Ivo Goldstein: gli antifascisti croati stavano dalla parte giusta
Nel suo ultimo libro, dedicato alla Seconda guerra mondiale in Croazia, il noto storico croato Ivo Goldstein respinge l’idea che il comunismo e il fascismo debbano essere messi sullo stesso piano

Ivo Goldstein
Ivo Goldstein. Photo courtesy of Ivo Goldstein
(Originariamente pubblicato da BIRN , il 15 ottobre 2025)
È uscito recentemente il nuovo libro di Ivo Goldstein, uno dei più noti storici croati, intitolato Hrvatska u Drugom svjetskom ratu 1941.-1945. [La Croazia durante la Seconda guerra mondiale 1941-1945]. Un’opera importante che arriva in un momento in cui in Croazia si stanno intensificando le polemiche ideologiche sul significato del movimento antifascista in tempo di guerra.
Già ambasciatore della Croazia in Francia e presso l’UNESCO, Goldstein insegna storia all’Università di Zagabria ed è autore di decine di libri. La sua ultima pubblicazione, frutto di decenni di ricerche, si basa su una grande quantità di documenti raccolti.
“Qualche anno fa mi è stato chiesto di consigliare un libro che trattasse in modo esauriente la storia della Croazia durante la Seconda guerra mondiale, e mi sono reso conto che non esisteva un libro del genere”, spiega Goldstein. “Credo che il mio ultimo saggio sia importante proprio perché offre una panoramica sulla questione non solo agli esperti, ma ad un pubblico più ampio”.
Sulla Seconda guerra mondiale si è scritto molto nella Jugoslavia socialista, però – come sostiene Goldstein – la narrazione si è spesso rivelata distorta e faziosa. Il pensiero e la scrittura erano pervasi, se non addirittura condizionati, dalle idee del Partito comunista.
Quindi, per decidere se un testo potesse essere pubblicato e presentato in una certa maniera, bisognava innanzitutto stabilire se il contenuto fosse “positivo” o “negativo”, cioè “utile” o “inutile” agli interessi del partito.
Poi dal 1990 si è assistito ad una recrudescenza del revisionismo storico in tutti i nuovi stati nati dalle ceneri della Jugoslavia.
“Ho sempre cercato di prendere le distanze da entrambi gli approcci. Non l’ho fatto su richiesta né tanto meno sotto pressione di qualche opzione o forza politica”, precisa lo storico. “Non rinuncio però ad un’idea fondamentale, ossia alla convinzione che si debba mettere in chiaro chi stava dalla parte giusta e chi dalla parte sbagliata”.
“La cultura liberal-democratica a cui aspiriamo come paese membro dell’UE lo afferma chiaramente: l’antifascismo è uno dei pilastri della nostra società. Date queste premesse, è evidente che solo i partigiani stavano dalla parte giusta; tutti gli altri si erano schierati dalla parte sbagliata”, spiega Goldstein.
Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, sul territorio croato era nato il cosiddetto Stato Indipendente di Croazia (NDH), uno stato voluto e sostenuto dall’Italia fascista e dalla Germania nazista. L’NDH aveva introdotto leggi razziali, creando campi di sterminio per ebrei, serbi, rom e oppositori politici.
Ad opporsi all’esercito ustascia – una delle formazioni militari più brutali durante la Seconda guerra mondiale – era stato il movimento partigiano, di orientamento principalmente comunista, guidato da Josip Broz Tito.
“Nel libro costruisco una narrazione positiva sui partigiani, senza però ignorare i loro errori, le loro deviazioni e azioni insensate, i loro fallimenti strategici, ma anche i crimini che hanno commesso”, spiega lo storico. “Tuttavia, in ultima analisi, nessuno di questi aspetti negativi mette in discussione la legittimità della lotta partigiana. Questa è l’idea principale che sostengo”.
Goldstein precisa che lo scopo del suo nuovo libro non è quello di criticare qualcuno in particolare.
“Due anni fa è uscito il mio libro Povijesni revizionizam i neoustaštvo – Hrvatska 1989.-2022. [Revisionismo storico e ideologia neo-ustascia – Croazia 1989-2022] dove chiarisco le mie opinioni. Quanto invece al nuovo libro, l’ho scritto senza alcun intento polemico e senza voler polemizzare con qualcuno”, afferma Goldstein.
Lo storico poi spiega di aver incluso nel libro anche le rivelazioni di ricercatori che in precedenza aveva definito revisionisti per via di alcuni dei loro testi, senza però respingere le loro ricerche che si sono rivelate valide dal punto di vista accademico.
In Croazia, come accaduto anche nell’ex Jugoslavia, l’antifascismo viene spesso associato al movimento comunista. Nonostante la maggior parte dei partigiani non si dichiarasse comunista, questo accostamento è ancora utilizzato dalla destra per cercare di dimostrare che nell’ex Jugoslavia “tutti erano uguali” e che tutti i regimi totalitari devono essere messi sullo stesso piano.
“Il Partito comunista si era imposto come l’unica forza capace di opporre resistenza agli occupanti e ai collaborazionisti, guidando la lotta di liberazione e articolando un chiaro programma, abbracciato da tantissime persone, non solo da comunisti”, sottolinea lo storico.
“Quel programma poggiava su tre principi fondamentali: la lotta contro le forze di occupazione fino alla vittoria finale; la lotta per una società più giusta e socialmente consapevole e per ampie riforme, infine la creazione di una nuova Jugoslavia basata su principi federali, diversa da quella monarchica, centralizzata e unitaria”.
Pur avendo guidato la lotta antifascista, i comunisti costituivano una minoranza all’interno del fronte di resistenza. A quel tempo, erano considerati un vero e proprio movimento d’avanguardia ed era molto difficile iscriversi al Partito comunista. L’iscrizione avveniva solo su invito del segretario del partito. Un partigiano veniva prima informato della propria nomina, poi venivano valutate le sue qualità personali e militari, e solo successivamente arrivava un eventuale invito ufficiale ad aderire al partito.
Goldstein cita dati concreti. Al momento della sua creazione, nel dicembre del 1941, circa il 60% dei membri della Prima brigata proletaria risultava iscritto al Partito, o meglio alla Lega della gioventù comunista di Jugoslavia (SKOJ). Questa brigata però aveva rappresentato un’eccezione essendo stata composta principalmente dai più fedeli sostenitori della lotta di liberazione, provenienti dalla Serbia e dal Montenegro, molti dei quali avevano aderito al Partito già all’inizio della rivolta del 1941.
D’altra parte, nella brigata “Josip Kras”, fondata nel novembre del 1942 e attiva nell’area di Zagabria, su un totale di 850 combattenti circa 200 (23,5%) erano membri del Partito comunista e dello SKOJ.
Nell’aprile del 1942, nell’area di Biokovo-Neretva c’erano circa 2.386 partigiani, a fronte di circa 320 membri del Partito comunista. Di questi ultimi 226 faceva parte delle unità partigiane. Quindi, tra tutti i partigiani attivi in quella zona, meno del 10% si dichiarava comunista. Anche le altre formazioni, create successivamente, comprendevano un numero analogo o addirittura inferiore di comunisti.
“Seppur non numerosissimi, i comunisti avevano sempre cercato di mantenere il controllo all’interno delle unità militari. Dalla seconda metà del 1943 era diventato sempre più chiaro che non avrebbero rinunciato a quel controllo”, spiega Goldstein.
Allo stesso tempo, precisa lo storico, era diventato evidente che non sarebbe mai riuscita ad imporsi un’opzione alternativa, con o senza un re.
“Le elezioni organizzate [in Jugoslavia] nel novembre del 1945 erano una farsa, ormai era chiaro che si stava instaurando una dittatura comunista”, sottolinea Goldstein, aggiungendo che all’epoca anche molti comunisti si erano dimostranti riluttanti ad accettare tale radicalismo.
“Tuttavia, quell’opzione, osservata da una prospettiva contemporanea, era la meno peggiore, offrendo libertà e giustizia sociale in una società povera, dove la fame e la malnutrizione erano fenomeni molto diffusi”.
L’antifascismo non equivale al comunismo
Commentando l’attuale tendenza ad equiparare comunismo e fascismo come due regimi totalitari, Goldstein insiste sul fatto che l’antifascismo non si può ridurre al comunismo.
“Si tratta di un concetto molto più ampio dell’idea comunista, in particolare di quella di tipo bolscevico”, afferma lo storico, invitando alla cautela nel discutere di comunismo, in particolare nel caso dell’ex Jugoslavia.
“L’idea del socialismo jugoslavo cambia dopo il 1948, e soprattutto dopo il 1952, con l’avvio di riforme liberali e democratiche. Nei due decenni successivi, la Jugoslavia si distanzia in modo significativo dagli altri paesi dell’Europa orientale, in particolare dall’Unione sovietica”, sottolinea Goldstein.
Lo storico ricorda che la Jugoslavia era un paese i cui cittadini potevano viaggiare liberamente verso Occidente, con un’economia aperta, non estranea al principio di concorrenza, e un certo livello di diritti e libertà civili, seppur di portata limitata.
“Nel discorso pubblico, la Jugoslavia comunista, o meglio socialista, viene spesso menzionata solo in un contesto negativo. Oggi prevale la tesi che tutti i sistemi socialisti [dell’est Europa] fossero totalitari”, spiega Goldstein.
“Ricordo la mia infanzia e giovinezza, e il fatto che già allora eravamo consapevoli che le libertà di cui godevamo ci rendevano fondamentalmente diversi dalla Cecoslovacchia, che era sotto l’occupazione sovietica, o dalla Polonia dopo il colpo di stato del 1981. Questi paesi hanno sofferto molto dal punto di vista politico ed economico”.
Lottare per la sopravvivenza
Goldstein spiega che il suo nuovo libro sulla Seconda guerra mondiale si sviluppa su due piani, seguendo una progressione cronologica e una tematica. L’idea iniziale era spiegare le ragioni della rivolta contro il fascismo e della guerra che ne è seguita.
“Ho analizzato le parti contrapposte nel conflitto – gli ustascia e i partigiani – ma anche le ideologie e i movimenti politici a cui hanno fatto riferimento”, sottolinea Goldstein.
Nel suo libro lo storico affronta anche alcuni argomenti finora poco esplorati, in particolare l’atteggiamento delle persone comuni nei confronti delle parti coinvolte nel conflitto.
“Ci concentriamo spesso sui partigiani e sugli ustascia, dimenticando però che per molte persone, intrappolate tra queste due fazioni, la guerra è stata una lotta per la sopravvivenza”, afferma Goldstein.
Queste “persone comuni” sono diventate di recente un soggetto frequente della storiografia occidentale, ed è stata questa tendenza a spingere lo storico croato a dedicare loro maggiore attenzione.
Ci sono due famose fotografie della piazza principale di Zagabria, Piazza Ban Jelačić: la prima, scattata nell’aprile del 1941, mostra i cittadini che accolgono con entusiasmo le forze occupanti tedesche, mentre nella seconda, risalente a maggio 1945, si vede la popolazione salutare i partigiani.
Di fronte a queste immagini, Goldstein solleva un interrogativo: “Chi era presente nella piazza nel 1941 e chi invece nel 1945, e per quali motivi queste persone erano venute a salutare le forze vittoriose?”.
Lo storico poi spiega che l’NDH non era un vero stato, men che meno uno stato indipendente e croato.
“Ogni stato regolamenta i suoi rapporti con i cittadini, invece l’NDH aveva instaurato un regime di terrore contro la popolazione, perseguendo esplicite politiche statali di disuguaglianza. Non parliamo di uno stato indipendente, bensì di un protettorato italo-tedesco, né tanto meno lo possiamo definire uno stato croato. Come poteva esserci una Croazia senza la Baranja, il Međimurje e gran parte della costa adriatica?”, chiede polemicamente Goldstein, riferendosi ai territori ceduti dall’NDH [al Regno d’Ungheria e al Regno d’Italia].
Il libro di Goldstein, come spiega l’autore stesso, è stato concepito in modo da offrire ai lettori – compresi quelli che non sono storici di formazione – informazioni sufficienti per poter trarre autonomamente conclusioni.
Uno degli argomenti affrontati nel libro è il trattamento riservato alla minoranza etnica tedesca in Jugoslavia, una minoranza punita collettivamente ed espulsa alla fine della guerra. “È stata ovviamente una decisione sbagliata, che però deve essere osservata in un contesto più ampio della Seconda guerra mondiale”, afferma Goldstein.
Lo storico sottolinea che gli eventi di quel periodo vanno letti abbandonando una prospettiva manichea.
“Dico sempre ai miei studenti che ogni testo va contestualizzato. È facile dirlo, ma spesso risulta difficile applicare questa logica in modo univoco, anche perché esistono interpretazioni divergenti – tutte però, in una certa misura, sono legittime”, sostiene Goldstein, sottolineando che oggi l’antifascismo non può essere messo in discussione.
Goldstein è uno storico molto attivo nel dibattito pubblico e prende sul serio il proprio ruolo di intellettuale. In passato alcune delle sue dichiarazioni hanno suscitato forti reazioni, come ad esempio quando, nel 2008, ha definito il cantante nazionalista Marko Perković Thompson “un nostalgico ustascia”.
Pur ammettendo di essere sempre più stanco di certe polemiche, Goldstein rifiuta di tirarsi indietro. “Non ho studiato per diventare meccanico o programmatore, faccio quello che so fare”, afferma lo storico.
Un membro dell’Accademia croata delle scienze e delle arti ha accusato Goldstein di “diffondere la tesi per cui i croati sarebbero propensi a commettere genocidi”.
“Sono stato costretto a denunciarlo, cercando di dimostrare in tribunale che si è trattato di una palese menzogna, e ci sono riuscito”, conclude Goldstein.
Questo articolo è stato ripubblicato nell’ambito di uno scambio di contenuti promosso da MOST – Media Organisations for Stronger Transnational Journalism, un progetto cofinanziato dalla Commissione Europea, che sostiene media indipendenti specializzati nella copertura di tematiche internazionali. Qui la sezione dedicata al progetto su OBCT











