Italia-Bosnia: bambini di guerra

Nel 1992, in piena guerra, partirono dall’orfanotrofio "Bjelave" di Sarajevo 46 bambini per essere accolti in Italia. Non hanno mai più fatto rientro in Bosnia nonostante alcuni di loro avessero genitori ancora in vita. Tra loro Uzeir Kahvić che cerca sua figlia da 14 anni. Ora si è appellato al Presidente Ciampi

03/03/2006, Nicole Corritore -

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Prologo

Maggio 1992. L’assedio di Sarajevo è in atto da poco ma e le condizioni di vita per gli assediati sono già difficili. Così anche per i piccoli ospiti, orfani e minori con situazioni familiari disagiate, dell’orfanotrofio "Ljubica Ivezić" (poi divenuto "Bjelave"). La direttrice dell’orfanotrofio, non potendo più assicurare l’incolumità dei bambini, chiede più volte che ad essi venga concesso di essere temporaneamente portati fuori da Sarajevo.

Nel luglio 1992 viene organizzato dalla Prima Ambasciata dei Bambini PDA (Prva Dječija ambasada Medjaši) un convoglio di due pullman che porterà 67 bambini di Sarajevo, di cui 46 dell’orfanotrofio, verso l’Italia. I bambini arriveranno ad Ancona via mare, e verranno poi accolti in due centri: presso il "Mamma Rita" di Monza i 37 più piccoli, tutti gli altri al centro "Santa Maria" di Igea Marina (Rimini).

Tra i minori ospitati a Monza, Sedina Kahvić, sei anni. E’ a causa della coriacea volontà del padre di rivederla, che il caso dei bambini di "Bjelave" torna alla ribalta della stampa italiana e bosniaca.

Uzeir Kahvić finita la guerra, riesce finalmente a oltrepassare la linea del fronte che divide la sua casa dall’orfanotrofio e arriva per primo a chiedere di sua figlia. Viene a sapere che è in Italia, la sente per telefono e le scive subito una lettera, ma in seguito non riesce ad ottenere il visto per andare a trovarla. La cerca telefonicamente ancora due volte, ma ne perde le tracce. Difatti con la fine del conflitto bosniaco tutti i minori ospitati in Italia, anche quelli con genitori biologici in vita, non rientrano più a casa: nel 1996 vengono avviate le procedure di adozione dei minori. E così anche Sedina, per la quale nel maggio del 1997 il Tribunale dei Minori di Milano dichiara lo stato di adottabilità e l’immediata collocazione presso una famiglia affidataria.

Scripta manent?

Dal momento dell’adozione di Sedina, Uzeir si rivolge a diversi organismi istituzionali bosniaci e si appella anche alla stampa del suo Paese. Ma invano, come racconta la giornalista della trasmissione "segreto pubblico" andato in onda lo scorso 1° febbraio sul primo canale della TV di Stato della Bosnia Erzegovina: "Uzeir Kahvić, padre di Sedina, sta tentando da anni di trovare sua figlia".

Ricorda lo stesso Uzeir durante la trasmissione, che aveva temporaneamente affidato la custodia della figlia al centro "Bjelave" a 40 giorni dalla sua nascita perché rimasto vedovo, senza lavoro e con a carico l’anziana madre non vedente. Andava a trovare Sedina ogni settimana. Ma poi scoppia la guerra: con la linea del fronte che divide la casa di Uzeir dall’orfanotrofio e le linee telefoniche interrotte. "Fino ad oggi" continua la voce fuori campo della giornalista "Uzeir non ha mai ricevuto alcuna comunicazione, nè da parte delle autorità bosniache nè da quelle italiane, perché potesse pronunciarsi in merito allo status futuro di sua figlia".

La questione è complessa. Da dieci anni pare iniziata una partita a ping pong, nella quale ogni autorità rimpalla responsabilità, forse []i, senza dubbio omissioni e silenzi. "Il Ministero degli Esteri bosniaco risulta essere l’indirizzo al quale le autorità giudiziarie italiane hanno inoltrato, a più riprese, gli inviti per i genitori biologici a pronunciarsi in merito allo status dei bambini" recita ancora la giornalista durante la trasmissione "ma al Ministero degli Esteri sostengono che tutte le comunicazioni vennero inoltrate nel 1999 al Ministero degli Affari sociali di Bosnia Erzegovina".

Quindi un []e della autorità bosniache? La giornalista chiede a Zoran Perkovic, l’attuale assistente presso il Ministro degli Esteri se "può affermare che nessuno degli addetti del ministero ha nascosto tali ordini". Ma Perković di fatto non può rispondere. "Sono in carica solo dal 2000. Non posso nè negare nè affermare questa ipotesi, e penso si tratti di ipotesi che si prestano a speculazioni". Sta di fatto che Uzeir non ha mai ricevuto nessuna delle sei rogatorie che il Tribunale per i minorenni di Milano ha spedito in Bosnia tra il 1997 e il 1999.

Nel 2000 il Tribunale conclude la pratica di adozione, dichiarando che l’indirizzo del genitore di Sedina all’estero risulta sconosciuto. Nonostante, come dichiara Jagoda Savić – rappresentante legale di Uzeir Kahvić – nel dossier di Sedina ci fossero indicati sia l’indirizzo sia il recapito telefonico del padre. Perché, si chiede Savić, intervistata durante la trasmissione della TV bosniaca, il Tribunale italiano non ha richiesto, tramite l’Interpol italiana e bosniaca, la verifica dei recapiti di cui era in possesso? "Penso comunque che non abbia molta importanza se la procedura è stata condotta secondo la legge italiana o quella bosniaca. Il vero punto" conclude Jagoda Savić "è che se un tribunale italiano invia ben 32 ordini giudiziari, la domanda è dove sono finiti e perché nessuno ha risposto a questi inviti".

Intanto la procedura va avanti e nel luglio del 2000 i giudici del Tribunale milanese emettono il definitivo decreto di adottabilità di Sedina, che viene spedito in Bosnia intestato a nome della madre. Deceduta nel 1986 e dunque impossibilitata a rispondere. Così la sentenza diviene esecutiva, e l’indirizzo di Sedina protetto dalla legge italiana che prevede per i genitori biologici di poterlo conoscere solo al compimento del 25° anno di età del minore adottato. Nonostante la legge in vigore allora in Bosnia Erzegovina prevedesse la possibilità dell’adozione internazionale solo in caso nessuna famiglia locale (bosniaca) si fosse resa disponibile ad adottare i minori in questione e comunque solo di minori con età inferiore ai cinque anni. Possibile che gli organi italiani competenti non ne fossero a conoscenza?

Commissione per diritti umani presso la Corte Costituzionale

Kahvić continua nella sua battaglia e assistito legalmente da Jagoda Savić, nel 2004 ottiene una prima vittoria, seppur magra. Nel settembre del 2004 la Commissione per i diritti umani presso la Corte Costituzionale di Bosnia Erzegovina con una sentenza dichiara siano stati violati i diritti umani di Uzeir. "Uzeir Kahvić" racconta la giornalista della TV bosniaca "e i genitori di un altro minore che stanno cercando da 14 anni, hanno presentato denuncia contro il Governo della Federazione e dello Stato della Bosnia Erzegovina, ma invano seppure la Commissione per i diritti abbia dato loro ragione".

Secondo la Commissione infatti, lo Stato di Bosnia e Erzegovina non ha fatto tutto ciò che era in suo potere perché si ottenesse il ricongiungimento famigliare di padre e figlia. La stessa sentenza riconosce a Uzeir un rimborso del "danno" subito nell’ordine di 3.000 KM (Marchi convertibili: circa 1.500 Euro) e ordina allo Stato bosniaco di raccogliere la documentazione sul caso Kahvić e rendere possibile l’ incontro tra padre e figlia entro 60 giorni presso l’Ambasciata di Bosnia Erzegovina a Roma.

Uzeir attende, ma poi decide di rilasciare procura all’avvocato milanese Silvia Muto, la quale richiede ed ottiene il permesso di accedere al dossier di Sedina depositato presso il Tribunale dei Minori di Milano. La Muto, nel mese di novembre del 2005, deposita presso il Tribunale milanese istanza di autorizzazione dell’incontro tra Uzeir Kahvić e la figlia. Secondo le dichiarazioni rilasciate recentemente a Osservatorio sui Balcani da Jagoda Savić, legale rappresentante di Uzeir, il Tribunale dei Minori risponde in data 17 febbraio rifiutando tale incontro. Lasciando Uzeir di nuovo a mani vuote.

Ciampi e il Consiglio dei Ministri di Bosnia Erzegovina

Nello stesso mese di novembre Uzeir Kahvić si muove anche su di un altro fronte: scrive al Presidente della Repubblica Italiana, Carlo Azeglio Ciampi. Come riportato dall’agenzia bosniaca Fena del 29 novembre 2005, il Presidente Ciampi risponde nel giro di soli quattro giorni attraverso il Ministero degli Affari Esteri italiano. Nonostante nella risposta si riporti ciò che già si sa, cioè che "tutte le rogatorie erano state a suo tempo consegnate al Ministero Affari Esteri bosniaco tramite l’Ambasciata Italiana a Sarajevo" e quindi che le procedure per la ricerca dei genitori bioogici da parte italiana erano state regolarmente seguite, l’interessamento di Ciampi risolleva l’attenzione pubblica sia in Italia sia in in Bosnia Erzegovina.

Mentre nel dicembre del 2005 a "Chi l’ha visto?", trasmissione di RAI 3, viene raccontata l’epopea di Uzeir Kahvić all’opinone pubblica italiana, in Bosnia Erzegovina si arriva finalmente alla discussione del caso da parte del Consiglio dei Ministri. Durante la seduta del 26 gennaio scorso, viene messo agli atti il caso non solo di Sedina Kahvić ma "dell’intero caso dei 46 minori dell’orfanotrofio Bjelave accolti nel 1992 in Italia" e dunque di tutta la documentazione raccolta da una Commissione speciale d’inchiesta. Il Consiglio dei Ministri decide che "il Ministero degli Affari Esteri dovrà, attraverso vie diplomatiche, richiedere al rispettivo Ministero italiano copia di tutta la documentazione rilevante" relativa al caso dei 46 minori in questione, ma anche che "il Ministero delle Finanze e del Tesoro avrà il compito di rendere disponibili i fondi necessari all’ingaggio di un rappresentante legale italiano" affinché segua gli sviluppi futuri a nome dell’isitituzione bosniaca.

Ad oggi, 1° marzo, Uzeir Kahvić non ha ancora ottenuto la possibilità, anzi il diritto, di rivedere sua figlia, come sentenziato dalla Commissione per i diritti umani del suo Paese.

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