Io sono di Titov Veles

Teona Strugar Mitevska è una delle poche registe del cinema macedone. L’abbiamo incontrata al Festival di Berlino dove presentava il suo film ”Jas sum od Titov Veles”

26/03/2008, Nicola Falcinella -

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Una scena del film "Jas sum od Titov Veles"

Trentaquattro anni, di Skopije, Teona Strugar Mitevska è una delle poche registe del piccolo cinema macedone. Con il fratello Vuk e la sorella Labina ha fondato la società Mitevski Sisters and Brother con la quale produce i suoi lavori. Dopo aver studiato grafica e aver lavorato nella pubblicità (già a sei anni era apparsa in spot e aveva partecipato a telefilm e spettacoli teatrali) ha girato alcuni corti e il lungo "Kako Ubiv Svetec – How I Killed a Saint" (2003) premiato in più festival. Nel 2007 ha realizzato "Jas sum od Titov Veles – Sono di Titov Veles" presentato al Festival di Sarajevo e poi a Berlino, nella sezione Panorama.

Di entrambe le pellicole è protagonista la sorella Labina, già in "Prima della pioggia" di Manchevski, in "Benvenuti a Sarajevo" e "I Want You" di Winterbottom, in "Kontakt" di Stanojkovski, in "Investigation" della Triffonova e in "Nema problema" di Giancarlo Bocchi. "Jas sum od Titov Veles" è la vicenda di tre sorelle narrata dalla più giovane di loro, rimasta muta alla morte dei genitori.

Mi sono ispirata – ha raccontato la regista a Berlino – a una storia che avevo letto su un giornale locale nell’estate 2003: due sorelle erano state trovate carbonizzate per l’incendio della loro casa. Una era stata trovata stesa vicino alla porta con il cranio fracassato e l’altra le stava accanto stretta in un abbraccio. Da ricerche successive avevo scoperto che entrambe erano dipendenti da eroina.

Come mai il film è ambientato a Veles. È la sua città?

Io sono di Skopije. Ho scelto Veles per il suo background industriale. Nell’epoca della Jugoslavia in ciascuna repubblica c’era una città con Tito nel nome. E questo portava dei vantaggi, per esempio nella creazione di impianti industriali o nello sviluppo economico. In Macedonia era Veles. Oggi le industrie non lavorano più tranne due o tre. La città è economicamente devastata. In più c’è il problema inquinamento legato alle scorie e alle aree dimesse.

Ci sono anche elementi autobiografici nel film?

Qualcosa di autobiografico, di mio, c’è. Non ho due sorelle, ma un fratello e una sorella, ma comunque abbiamo legami forti. E c’è il punto che non si può fuggire da quel che sei. "Jas sum od Titov Veles" ha molto a che fare con le emozioni e questo costringe a mettersi in gioco, a rimanerne coinvolti.

Il film è una coproduzione internazionale. Qual è la situazione della cinematografia macedone?

In Macedonia facciamo in media un film e mezzo l’anno, siamo una cinematografia piccola ma esistiamo! Ho anche avuto un fantastico cast macedone. Mentre il film è europeo per la troupe, anche se non siamo ancora dentro la UE. Abbiamo avuto sostegni da Belgio, Francia, Slovenia e Olanda. L’arte è sempre più avanti della politica…

La storia sembra avere dei riferimenti a Checov.

Non abbiamo mai parlato esplicitamente di riferimenti a Checov facendo il film. Però ci sono le tre sorelle e il desiderio di partire che rimandano a lui. Del resto la letteratura russa è una parte di noi, è molto presente nella nostra educazione. Oltre a Checov amo Tennessee Williams, Ingmar Bergman, Michelangelo Antonioni… Le tre sorelle sono chiuse nel passato, così come d’altro canto è chiusa nel passato la città. Tutti vogliono lasciare la famiglia o il paese, oppure l’hanno già fatto come è il caso della madre che se n’è andata. Di contro c’è un forte desiderio di famiglia, di continuare a farne parte o di formarne una nuova. Nessuno vuole stare da solo. Gli uomini sono animali che anche durante le guerre si riproducono. È una necessità per far continuare a vivere la specie. Anche a Sarajevo durante l’assedio sono stati concepiti tanti bambini!.

C’è anche una scena di sesso molto forte. Che significato ha nel film?

Sì, la scena di sesso è forte, ma è vera. L’ho inserita per scelta drammaturgica. Ma rende l’idea di certe prevaricazioni sulle donne che sono presenti nella nostra tradizione. Oggi però le donne, anche con i film, stanno facendo molte domande e pongono molte questioni sul rapporto tra i sessi nella società. Stiamo spingendo oltre i limiti esistenti. È il ruolo dell’arte. Anche con questo film abbiamo cercato di farlo.

Lei è ottimista o pessimista sul futuro?

Il personaggio di Afrodita, la più giovane, vuole vivere nonostante l’inquinamento della città e gli altri problemi. E così io voglio essere ottimista, avere speranze nel futuro.

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