Italia-Albania: studenti a doppio senso di marcia
Gli studenti albanesi rappresentano ancora oggi la prima comunità di stranieri immatricolati nelle università italiane e sempre più italiani attraversano l’Adriatico per costruire la propria formazione. Ma i due flussi migratori sono tutt’altro che simmetrici
Nelle giornate del 25 e 26 ottobre scorso, presso la Galeria Kombëtare e Arteve di Tirana è andato in scena un imponente evento di promozione del Sistema Accademico Italiano, organizzato dall’Istituto Italiano di Cultura con il patrocinio dell’Ambasciata d’Italia.
Per il secondo anno consecutivo, “Studiare in Italia” ha radunato nella capitale albanese le delegazioni di oltre venti atenei italiani, rappresentativi di tutta la penisola: per due giorni i giovani albanesi desiderosi di cominciare o proseguire i propri studi in Italia hanno potuto raccogliere informazioni utili riguardanti l’offerta formativa delle varie università, prendendo al contempo coscienza, grazie alla compresenza degli stand dell’Ufficio Scolastico dell’Ambasciata d’Italia e dell’Istituto Italiano di Cultura, dell’iter burocratico e delle certificazioni linguistiche necessarie all’immatricolazione su suolo italiano.
L’iniziativa, premiata nei suoi obiettivi primari dalla partecipazione degli studenti di tutto il paese e dalla piena soddisfazione delle università partecipanti, ha altresì fornito un’ottima cornice di confronto istituzionale ad alto livello: nel suo discorso inaugurale l’Ambasciatore d’Italia Massimo Gaiani ha insistito con forza sull’importanza del potenziamento di un vero e proprio network italo-albanese nel campo dell’università e dell’istruzione, base imprescindibile per la costruzione di ulteriori opportunità di cooperazione; mentre il neo ministro dell’Istruzione e dello Sport Lindita Nikolla si è detta grata del contributo italiano alla formazione dei giovani albanesi, cogliendo l’occasione per definire l’Italia "tanto una vecchia amica dell’Albania quanto un partner strategico per il nostro viaggio verso l’Unione europea". Nel pomeriggio di venerdì 25, a suggello di quest’armoniosa dichiarazione d’intenti, una delegazione di Rettori e di rappresentanti delle Università italiane è stata infine ricevuta dal Primo Ministro Edi Rama, per un incontro cordiale sul tema della cooperazione interuniversitaria.
Le cifre e la politica
Per capire le ragioni che sottendono alla realizzazione di un evento così impegnativo, quest’ultimo va inserito all’interno del più ampio sforzo che i governi italiani da tempo stanno compiendo sul suolo albanese al fine di perpetuare un innegabile primato linguistico e culturale, sfidato dalle contingenze del presente.
Per ragioni storiche tanto recenti quanto peculiari, l’Albania è infatti l’unico paese al mondo dove l’italiano non solo è capillarmente diffuso tra la popolazione – si stima che più del 60% degli albanesi sappia almeno comprenderlo – ma rappresenta altresì il linguaggio dell’economia, configurandosi, similmente alla conoscenza dell’inglese nel resto del mondo, come competenza altamente professionalizzante.
La strategia di lungo periodo dell’Italia, volta a conservare quest’innegabile mordente linguistico – una leva di cui il nostro paese solitamente non dispone, foriera di sviluppo economico per le nostre imprese – affonda le radici nel Memorandum firmato dai due governi nel 2002; l’intesa bilaterale avviò il Programma Iliria per l’insegnamento dell’italiano come prima lingua straniera sin dalla scuola dell’obbligo e diede vita alle Sezioni Bilingui italo-albanesi nelle scuole medie e superiori, classi dal percorso formativo perfettamente biculturale – almeno il 50% delle ore di lezione viene svolto in lingua italiana – che dopo 7 anni di formazione (4 nella scuola di base e 3 nel liceo) garantiscono agli studenti in uscita dal triennio liceale l’iscrizione diretta alle università italiane, senza che sia necessario il conseguimento del certificato linguistico CELI 3 (livello europeo B2), altrimenti obbligatorio.
Al di là delle politiche linguistiche implementate sul territorio, il quasi mezzo milione di albanesi attualmente residenti in Italia costituisce di per sé un inevitabile polo d’attrazione per molti giovani studentë shqiptarë che scelgono di formarsi in quelle città dove possono contare sull’appoggio di parenti o amici perfettamente integrati. Tuttavia, sebbene gli studenti albanesi continuino a rappresentare la prima comunità di stranieri immatricolati in Italia (seguiti a breve distanza dai rumeni e dai cinesi) il boom degli atenei privati recentemente aperti in Albania (ad oggi se ne contano più di quaranta) unito alla sempre più forte concorrenza esercitata dai paesi del nord Europa stanno lentamente erodendo questo primato: secondo i dati ufficiali del ministero dell’Istruzione italiano, dagli oltre 2.600 studenti albanesi immatricolati nell’anno accademico 2003-2004 (pari al 29% delle iscrizioni straniere) si è passati, nel 2012-2013, a 1.700 immatricolati (circa il 13% di iscritti stranieri).
Ecco perché, al fine di invertire questa tendenza, le università italiane necessitano di un compatto supporto istituzionale sul territorio: una strategia energicamente interpretata in loco dalla fitta rete di operatori pubblici italiani, promotori a diversi livelli del “sistema Italia” proprio a partire dal dato linguistico-culturale. Una politica, questa, il cui successo è certamente auspicabile dal punto di vista italiano, ma che è chiamata a combinarsi, sul piano europeo, con gli sforzi parallelamente profusi dall’Italia (in sede diplomatica e non solo) per un’Albania pienamente europea: battersi per l’integrazione del paese nell’Unione implica anche, fatalmente, saper rinunciare a essere l’unico punto di riferimento, dividere la legittima e auspicabile proiezione europea dei giovani albanesi con gli altri paesi membri. In altri termini, il primato linguistico-culturale creato dalla Rai e dalle complesse vicende migratorie degli anni Novanta sembra appartenere sempre più alla Storia: sia l’Italia che l’Albania stanno cominciando a guardare oltre, nel tentativo di aggiornare i loro speciali legami d’amicizia.
Studiare in Albania
A fornire una facile immagine dell’evoluzione in atto nei rapporti culturali italo-albanesi è la vicenda degli studenti italiani in Albania, una realtà in crescita che solo di recente ha attirato l’attenzione dei nostri media nazionali. Per comprendere il fenomeno bisogna anzitutto sgomberare il campo da un parallelo errato, alimentato da scorrette ironie sullo “studiare in Albania”: le vicende giudiziarie che coinvolsero il figlio di Umberto Bossi e l’Università privata Kristal non hanno infatti nulla a che vedere con la recente migrazione studentesca dall’Italia, la quale riguarda anzitutto gli studenti di medicina dell’Università Cattolica Nostra Signora del Buon Consiglio – un’università a tutti gli effetti italiana, sebbene risieda fisicamente e giuridicamente in Albania.
In realtà, non solo Renzo Bossi non mise mai piede nel Paese delle Aquile – la sua laurea triennale in gestione aziendale venne rilasciata attraverso un sistema corruttivo che non ha mancato di destare scandalo in Albania e per il quale la Kristal venne sanzionata dal governo albanese – ma a prescindere dal luogo fisico, gli studenti della Buon Consiglio, italiani o albanesi che siano, studiano a tutti gli effetti all’interno del Sistema Accademico Italiano: sia dal punto di vista didattico – la lingua di studio è l’italiano, programmi e professori provengono, tramite precisi accordi, dalle università italiane convenzionate (Roma Tor Vergata in primis) – sia dal punto di vista del diploma rilasciato – la laurea conseguita presso la Buon Consiglio è una laurea doppia, riconosciuta tanto in Albania quanto in Italia (e conseguentemente negli altri paesi europei).
È questo il motivo per cui, tra il 10 ed il 16 ottobre scorso, circa seicento studenti italiani rimasti fuori dalle facoltà scientifiche del paese – quest’anno, per la prima volta, la graduatoria delle università pubbliche è stata stilata su base nazionale – hanno tentato di accedere ai corsi in medicina, odontoiatria, fisioterapia e infermieristica messi a disposizione da quest’università italiana d’oltre mare, i cui criteri di selezione (60 domande scientifiche, senza cultura generale) includono altresì il voto del diploma liceale, valido per un terzo della valutazione finale (30 punti su 90). A seguito di discussioni prolungatesi per mesi, il governo italiano ha invece abolito in extremis il cosiddetto “bonus di maturità” per le università pubbliche.
Nata attorno a un vecchio ospedale grazie all’opera dei religiosi di Luigi Monti – nel 1993 la Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione seppe ottenere dal governo albanese numerose concessioni a parziale risarcimento dei beni confiscati alla Chiesa durante il regime – l’Università Cattolica del Buon Consiglio, che ha aperto i propri corsi nel 2004 e che annovera, a fianco delle Facoltà di Medicina e Infermieristica, una Facoltà di Scienze Economiche e Politiche, rappresenta dunque oggi un’ottima opportunità per gli studenti italiani. Un fatto che dovrebbe essere descritto e interpretato per quello che è – a soli sessanta chilometri dalle coste pugliesi esiste un’Università privata dove è possibile ricevere una buona formazione e conseguire una laurea italiana – ma che non deve condurci a fuorvianti conclusioni circa l’inversione dei flussi migratori tra i due paesi.
Il falso mito dell’immigrazione al contrario
Le vicende degli studenti albanesi in Italia e degli studenti italiani in Albania, rispettivamente in calo e in aumento per ragioni diverse ed indipendenti, sono sicuramente sintomo di un’Europa che cambia; di un futuro che, come tanti indicatori ci suggeriscono, non è più a senso unico.
Non lo è per gli italiani, che dopo qualche generazione di sosta stanno tornando a spostarsi – il fenomeno, ben più ampio, esula certamente dal presunto “caso Buon Consiglio” – e non lo è per gli albanesi, che aperti da più di vent’anni su un mondo economicamente globalizzato e geopoliticamente multipolare stanno indirizzando verso nuove mete le proprie aspirazioni di formazione e di benessere – modificando, ma è solo una delle conseguenze e forse nemmeno la più rilevante, la propria special-relationship con un paese come l’Italia, che per tanto tempo ha sintetizzato nell’immaginario collettivo di questo popolo di viaggiatori l’immagine del futuro.
Purtuttavia, se è indubbio che i rapporti interculturali tra Italia e Albania si stiano lentamente ridefinendo in termini di maggior reciprocità (senza timore di dirlo: di maggiore indipendenza dei secondi dai primi) altrettanto indubbiamente è errato descrivere questo fenomeno come una reale inversione di flusso.
L’immagine del “mondo alla rovescia” è giornalisticamente in voga perché molto efficace – si veda in proposito il brillantissimo articolo di Paolo Berizzi su La Repubblica – ma affermando che «i migranti ora siamo noi» si può al massimo costruire una buona critica dell’Italia odierna, di certo non si descrive la realtà degli italiani in Albania – i quali, non c’è bisogno di ricordarlo, vivono una situazione talmente diversa da quella vissuta dai migranti albanesi in Italia da rendere quantomeno impropria la similitudine.
Rispetto al tema degli studenti italiani d’Albania, il falso mito dell’immigrazione al contrario risulta ancor più evidente: stando alle dichiarazioni rilasciate alla stampa nazionale, per gli studenti italiani e le loro famiglie l’Albania è una scelta temporanea in cui il paese ospitante non rientra, una difficoltà supplementare da mettere in conto per la realizzazione del proprio futuro in Italia. Come emerge da un’intervista rilasciata da Carolina Castagna ad Albanianews (la figlia del noto conduttore televisivo giunta a Tirana nel 2011 per laurearsi in medicina) nessuno studente italiano si è mai realmente imbarcato per l’Albania, ma per una terra accessibile che ospita un “piano b” linguisticamente a costo zero. In conclusione, alla realtà consolidata che vede buona parte degli studenti albanesi prepararsi a lungo per andare a studiare in Italia, si è affiancata la ben più piccola realtà di quegli studenti italiani che accettano, spesso contro i propri iniziali desideri, di trasferirsi in Albania, unicamente per ricevere una formazione italiana. Da un punto di vista numerico ma soprattutto da un punto di vista qualitativo, è evidente come non vi sia alcuna simmetria in questo seppur inedito scambio interadriatico.
Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell’Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l’Europa all’Europa.