Kanal Istanbul, il nuovo Bosforo sognato da Erdoğan
Il presidente turco Erdoğan sembra pronto a far partire il progetto "folle" di Kanal Istanbul – il canale artificiale che dovrebbe "raddoppiare" il Bosforo – nonostante le preoccupazioni sul possibile impatto ambientale e geopolitico dell’opera. Il punto del nostro corrispondente
Chissà se le sfumature di turchese che ogni anno colorano il Bosforo tingeranno anche le acque di Kanal Istanbul. È questo il nome del progetto più ambizioso del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, un canale artificiale lungo 45 chilometri per collegare il mar Nero al mare di Marmara e alleggerire il traffico marittimo che congestiona la “gola” – con questo termine, boğaz, in Turchia è conosciuto il Bosforo – della metropoli turca.
Il magico corso d’acqua che separa in due sponde la città di Istanbul non è solo uno dei tratti di mare più affascinanti al mondo, ma anche lo spazio che consente la navigazione dal Mar Nero allo stretto dei Dardanelli, la porta del Mediterraneo non solo per la Russia di Putin ma anche per Ucraina, Romania, Bulgaria e Georgia. Un percorso dunque fitto di implicazioni geopolitiche oltre che di enormi navi che ogni giorno lo attraversano.
Nel 2014 erano 26mila, lo scorso anno sono state oltre 40mila le imbarcazioni commerciali che sono passate per le acque del Bosforo. Considerando anche il traffico relativo ai traghetti del trasporto pubblico e privato, è innegabile che il canale che separa le due sponde di Istanbul sia uno dei tratti di mare più trafficati al mondo ed è questa la motivazione che il presidente turco utilizza per difendere pubblicamente la realizzazione di Kanal Istanbul.
Un progetto targato Erdoğan
L’idea di creare un canale parallelo al Bosforo si perde nella storia imperiale della città, sia bizantina che ottomana. In tempi più recenti un progetto analogo era stato proposto nella campagna elettorale per le elezioni municipali di Istanbul del partito di centro sinistra DSP, ma fu subito abbandonato perché quelle consultazioni furono vinte dal candidato avversario: un giovane Recep Tayyip Erdoğan che diventando sindaco di Istanbul nel 1994 lanciò la sua lunga carriera politica.
È da almeno dieci anni che Erdoğan menziona l’idea di costruire Kanal Istanbul, ma il progetto ha iniziato ad avere una forma più concreta soltanto dopo l’apertura della prima gara d’appalto per la costruzione dei ponti sul nuovo canale artificiale il 26 marzo del 2020. Nonostante siano anche stati approvati i permessi ufficiali, la zona dove dovrebbe sorgere Kanal Istanbul è rimasta per ora uguale a come si presentava dieci anni fa.
L’area rurale nella periferia occidentale di Istanbul designata per la costruzione del canale è oggi un luogo dove si possono trovare allevamenti di bufali, fattorie e campi di ortaggi. Nessun cantiere è stato per ora aperto anche se si vocifera che nei primi giorni di giugno potrebbe essere organizzata una cerimonia in cui lo stesso presidente Erdoğan poserebbe la prima pietra per l’inaugurazione dei lavori.
Quel che per ora è certo è che parte dell’area destinata alla costruzione del canale è stata già acquistata da aziende vicine al presidente turco oltre che dalla famiglia dell’emiro del Qatar e che il progetto – spesso definito “folle”– ha già raccolto una forte, e molto eterogenea, opposizione in Turchia.
Voci contro
“Sarà la fine di Istanbul”, è questa l’opinione su Kanal Istanbul di Ekrem İmamoğlu che dopo le elezioni del 2019 è diventato il sindaco della megalopoli turca battendo per quasi un milione di voti il candidato appoggiato da Erdoğan e strappando Istanbul al partito del presidente turco che l’aveva governata per decenni.
Secondo İmamoğlu, il nuovo canale artificiale non è solo un “tradimento” per Istanbul ma letteralmente “ucciderebbe la città”. Il primo cittadino fa riferimento agli oltre 200mila alberi che dovrebbero essere tagliati e ai 10mila ettari di terreno coltivabile che dovrebbero sparire per fare spazio al percorso del canale.
Da quando è stato eletto, il sindaco İmamoğlu ha dichiarato guerra a Kanal Istanbul con una campagna retorica dai tratti ambientalisti ma declinata anche in azioni concrete, come una raccolta firme contro il progetto molto partecipata ma probabilmente inefficace dal punto di vista legale per bloccare i lavori nel caso dovessero iniziare davvero. Cambiamenti irreversibili all’ecosistema marittimo, prosciugamento di riserve idriche e aumento di rischi sismici per la città sono gli altri argomenti spesso citati da chi non vuole il nuovo canale parallelo al Bosforo.
L’opposizione a Kanal Istanbul non è però soltanto una battaglia per l’ambiente. Il 3 aprile un centinaio di ammiragli in pensione hanno firmato una lettera che criticava Kanal Istanbul perché la costruzione del nuovo canale creerebbe le condizioni per un ritiro della Turchia dalla convenzione di Montreaux, l’accordo internazionale che regola il passaggio delle navi sul Bosforo concedendo ad Ankara un ampio margine di controllo.
Firmata nel 1936 in Svizzera, la convenzione concede il libero passaggio di imbarcazioni commerciali mentre pone dei limiti precisi al transito di navi da guerra sul Bosforo. In questo caso Ankara deve essere informata otto giorni prima mentre gli stati che non si affacciano direttamente sul mar Nero sono comunque soggetti a limitazioni per quanto riguarda la dimensione della flotta che può transitare.
Di fatto la convenzione di Montreux concede ad Ankara le chiavi di una delle porte più ambite del Mediterraneo e in qualche modo argina lo spazio di manovra di Russia e Stati Uniti, questi ultimi non affacciandosi sul Mar Nero sono soggetti a dei limiti riguardo al passaggio su Dardanelli e Bosforo.
La lettera firmata dagli ammiragli in pensione criticava Kanal Istanbul citando l’importanza della convenzione di Montreaux per la sicurezza di Ankara, ma in questo appello Erdoğan ha visto soprattutto un monito che ricordava gli ultimatum lanciati dai militari prima dei colpi di stato che hanno segnato la storia della Turchia repubblicana. Dieci tra gli ammiragli firmatari della lettera sono stati in arresto per una settimana e il presidente turco ha pubblicamente affermato di non avere alcuna intenzione di stracciare la convenzione di Montreaux. In realtà, se Kanal Istanbul venisse davvero costruito il presidente turco si troverebbe nelle condizioni di poter decidere come amministrare il nuovo canale parallelo al Bosforo anche senza ritirare la Turchia dalla convenzione di Montreaux.
Chi paga per il canale?
Secondo un recente sondaggio quasi la metà della popolazione turca non approva l’idea di costruire il canale parallelo al Bosforo ma l’opposizione meno manifesta e nello stesso tempo più rilevante a Kanal Istanbul è quella arrivata improvvisamente da quattro delle principali banche turche che – secondo un’inchiesta esclusiva pubblicata recentemente da Reuters – hanno già deciso che non finanzieranno il progetto, il cui costo nel 2019 era stato stimato in 75 miliardi di lire turche (all’epoca circa 13 miliardi di dollari).
I banchieri intervistati hanno citato rischi troppo alti a livello ambientale per poter partecipare al finanziamento di Kanal Istanbul, uno di loro ha anche affermato che nessuna banca turca potrebbe davvero permettersi di partecipare a un progetto di questo tipo.
La determinazione di Erdoğan riguardo a realizzare il “sogno” Kanal Istanbul non sembra però scalfita nemmeno dal mancato appoggio da parte del settore bancario turco. Se il cantiere per la costruzione del canale parallelo al Bosforo verrà davvero aperto a sostenerne i costi saranno dunque in parte investitori stranieri a cui dovrà essere corrisposta una ricompensa che potrebbe riguardare non soltanto termini economici, come introiti raccolti da un pedaggio fatto pagare alle navi in transito, ma anche geopolitici considerate le implicazioni strategiche di avere un nuovo canale parallelo al Bosforo ma non sottoposto agli stessi regolamenti di Montreaux.