Izetbegović a Kazani, primo gesto di riconoscimento
Per la prima volta un leader bosgnacco fa visita al luogo in cui furono uccise e gettate nelle fosse decine di vittime di nazionalità serba e croata
Il 13 giugno il presidente di turno della Bosnia Erzegovina Bakir Izetbegović ha visitato la località di Kazani sul monte Trebević per onorare le vittime uccise e gettate nelle fosse lì vicine tra il 1992 e il 1993 da alcuni membri della 10° Brigata di Montagna, comandata da Mušan ‘Caco’ Topalović.
Come riportato da Radio Slobodna Evropa, Izetbegović ha commentato la visita dicendo che sarebbe dovuto venire prima e che sperava che la sua visita avrebbe avuto un impatto politico positivo, ispirando anche altri a fare lo stesso. La visita è stata positivamente accolta dal presidente dell’Associazione delle famiglie delle vittime della regione di Sarajevo-Romanija Milan Mandić e dal presidente del Consiglio dei cittadini serbi Miladin Vidaković. Mandić ha definito incoraggiante il gesto di Izetbegović e ha suggerito che anche gli altri membri della Presidenza seguano il suo esempio: Ivanić
per esempio dovrebbe visitare Tomašica – il sito di una fossa comune nella municipalità di Prijedor, dove dal 2013 sono state ritrovate centinaia di corpi appartenenti a cittadini di etnia croata e bosgnacca.
La visita di Izetbegović è particolarmente significativa poiché è la prima volta che un membro della presidenza (e anche membro dell’SDA, il principale partito bosgnacco) visita Kazani, luogo simbolo dei crimini commessi da parte dell’armata della Bosnia Erzegovina contro cittadini di etnia serba e croata nella Sarajevo assediata.
I crimini di Kazani
29 corpi sono stati finora esumati dalle fosse di Kazani: tutti civili di Sarajevo, la maggior parte serbi. Tuttavia il numero esatto delle vittime uccise a Kazani non è mai stato stabilito con certezza. E questo è uno degli obiettivi dell’Associazione delle famiglie delle vittime della regione Sarajevo-Romanija.
A questo riguardo Izetbegović ha commentato che i crimini di Kazani sono stati già processati durante la guerra e si augura che i processi ancora in corso si concludano, così che la verità possa essere stabilita.
Finora, 14 membri dell’Armija della Bosnia Erzegovina sono stati processati per i crimini commessi a Kazani, ma non sono stati riconosciuti come crimini di guerra, bensì come semplici omicidi. Di conseguenza, agli imputati sono state comminate pene tra i 10 mesi ed i 6 anni di carcere.
Mentre Caco morì nel 1993 nel corso del blitz organizzato dalla polizia bosniaca per arrestarlo, l’unico caso di processo per crimini di guerra per i fatti di Kazani è quello in corso da dieci anni contro un membro della sua brigata, Samir Bejtić, processo ricominciato da zero per ben 4 volte, l’ultima delle quali nel febbraio 2016. L’avvocato di Bejtić, Fahrija Karkin, ha persino affermato che il suo cliente non dovrebbe venir giudicato per crimini di guerra, mentre tutti gli altri imputati per gli stessi crimini se la sono cavata con sentenze per omicidio.
Tuttavia, come evidenziato in un’intervista dal direttore del Research and Documentation Center di Sarajevo Mirsad Tokača, le violenze commesse a danno di civili portati via dalle loro case e uccisi da militari sono senza dubbio da definirsi crimini di guerra.
Secondo Tokača, c’erano sufficienti prove fin dall’inizio per perseguire per crimini di guerra tutti gli implicati nei fatti di Kazani, ma non c’era la volontà politica. Eppure la definizione di crimini di guerra è necessaria per evidenziare la gravità e la sensibilità di queste violazioni, e la riluttanza dei tribunali bosniaci nel farlo tradisce il significato politico di Kazani.
La paura che l’ammissione di questi crimini da parte bosgnacca possa rendere tutti vittime allo stesso modo e il fatto che parte della popolazione continua a vedere in Caco un eroe di guerra ha impedito un dibattito aperto sui fatti di Kazani. Sono state le sporadiche iniziative di alcuni media, politici e organizzazioni della società civile bosniaca e le pressioni delle famiglie delle vittime a impedire che il dibattito si chiudesse definitivamente e che questi crimini cadessero nell’oblio.
Iniziative per ricordare Kazani
Già nel 2011 il vice presidente della Federazione della Bosnia Erzegovina Svetozar Pudarić aveva avviato un’iniziativa per realizzare un monumento in memoria delle vittime di Kazani, che aveva portato alla firma di un accordo di cooperazione con l’allora sindaco di Sarajevo Alija Behmen per la costruzione del monumento. Tuttavia il cambio dell’amministrazione comunale del 2013 ha fatto sì che l’iniziativa si arenasse.
Anche la società civile locale ha contribuito a sensibilizzare il pubblico sui fatti di Kazani. L’Associazione per la Ricerca Sociale e la Comunicazione (UDIK), ha portato più di una volta il tema di Kazani al centro dell’attenzione pubblica, l’ultima delle quali lo scorso ottobre in una manifestazione di fronte alla Cattedrale in centro a Sarajevo.
Nel 2014, un’altra iniziativa di sensibilizzazione è nata dal gesto di un cittadino singolo, Haris Jusufović, che ha scritto un articolo, poi pubblicato sul portale “Buka”, in cui parla della responsabilità di trovare gli scomparsi e promuovere la costruzione di un memoriale. Quest’iniziativa individuale è divenuta poi soggetto di un documentario dell’Institute for War and Peace Reporting (IWPR), “No Excuses” (niente scuse), proiettato a Sarajevo nell’aprile 2015. Nella discussione che ha seguito la proiezione, Jusufović ha parlato del senso di responsabilità di capire che cosa fosse successo ai suoi concittadini, mentre sua moglie ha ricordato come molti non avessero approvato la loro iniziativa e avessero loro ingiunto di dimenticarsi di fatti che ormai risalivano a 20 anni prima.
Infine, nel dicembre 2015, un gruppo di attivisti dell’iniziativa Jer me se tiče (Perché mi riguarda) ha posato una targa in memoria delle vittime della 10° Brigata di Montagna nella piazza di At Mejdan nel centro di Sarajevo, formulando tre richieste alle autorità bosniache: che una commissione indipendente identifichi tutte le vittime civili dei crimini commessi nelle parti di Sarajevo sotto il controllo dell’Armata della Bosnia Erzegovina; che tutti i casi di crimini di guerra nella Sarajevo occupata siano investigati; e che un monumento sia eretto in città per ricordare le vittime della 10° Brigata, così come di altre unità militari o di polizia bosniache. Tuttavia, la targa degli attivisti di Jer me se tiče è stata vandalizzata poco dopo essere stata posata, a riprova del profondo disagio che l’ammissione di questi crimini comporta per i cittadini di Sarajevo.
Una difficile accettazione
Perché è cosi difficile ammettere che questi crimini sono stati effettivamente commessi? Dopotutto, le autorità bosniache avevano già mostrato di ripudiare Caco facendolo arrestare e uccidere nel 1993 e processando poi i suoi compagni. E tuttavia, qualche anno dopo il suo corpo era stato riesumato dalla tomba anonima in cui era stato sepolto, per collocarlo vicino a soldati morti in battaglia con un funerale da eroe, riabilitando così le sue azioni.
Il padre di Predrag Šalipur, una delle sue vittime, lo ricorda come una persona alla mano, sempre pronta ad aiutare gli altri e a far festa con chiunque “dategli solo delle percussioni e una chitarra”. Lui e suo figlio erano amici stretti di Caco prima della guerra, e nonostante ciò Caco e la sua unità torturarono e uccisero Predrag, prima di gettarne il corpo in una fossa a Kazani. Il padre di Predrag dice di averlo perdonato, e crede che Caco abbia finito per impazzire a causa delle droghe di cui abusava.
È difficile per quelli che avevano creduto nel mito della Sarajevo multiculturale ammettere che alcuni dei suoi gloriosi difensori abbiano tradito questo ideale e abbiano commesso terribili crimini contro altri gruppi etnici con il banale movente di saccheggiare delle case. E tuttavia gli attivisti dei diritti umani sono certi che questa ammissione sia fondamentale per ripristinare quel mito di multiculturalità. In questo senso, la visita di Izetbegović è un passo incoraggiante.
Tuttavia, è destinato a rimanere un gesto privo di significato se sarà rinnegato dall’usuale approccio revisionista sul passato di guerra da parte dei politici bosniaci.
Per questo motivo, l’iniziativa di Izetbegović dovrebbe essere seguita da misure concrete, come la costruzione di un memoriale, l’identificazione di tutte le vittime di Caco e i suoi, e il definitivo riconoscimento dei fatti di Kazani come crimini di guerra.