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Islam alternativo
Attivista per i diritti umani, formatosi all’estero, editore e imam: Iglar Ibrahimoglu rappresenta la nuova faccia dell’islam in Azerbaijan. Impegno per la giustizia sociale, religione consapevole, i legami con l’Europa e con la Russia
di Bruno De Cordier, Caucaz europanews, 3 dicembre 2008, (Titolo originale: "Ilgar Ibrahimoglu: I see a potential for Euro-Islam in Azerbaijan")
Traduzione per Osservatorio Caucaso: Maria Elena Franco
Indossare abiti europei al posto di un turbante e una tunica, essere un attivista per i diritti umani ed editore di giornale oltre che un imam: non si assocerebbe immediatamente Iglar Ibrahimoglu al cliché di un ecclesiastico sciita. In quanto tale, egli rappresenta certi trend della società post sovietica dell’Azerbaijan e del panorama religioso. Il 34enne Iglar Ibrahimoglu era l’imam della moschea di Juma nel centro storico di Baku fino a quando non è stata chiusa dalle autorità a metà del 2004: ufficialmente per lavori di restauro, ma apparentemente per le posizioni critiche di Ibrahimoglu nei confronti del governo e del clero. La moschea di Juma è stata riaperta di recente per il culto, ma sotto una nuova guida. Ibrahimoglu continua le sue attività precedenti nel quartiere d’affari di Baku.
Certi analisti internazionali e osservatori della regione considerano lei e la sua comunità i rappresentanti del cosiddetto "islam alternativo" in Azerbaijan. Cosa significa? Si riconosce in questa definizione?
Io spero di rappresentare esattamente il vero islam, o almeno questo è quanto noi stiamo cercando di fare. In realtà dipende tutto dalle definizioni. L’islam è l’islam. Se per "alternativo" intendono un qualche culto esoterico, allora noi non siamo alternativi, perché questo non è quello che noi siamo. Ma se intendono che rappresentiamo un islam indipendente, slegato da paesi terzi come Iran o Arabia Saudita o che non fanno parte del clero ufficiale, allora dicono bene. A differenza del clero di stato, noi non siamo marionette del periodo sovietico usate dallo stato per legittimare un regime corrotto e sempre più autoritario e fare una parodia dell’islam. Loro predicano conformismo e rassegnazione. Noi sosteniamo la giustizia sociale, che è ciò di cui l’islam si occupa. Insieme agli altri, noi stiamo cercando di realizzarla attraverso i nostri diritti e l’assistenza sociale. Certo, alcuni al governo vedono questo come una minaccia per i loro interessi ed affari. Ecco perché a loro piace etichettarci come "estremisti".
In molti paesi a maggioranza musulmana, i gruppi islamici indipendenti sono impegnati nell’assistenza sociale. Voi, ad esempio, incoraggiate gli sciiti azeri a donare il sangue nell’occasione dell’evento di lutto sciita di Ashura piuttosto che partecipare al tradizionale rituale della flagellazione. Qual è lo stato del sistema di assistenza sociale islamica in Azerbaijan?
Qui non c’è ancora una forte tradizione o uno spazio per l’assistenza sociale islamica. Prima dell’Unione Sovietica c’era la carità, ma poi noi siamo stati tagliati fuori dalla sfera islamica per decenni. Nel passato più recente, con lo scoppio della guerra in Nagorno-Karabakh, è stato strutturato e istituito un grande sistema di assistenza sociale da parte di organizzazioni straniere di Turchia, Kuwait, Arabia Saudita, Qatar e in particolare dell’Iran. Ovviamente, le autorità sono ansiose di mantenere il controllo sulle attività sociali dei gruppi stranieri. Ecco perché sono sospettosi dell’assistenza sociale in generale, da quando sanno che in quel modo le comunità religiose possono costruire una considerevole base sociale. Le comunità religiose in Azerbaijan al momento non dispongono di risorse per impostare un’assistenza sociale di larga scala. Vi sono, però, iniziative individuali e più piccole come quella che ha menzionato poco fa.
Come descriverebbe l’evoluzione dell’Islam in Azerbaijan oggi?
Ora stanno avvenendo sviluppi interessanti. Il numero di musulmani praticanti, sia sciiti che sunniti, è molto limitato, forse il 5 o 6%. In Europa, ad esempio, ho incontrato molti più musulmani praticanti che nel mio paese. Ma esiste anche un più ampio gruppo nella società che è interessato alla religione ma che non ha ancora trasformato questo interesse in una pratica più solida. Il segmento di musulmani praticanti in Azerbaijan è molto più forte a Baku che nelle province ed è sempre più un gruppo di giovani. Vediamo che le persone che diventano religiosamente e socialmente più attive e che partecipano alle nostre attività sono generalmente di alto livello di istruzione, di mentalità aperta e provengono da famiglie che non sono particolarmente tradizionaliste o religiose. Si stanno impegnando nella religione per scelta consapevole più che per tradizione. In altre parole, la qualità dei fedeli sta migliorando. Costituiscono l’avanguardia di un rinnovamento religioso che sta avvenendo in Azerbaijan.
Al tempo dell’ateismo sovietico, venne imposto il cliché che la religione era per i poveri e gli analfabeti dei villaggi. Ma la gente povera è presa maggiormente dai bisogni primari, non dalla religione. Sono i più colti e viaggiatori quelli che riflettono sulle questioni d’identità. Lo vedo qui a Baku e tra le persone che frequentano la nostra comunità. L’urbanizzazione e la comunicazione creano uno spazio per la religione. Più le persone sono a confronto con la globalizzazione, più cercano di definire chi sono e qual è la loro appartenenza spirituale. Qui ci sono giovani musulmani azeri ce diventano più religiosi studiando in Occidente, in Europa, dopo essersi confrontati con l’islamofobia e con gli aspetti meno positivi della vita e della cultura occidentale.
Decine di migliaia di azeri sono migranti o lavoratori stagionali in Russia. Nota un simile processo di identificazione religiosa tra di loro?
Meno. La maggior parte di coloro che si reca in Russia proviene dalle province. Inoltre, in Russia non c’è la stessa islamofobia ideologica che c’è in Europa. Il problema è che c’è maggiore xenofobia su base etnica che etichetta come musulmani coloro che provengono dall’Azerbaijan e dal Tagikistan così come i georgiani e gli armeni, che sono cristiani. E’ una cosa diversa. Ma l’immigrazione lavorativa verso la Russia prima o poi condizionerà la coscienza religiosa. Difficile prevedere cosa accadrà in futuro, ma la Russia non ha alcun interesse nel confrontarsi con il mondo islamico. In Russia la gente ha accesso a differenti tipi di media islamici più che in Azerbaijan o altre ex repubbliche sovietiche a maggioranza musulmana.
Penso che il futuro dell’islam e dei musulmani in Azerbaijan non si debba cercare in Russia ma in Europa. Sono stato in Europa già diverse volte e seguiamo con grande interesse pensatori come Tariq Ramadan e l’evoluzione dell’islam in Bosnia e tra i migranti musulmani in Occidente. L’Europa non è solo al confine con il mondo islamico, ma vi è anche strettamente legata dal punto di vista demografico. Ci sono grandi comunità di immigrati che stanno ridefinendo la loro identità, come i musulmani in Azerbaijan. Io vedo un potenziale per lo sviluppo dell’islam morale e intellettuale qui, così come il processo che stiamo osservando in Europa oggi.
C’è quindi in Azerbaijan un potenziale per un equivalente del Partito turco di giustizia e sviluppo?
Quando il Partito di giustizia e sviluppo è salito al potere, ha portato dei disagi tra l’opposizione "secolare" e i funzionari in Azerbaijan, perché ha mostrato che un’alternativa islamica non-violenta e democratica era capace di guadagnarsi la fiducia dell’élite turca e il supporto dell’occidente. Oltretutto, gli islamisti democratici della Turchia hanno dimostrato di essere più di un vettore filoeuropeo per certe riforme rispetto al vecchio establishment "secolare". In Azerbaijan e in altri paesi ex sovietici, i gruppi religiosi indipendenti, così come altri attori della società civile, vivono una vera restrizione da parte delle autorità, così che conoscono bene l’importanza dello sviluppo democratico. Al momento, l’Azerbaijan, così come diversi altri paesi ex sovietici, attraversa una fase in cui l’opposizione tradizionale sta lasciando il posto a diversi movimenti dissidenti come quelli presenti in URSS negli anni ’70 e ’80.
Dopo molte conversazioni con la gente, così come con personalità influenti e accademici a Baku e nelle province dell’Azerbaijan, mi sembra che per anni l’ "Occidente" sia stato pesantemente screditato, così come in molti altri paesi ex sovietici e islamici. Lo pensa anche lei?
Non la porrei in questi termini, in modo così categorico. Dipende con chi hai a che fare. Il regime cercherà cinicamente di ottenere dall’Occidente tutto ciò che è in suo potere, in quanto si adegua all’Occidente dal punto di vista economico e diplomatico. Lì certi gruppi e individui non vogliono alcun cambiamento in positivo in Azerbaijan, perché vi è un sacco di capitale anglo-americano investito nell’industria petrolifera e del gas, e perché l’opposizione non è molto sviluppata né credibile. Per il resto, penso che la popolazione abbia piccole associazioni con l’Occidente ma più con la Russia. La gente è troppo presa dai problemi quotidiani per avere una solida opinione a riguardo. Le categorie sociali mobili e l’intellighenzia, comunque, sono sempre più contro l’Occidente, o quanto meno infastidite dalla sua ipocrisia e dalla sua doppia faccia.
C’è chi pensa che la democrazia in Azerbaijan sia stata sacrificata per amore degli interessi petroliferi. Esiste anche il pensiero per cui USA e Europa supportano tacitamente gli armeni in Karabakh. E, certamente, anche la guerra in Iraq, Abu Ghraib e i cartoni danesi hanno avuto il loro impatto.
L’Azerbaijan sta cambiando rapidamente: entrate del petrolio, rapida urbanizzazione, conflitti sociali, migrazione lavorativa e anche un crescente autoritarismo. Alcuni tracciano delle analogie con la situazione del vicino Iran alla vigilia della rivoluzione islamica. Questo ha portato alcuni analisti e giornalisti ad esprimere la loro preoccupazione sulla ripetizione di un tale scenario in un Azerbaijan a maggioranza sciita. Lei ha svolto parte dei suoi studi in Iran, e conosce bene il paese. Come valuta questa situazione?
Ciò che accade in Iran da molti anni è il risvolto della medaglia delle politiche neo-conservative degli Stati Uniti nei confronti dell’Iran e del mondo islamico in generale. La popolazione iraniana non accetterà né sosterrà il cambiamento imposto o manipolato dall’esterno. Sono tempi interessanti. Molto dipenderà dal comportamento della nuova amministrazione americana verso l’Iran. Altrimenti, non ha senso parlare di una potenziale rivoluzione islamica qui in Azerbaijan sul modello di quella iraniana. In primo luogo, l’Iran aveva un clero molto più attivo, così come importanti centri religiosi e intellettuali. In secondo luogo, c’era una percentuale più alta di musulmani praticanti tra la popolazione iraniana anche al tempo delle politiche occidentalizzanti dello Scià. E infine, l’Iran aveva un movimento rivoluzionario marxista attivo e influente che ha partecipato al rovesciamento della monarchia.
Nessuno di questi elementi è presente oggi in Azerbaijan. Le persone vogliono la loro identità, la loro dignità e la giustizia sociale in un mondo in pieno movimento. Nessuno può fermarlo. E’ tempo di spingere per un cambiamento, ma non per un confronto o un maggior conflitto. A questo proposito noi siamo ottimisti.