Jolie: un pugno nello stomaco

Un film sulla guerra in Bosnia. Nell’insieme riuscito pur con qualche riserva. “In the Land of Blood and Honey – Nella terra del sangue e del miele” è il debutto alla regia di Angelina Jolie. Il commento del nostro critico cinematografico

08/03/2012, Nicola Falcinella -

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In the Land of Blood and Honey

Un pugno nello stomaco. È “In the Land of Blood and Honey – Nella terra del sangue e del miele”, il debutto alla regia di Angelina Jolie ambientato durante la guerra in Bosnia degli anni ’90 che da settimane sta dividendo il pubblico dei paesi dell’ex Jugoslavia. Un esordio che mette da parte ogni forma di diplomazia.

La star americana, da anni impegnata in cause umanitarie di vario tipo, ha fatto un film che ha provocato polemiche fin da prima dell’inizio delle riprese senza cercare mediazioni. La pellicola, interamente parlata in bosniaco, è stata presentata al Festival di Berlino fuori concorso ricevendo un’accoglienza contrastata e poi a Sarajevo, presenti la regista e il marito Brad Pitt, accolta con favore dai musulmani e ostracizzata dai serbi.

La trama

Il film racconta la storia d’amore tra la pittrice musulmana Alja (Zana Marjanović, vista in “Snijeg – Snow” di Aida Begić) e un poliziotto serbo Danijel (Goran Kostić, visto in “The Hunting Party – I cacciatori” e in piccole parti nelle produzioni internazionali “I figli degli uomini” e “Uomini di Dio”).

Si conoscono prima della guerra e sono separati, letteralmente, dallo scoppio del conflitto: mentre ballano insieme esplode un ordigno che è l’inizio delle ostilità. Lui è figlio del generale iper-nazionalista Vukojević interpretato da Rade Šerbedžija ed è costretto ad arruolarsi tra i serbo-bosniaci.

La donna si nasconde in casa con la sorella Lejla (Vanesa Glodjo) e suo figlio, finché sono rastrellate e deportate. I due si ritrovano in un campo di prigionia e lui la salva dalla violenza sessuale a cui sono sottoposte le donne e la aiuta a fuggire.

Catturata di nuovo, Alja è tenuta da Danijel come prigioniera personale chiusa in una stanza dove lei dipinge. È un crescendo di violenza e di gelosia fino all’epilogo tragico.

Troppa dimostrazione

La Jolie, autrice anche della sceneggiatura forse troppo schematica, mostra di aver approfondito le vicende belliche e i drammi di migliaia di donne ma esagera nel voler dare troppa dimostrazione di conoscere ciò che racconta. Il risultato è un melodramma a tinte forti, dove il contesto è solo abbozzato (tranne qualche sottolineatura sui cetnici e accenni all’antica battaglia di Kosovo Polje), ma dove non vengono risparmiate le efferatezze.

La neoregista non si è risparmiata nel calcare la mano sul sangue e gli ammazzamenti, le atrocità e le violenze, ed esagera nell’accumulare troppe situazioni. Se nella prima metà abbondante la trama regge, verso la fine non restano che episodi un po’ slegati e anche forzati.

Molto buona la prova del bel cast, completato per i ruoli principali da Nikola Đuričko e Branko Đurić. Alla Jolie non si può negare il coraggio e una certa abilità nella regia muscolare. Il risultato è un film che sembra più europeo che americano, con più di un momento interessante e nell’insieme da promuovere pur con qualche riserva.

Guardare la guerra è difficile

I serbi di Bosnia non ne escono bene, del resto certi crimini durante la guerra sono innegabili. Il film può essere letto anche come un invito a superare le ultime ritrosie e assumersi le proprie responsabilità, quanto meno quelle individuali.

Il finale con il protagonista che ripete supplicante “sono un criminale di guerra” porta forte quel significato. Leggerlo solo come un attacco a una parte, nonostante le accuse siano chiare ed esplicite, è però limitante. La Jolie prova anche a variare sul tema degli amanti divisi dai due fronti della guerra, oltre al rapporto morboso che si instaura (anche da prigioniero e carceriere, vittima e carnefice) ed è pure la vicenda di un uomo che cerca di smarcarsi dall’ingombrante figura paterna.

“Quando fai un film di guerra ti poni sempre il problema di quel che puoi mostrare e quel che è meglio non mostrare – ha spiegato le sue scelte la Jolie a Berlino – nessun film può ricreare i veri orrori della guerra. Ho mostrato la violenza proprio perché c’è stata. Deve essere difficile da vedere perché è stata la realtà. Quando vedo un film di guerra che è troppo semplice da guardare non mi sento a mio agio”.

“Negli anni ho letto molte sceneggiature di questo tipo, ma per lo più non erano buone, tranne Grbavica che era eccellente e poche altre. Questa mi è piaciuta molto ed è stata un onore partecipare a questo film” ha dichiarato invece Šerbedžija. “Ho impiegato diverse ore a leggere la sceneggiatura perché mi ricordava molto quello che avevo vissuto ed era molto doloroso. Ho saputo solo dopo chi l’avesse scritta” ha dichiarato Vanesa Glodjo.

La protagonista Marjanović ha raccontato un aneddoto sugli inizi della sua carriera: “Durante la guerra la mia famiglia si era trasferita in America. Quando avevo 18 anni ho deciso di lasciare New York e tornare in Bosnia. Tutti mi dicevano di restare là se volevo fare l’attrice, invece proprio in Bosnia ho avuto l’occasione per questo film”.

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