ultime?
Assolutamente sì, ma non penso che verranno risolti tutti questi problemi che abbiamo con la Serbia. Importante è però che vengano messi sulla tavola. D’altra parte anche la Serbia farà la stessa cosa e dobbiamo essere preparati a dare risposte e garanzie ad esempio sulla questione della chiesa ortodossa, la minoranza serba ecc.
Soffermiamoci sul problema dei danni di guerra. Sino ad ora non c’è stata alcuna valutazione in merito, nessuna prova raccolta per testimoniare questi danni. Come procedere?
E’ vero che non vi è ancora stata alcuna valutazione dei danni. Prima del 1999 erano stati valutati i danni economici subiti nel decennio 1990-1999, ma dopo la guerra non esiste alcuna cifra e questa è una ragione per la quale abbiamo creato gruppi di esperti.
Ritenete vi sia ancora tempo per fare qualcosa?
Non penso che il tempo a nostra disposizione sia finito. I negoziati si avvieranno il prossimo anno, attorno a febbraio. Tre o quattro mesi sono sufficienti per redigere questi rapporti.
Perché sino ad ora non sono stati fatti?
Per i fatti di cui sono a conoscenza il lavoro è sttao avviato due anni fa. Ma poi qualcosa non ha funzionato.
Più in concreto come verrà difesa nei negoziati "la volontà del popolo kosovaro"?
A mio avviso la miglior protezione consisterà nel fatto che il rispetto della volontà del nostro popolo è un nostro diritto. Un diritto che non può essere negato a nessun altro popolo e nemmeno al popolo albanese del Kosovo.
Comunque vi sono anche molti popoli che non hanno mai potuto veder realizzato questo loro diritto …
Sì, però noi abbiamo lottato e siamo riusciti a convincere la comunità internazionale che ci stavamo battendo per la nostra libertà. Non ci saranno negoziati con Belgrado sull’indipendenza. Sarebbe un []e cruciale se ci mettessimo a discutere con Belgrado della creazione di uno stato del Kosovo.
Cosa pensate dell’opzione dell’indipendenza condizionata?
E’ vero che questo termine sta circolando tanto ultimamente: però per me non ha senso e sono contro l’invenzione di soluzioni nuove, esclusivamente per il Kosovo. Si deve chiaramente definire cosa sia quest’indipendenza condizionata senza lasciare troppo spazio all’immaginazione. Mi sembra comunque una cattiva formula, che non verrà applicata perché si troverà un consenso su un Kosovo che divenga subito stato, come tutti gli altri. Non esiste più la sovranità concepita in modo classico. Il Kosovo è stato invaso dalla Serbia ma ha sempre avuto i suoi confini ed una sua costituzione, è sempre stato un’entità divisa dalla Serbia. E’ stato inoltre parte di una Federazione che non esiste più, la ex-Jugoslavia, ma mai nella storia siamo stati parte della Serbia. E’ vero che siamo stati legati con varie forme alla Serbia, ma non siamo mai stati una sua parte. Noi chiediamo ora che quest’entità divenga uno stato, riconosciuto dalla comunità internazionale e poi dalla Serbia.
A valutare l’attuale situazione politica sembra vincerà l’opzione dell’indipendenza condizionata. Quali sono le condizioni che siete pronti ad accettare? Sino a che punto sarete tolleranti?
Ritengo che non ci saranno condizioni che accetteremo. Saremo tolleranti se si arriverà alla creazione di un stato del Kosovo. Siamo disponibili a compromessi solo se questo sarà il futuro.
La questione di Mitrovica, la città divisa, può diventare un problema nei negoziati? La Serbia insisterà per controllare almeno la parte nord della città. L’ICG afferma che questa questione rischia di mettere in dubbio le decisioni sullo status finale. Ha la delegazione per i negoziati definito una strategia per uscire da questa difficile situazione?
Esiste solo un’opzione per questa città: la reintegrazione. Sino ad ora un progetto non è stato redatto ma non vedo altra possibile futuro per la città. Per osteggiarla sono inutili i soldi che stanno arrivando dalla Serbia ed anche quelli che arrivano dai gruppi più radicali. La parte nord di Mitrovica è una vera e propria sfida al Kosovo perché vi operano le strutture parallele, finanziate da Belgrado. Ma questa questione non impedirà i negoziati e non verrà mai staccata dal Kosovo. Credo che anche i serbi non chiederanno una separazione territoriale. Perch se facessero così Milosevic e Kostunica sarebbero uguali, e quest’ultimo non lo desidera. Milosevic ha fatto di tutto per arrivare ad una suddivisione territoriale e questo modello applicato per 15 anni ha significato guerre. Anche se ritengo che il governo di Belgrado non sia poi così diverso da quello di Milosevic non avranno il coraggio di chiedere una divisione territoriale.
Il vostro governo ha già definito una piattaforma d’azione per smantellare le istituzioni parallele?
Purtroppo in questo abbiamo fallito, e non parlo del solo governo, ma dell’intera classe politica. Però con noi hanno fallito anche UNMIK e KFOR. Le strutture parallele all’inizio sono state tollerate per la loro utilità dal punto di vista umanitario, specialmente nel settore sanitario. Ma poi sono cresciute e sono state create strutture parallele anche nel campo giudiziario e della polizia. E questo è un potenziale pericolo, soprattutto per il processo dei negoziati. Si può arrivare ad una destabilizzazione del Kosovo, possono nascere problemi molto seri. Penso che prima di arrivare alla definizione dello status finale debbano essere smantellate le strutture parallele in campo giudiziario e della polizia.
Cosa state facendo in questa direzione?
Io vi sto lavorando. Quando Enver Haradinaj fu ucciso ho messo al primo posto della mia agenda la questione delle strutture parallele. Ho parlato con tutti i principali portatori di interesse in Kosovo ed all’estero ed ho constatato che sostengono questa mia idea. Ma sia UNMIK che KFOR hanno paura ad iniziare ad occuparsi di questa questione. Le strutture parallele esistono, e lo sanno sia UNMIK che KFOR ma non sono capaci di fare qualcosa. Noi, come governo, possiamo solo fare pressioni politiche, ma non abbiamo strumenti per agire direttamente. Io ritengo questo sarà durante i negoziati il problema principale.
Accettereste che la questione relativa al decentramento divenga parte dei negoziati? Siete preparati per evitare che ciò avvenga?
Ritengo che la decentralizzazione sia un processo altamente concreto dove la Serbia non c’entra. E’ un problema interno. Nei negoziati si potranno affrontare le questioni ce riguardano i serbi e come essi vengono toccati dal processo di decentramento. Ma non dovrà entrare l’intero processo.
Kai Eide, nel suo rapporto, suggerisce la creazione di comuni a maggioranza serba ed anche di lasciare a queste zone amministrative di creare legami orizzontali tra loro. Cosa ne pensa?
Le municipalità a maggioranza serba esistono già e se ne possono creare altee ma non in modo artificiale. Non penso che si debbano comunque essere legami orizzontali tra queste ultime, non si deve creare una seconda Bosnia. Nessuno desidera si applichi il modello bosniaco, neppure coloro i quali lo hanno creato. Non si permetterà e non permetteremo che questo avvenga in Kosovo. Dicendola con più franchezza: i serbi devono imparare a trattare gli albanesi come eguali.
Come prevede il processo dei negoziati? Cosa si chiederà gli albanesi e cosa ai serbi? Quanto lungo sarà il processo? Vi sarà ostruzionismo?
Difficile dirlo. Suppongo che agli albanesi verranno richiesti maggiori progressi nelle aree rurali, un cuore più aperto nei confronti delle minoranze, un maggior rispetto dello stato di diritto. Al Kosovo verrà chiesto di garantire stabilità nei rapporti con i paesi vicini che penso abbiano ormai capito che in futuro non vi saranno problemi. In merito al possibile ostruzionismo ritengo che la classe politica serba non sia purtroppo pronta a prendere decisioni storiche in merito al Kosovo, nel senso di accettare che la Serbia finisca a Merdara. Pubblicamente ancora non lo accettano.
Condividete le affermazioni di Kai Eide che nel suo rapporto ha affermato che i rappresentanti albanesi non hanno fatto tutto il necessario per favorire l’integrazione della comunità serba?
Accetto che con abbiamo fatto tutto il possibile, e forse non abbiamo trovato le modalità appropriate, ma abbiamo comunque fatto molto. Non esiste altro gruppo etnico in Europa che sia attorno al 5-6%, come i serbi del Kosovo, e che goda di più diritti garantiti sia a livello costituzionale che in altri documenti ufficiali. I problemi però sono legati alla loro applicazione, per due ragioni. La prima è che da parte della comunità albanese si ritiene ancora che Belgrado utilizzerà la comunità serba del Kosovo per fare dell’ostruzionismo rispetto all’indipendenza del Kosovo. Dubbi che hanno base reale. La seconda ragione è legata al fatto che i serbi del Kosovo si sono messi completamente nelle mani di Belgrado, ed hanno deciso di non partecipare al processo politico. Non sfruttando in questo modo tutte le possibilità a loro date e per impedire l’indipendenza del Kosovo.