Ivica Osim, lo jugoslavo
Una leggenda dello sport riesce a risolvere la crisi del calcio bosniaco, messo al bando dalle competizioni internazionali perché incapace di eleggere un solo presidente di federazione al posto di tre. Una iniezione di fiducia che potrebbe contagiare la politica
Il 30 maggio scorso è stata revocata la sospensione della Federazione Calcio della Bosnia Erzegovina dalla FIFA e dall’UEFA. Dietro questo successo c’è un personaggio simbolico del calcio jugoslavo, Ivica Osim. Lo chiamavano lo Švabo, il tedesco. Era conosciuto come un maestro del dribbling, e per la sua capacità di uscire dal campo con la tenuta immacolata anche nelle giornate più fangose. Osim è sarajevese, leggenda vivente del calcio dell’ex Jugoslavia e attualmente Presidente del Comitato per la Normalizzazione dello Statuto della Federazione Calcio della Bosnia Erzegovina. Dopo aver appeso le scarpe al chiodo, Ivica Osim intraprese una brillante carriera di allenatore, carriera che si è intrecciata più volte con le vicende politiche dell’ex Jugoslavia. Osim ha rifiutato l’incasellamento etnico e si è sempre dichiarato jugoslavo. Clamorose furono le sue dimissioni da allenatore della nazionale jugoslava nel 1992. Osim allora volle dare un segnale per protestare nei confronti della guerra che era da poco scoppiata, e per solidarietà nei confronti della sua città natale, Sarajevo. Ivica si trasferì all’estero e continuò la sua brillante carriera di allenatore.
In Giappone
Nel novembre 2007, quando era allenatore del Giappone, Osim fu colpito da un grave malore e dovette lasciare l’incarico, ritirandosi dalla professione. Il recupero di Ivica fu lungo e difficoltoso. Rientrato in patria, Osim continuò la riabilitazione ma senza ritornare ad allenare. In un’intervista per una trasmissione televisiva del marzo 2011, Osim ha raccontato come non solo gli avrebbe fatto piacere, ma sarebbe stato addirittura utile alla sua guarigione, poter ritornare ad allenare una squadra, anche di “seconda, terza categoria”, solo per rimettersi in carreggiata. Nell’intervista Osim spaziava a tutto campo, ribadendo tra l’altro la necessità di rispettare sempre l’avversario. Secondo Osim, i bosniaci prima sottovalutano l’avversario e poi, con i loro comportamenti e le loro parole roboanti, lo provocano e incoraggiano, determinando così la reazione e l’inevitabile sconfitta.
Calcio e politica
Ma il destino di Osim ancora una volta si intreccia con le turbolente vicende del post conflitto in Bosnia Erzegovina. Calcio e politica sono strettamente collegati in Bosnia. Alla paralisi istituzionale nel Paese, senza governo dalle elezioni dell’ottobre scorso, aveva fatto seguito una grave crisi all’interno della Federazione calcistica della Bosnia. La FIFA e l’UEFA avevano infatti sospeso la Bosnia Erzegovina e tutte le squadre di club, perché la Federazione calcistica non aveva cambiato il proprio statuto in modo da metterlo in regola con le richieste della FIFA. Tali richieste prevedevano per l’appunto che la Bosnia nominasse un presidente solo al posto dei 3 (un croato, un serbo e un bosgnacco) che avevano finora retto le sorti della Federazione calcistica. Il mancato accordo aveva portato alla sospensione, entrata in vigore il 1 aprile 2011. Allo stesso tempo, veniva nominato un comitato per la normalizzazione della situazione. Ivica Osim era stato nominato presidente del Comitato. Il compito del Comitato era di trovare un accordo per modificare lo statuto e renderlo conforme alle normative FIFA e UEFA.
Ivica è tornato in campo. Questa volta non c’era il fango dello stadio di Grbavica ad attenderlo, ma il fango metaforico del calcio e della politica mescolati assieme, che sembrano seguire in parallelo gli sviluppi istituzionali, tra veti, blocchi, richieste di autonomia e indipendenza. Sarebbe riuscito Osim a finire la partita immacolato anche questa volta?
Grazie Dodik
Il comitato per la normalizzazione ha iniziato il suo lavoro. Non ha girato attorno all’ostacolo, ma è andato diretto al sodo, parlando con i potenti di turno, non solo nel calcio ma anche nella politica. E così Osim è andato a parlare con Milorad Dodik, fino ad allora contrario alla possibilità di avere un presidente unico, e con Dragan Čović, leader del partito di maggioranza croato bosniaco. Osim è riuscito a creare un’atmosfera di dialogo e a strappare i consensi per i cambiamenti proposti, tra i quali la designazione di un presidente unico della Federazione. In un’intervista per un settimanale bosniaco, Osim ha elogiato apertamente Dodik che per molti, a Sarajevo, rappresenta una sorta di nemico pubblico. Osim ha detto che Dodik sa di cosa parla e quando vuole decidere qualcosa lo fa, mentre i “nostri”, riferendosi all’ambiente di Sarajevo, hanno paura di decidere e di far funzionare le cose. Osim ha respinto la percezione pubblica secondo cui i membri della Republika Srspka (RS) siano responsabili per la crisi nella Federazione calcistica, affermando che in realtà le ragioni della crisi sono molto più profonde. Osim ha spezzato anche il legame tra calcio e conflitto…
Fiducia
Non si può, in virtù di quello che è successo durante la guerra, dar la colpa automaticamente ai delegati della RS per la situazione attuale nel calcio bosniaco, ha sostenuto Osim. Non si può dar sempre la colpa agli altri per i propri guai, bisogna cominciare a guardare ai propri []i. Bisogna creare un clima di fiducia. Le parole di Osim sono delle riflessioni che vanno ben al di là della situazione calcistica e rappresentano perfettamente la situazione politica in Bosnia Erzegovina, e il clima avvelenato che è prevalso negli ultimi mesi.
Sarà che il Borac di Banja Luka è ad un passo dal vincere lo scudetto, sarà che Osim è una persona al di sopra di ogni sospetto, fatto sta che la mediazione e il dialogo hanno prodotto i loro risultati. Lo statuto ha ottenuto l’approvazione dei delegati della Republika Srpska, come concordato durante la riunione tra Dodik e Osim.
Rimane l’ultimo ostacolo, però, ottenere l’approvazione dei delegati dalla Federazione di Bosnia Erzegovina. La čaršija, gli ambienti del calcio sarajevese, non hanno preso bene le critiche di Osim. Ha dato fastidio soprattutto la denuncia che in realtà la diatriba dietro la disputa sul calcio miri solo a mantenere privilegi e rendite di posizione. I delegati alla Federazione del Cantone di Sarajevo sono pronti a boicottare l’accordo, e a far proseguire la sospensione della Bosnia e dei suoi club dalle competizioni internazionali. È il vecchio principio: “Che muoia la vacca del tuo vicino!”, secondo cui ci si rallegra per le disgrazie altrui (il Borac escluso dalle competizioni internazionali), più che mirare al successo comune. Il tentativo però è fallito, soprattutto perché gli altri cantoni hanno fatto desistere i delegati dal cantone di Sarajevo da questa mossa suicida.
Il 26 maggio il nuovo statuto è stato approvato anche dai delegati della Federazione di Bosnia Erzegovina, creando le premesse per la rimozione della sospensione FIFA e UEFA, che puntualmente sarebbe arrivata pochi giorni dopo. Guarda caso, pochi minuti dopo l’approvazione dello statuto, arriva la notizia da Belgrado dell’arresto di Ratko Mladić. Decisamente una bella giornata per la Bosnia Erzegovina, un po’ di sereno dopo mesi di tempesta. Saprà la politica trarre le dovute lezioni dal calcio?