Invito alla lettura: Danilo Kis
La rivista di Belgrado Knjizevni List ha pubblicato un racconto dello scrittore russo Limonov, che dipinge in termini violentemente razzisti lo «sporco Danilo». L’antropologo Ivan Colovic ci spiega perché i fascisti continuino a scagliarsi contro il grande scrittore jugoslavo
Di Ivan Colovic, Le Courrier des Balkans, 13 gennaio 2007
Traduzione di Persa Aligrudic, e di Carlo Dall’Asta per Osservatorio sui Balcani
Una strana questione è stata posta dallo scrittore polacco Ksistof Varga in occasione di un incontro tenutosi nel giugno 2005 a Belgrado, dedicato a Danilo Kis: in quell’occasione lo scrittore polacco ha dubitato del fatto che Kis sia veramente uno scrittore rispettato e letto nel suo Paese. Perché se così fosse, ha argomentato Ksitsof Varga, ovvero se la gente dell’ex-Jugoslavia veramente avesse apprezzato e letto Kis, allora non avrebbe probabilmente permesso che la guerra scoppiasse nel Paese, non ci sarebbero state violenze né sofferenze, non ci sarebbe stato il crimine di Srebrenica.
Riflettendo su quest’idea, Ksistof Varga si è ricordato di Radovan Karadzic e di Eduard Limonov, e delle scene risalenti al 1993 e immortalate da alcuni filmati, in cui si vedono questi due personaggi su una delle postazioni da cui le forze di Karadzic bombardavano Sarajevo. Si vede anche lo scrittore russo Limonov sparare delle raffiche di mitragliatrice sulla città avvolta da nuvole di fumo. «I due scrittori che si trovavano sulla montagna sopra la Sarajevo incendiata, Karadzic et Limonov, hanno letto Kis?», si è domandato lo scrittore polacco.
Recentemente abbiamo avuto una parziale risposta a questa domanda di Ksistof Varga. Noi ora sappiamo che, dei due scrittori visti a pavoneggiarsi sopra Sarajevo in fiamme, almeno uno ha letto Kis: quello alla mitragliatrice, Limonov. È lui stesso a parlarne, in una storia autobiografica intitolata «Uno scrittore balcanico» che potete leggere su Knjizevni list del primo gennaio 2007, nella traduzione di Radmila Mecanin. Danilo Kis è uno degli eroi di questa storia, è lui lo scrittore balcanico.
Tuttavia Eduard Limonov parla solo en passant della sua lettura di Kis. Apprendiamo così che egli ha letto, per usare le sue parole, «una delle sue edizioni tascabili», che non gli è piaciuta affatto. Ha scoperto che vi si trattava di temi specifici della letteratura dissidente, guerra, campi e altre cose simili. Ma, sfortunatamente, si ricorda Limonov, «a tutto ciò è stata aggiunta qualche buona secchiata di orrori balcanici e di crudeltà surrealiste».
Ma l’impressione peggiore lasciata su Limonov dall’uomo che ha scritto questo tascabile dissidente senza alcun valore, è «lo sporco Danilo». Sì, avete letto bene: «sporco Danilo». È così che Limonov qualifica Kis. In effetti la sporcizia domina nel ritratto di Kis che troverete nel racconto, l’impurità è sottolineata come una delle sue particolarità più evidenti. Limonov l’ha dipinto innanzi tutto come una persona imperdonabilmente, ignobilmente sporca. «Lo sporco Danilo» è allo stesso tempo molto brutto e si comporta ostentatamente male. È, dice Limonov descrivendo il suo eroe, «una faccia piccola, marcata da un grande naso, su uno scheletro curvo. Spalle strette. Carattere chiassoso». Veniamo anche a conoscenza del fatto che Danilo ha l’abitudine insolente di dare bruscamente del tu alle persone che non conosce e quella ancora peggiore di interrompere costantemente il suo interlocutore toccandolo con le sue dita sporche. Quando ci siamo incontrati, racconta Limonov, «lo sporco Danilo» mi ha subito dato del tu. «Anche per me, rude eroe di Jack London», aggiunge, «Danilo Kis è risultato sgradevole col suo modo di dare subito del tu, di interrompere l’interlocutore, di premere con le dita, storte e non molto pulite, sul petto di chi sta parlando con lui».
Il chiassoso, maleducato, «sporco Danilo» amava – come era prevedibile – dimenarsi al suono della musica zigana. È ciò che l’autore di questa storia ha scoperto in occasione del loro ultimo incontro, a Budapest nel 1987. Ma per una certa qual ragione, in quel momento, quello zotico «scrittore balcanico» è inaspettatamente diventato decente. E Limonov capisce ben presto cosa ha calmato Kis e lo ha indotto a comportarsi meglio: la malattia, il cancro. «L’ho visto», scrive, «nel 1987 a Budapest. Al suono dei violini zigani ballava una danza selvaggia. E aveva una grande dignità. «Ha un cancro», mi ha detto una delle persone al tavolo, «e lo sa».
Sembrerebbe che questo sia uno dei punti cruciali della storia dello scrittore balcanico, dello sporco Danilo. La sua selvaggia natura balcanica, questo indefinibile carattere di meticciato, non potevano essere addolciti, resi migliori, per così dire purificati che dalla malattia. Ma c’è un altro punto centrale nel racconto, che indubbiamente è il più importante. È il momento in cui Limonov ci suggerisce quale potrebbe essere la causa della bruttezza fisica e morale dello sporco Danilo.
In effetti il lettore di questa storia ottiene brevi informazioni sull’origine del suo eroe, intese ad aiutarlo a meglio comprendere i tratti principali del suo carattere, e dunque l’impurità, la bruttezza, il chiasso che fa Danilo. Perché il lettore potrebbe domandarsi: da dove viene tanta bruttezza in un sol uomo? Lo scrittore tuttavia non ci fornisce una risposta preconfezionata; ci aiuta invece a trovarla, ci suggerisce dove potrebbe essere la risposta. Questa si nasconde, sembrerebbe, nell’origine del personaggio, nell’identità dello sporco Danilo. Sventurato Danilo! Egli non ha alcuna identità o, più esattamente, ne ha molte, il che è la stessa cosa. Egli in effetti non ha la minima idea di chi sia, da chi sia stato generato, da dove venga. «Io credo», racconta Limonov, «che neppure lui potesse definire con precisione chi egli fosse: nelle sue vene scorreva, come minimo, sangue ungherese, serbo, zigano ed ebreo».
Limonov ci conduce a vedere in questa mescolanza di geni, in questa origine impura del personaggio, il motivo della sua bruttezza fisica e del suo aspetto trascurato. Come arriva a questo? Ebbene, tra le altre cose, attraverso il modo con cui per la prima volta qualifica il suo personaggio come «lo sporco Danilo»: immediatamente dopo aver portato lo sguardo sulla sua figura sanguigna e inquietante, come in conseguenza di questo fatto. Solo in seguito menziona le dita sporche e tutto il resto. Il lettore deve essere spinto a pensare un po’ così: Che ne dite? Sangue serbo, ungherese, zigano, ebreo e chissà cos’altro ancora? Dopo tutto ciò, quando poi mi si parla delle sue dita sporche, è evidente che la cosa non mi sorprende affatto…
Una tale concatenazione di origine genetica, aspetto fisico e caratteristiche morali rappresenta uno degli elementi fondamentali dell’antropologia razzista, che l’arte e la letteratura fasciste hanno enormemente utilizzato. La certezza che la chiave per la comprensione dell’uomo risieda nei suoi geni, che si suppone lo leghino in modo determinante ad una razza o, come si dice eufemisticamente ai nostri tempi, all’etnia o alla nazione, questa certezza è oggi spesso portata avanti come una presunta verità scientifica dimostrata. Il neofascismo vive di questa pseudo-verità: tanto il neofascismo incosciente e quotidiano, quanto il fascismo pretenzioso, elitista, estetizzante, uno dei cui rappresentanti più noti è l’autore di questa storia, Eduard Limonov.
Quando la si pensa così, vale a dire nel modo in cui pensano i fascisti attuali, allora ogni uomo che non può essere facilmente ridotto ad un codice genetico collettivo, che non ha e non vuole avere un’identità nazionale iscritta nei suoi globuli rossi, è trasformato in una sorta di mostro fisico e morale. E – ciò che è ancora peggio, e che provoca e causa la rabbia dei neofascisti – è che questi presunti mostri tentano di sopravvivere, e perfino di rivendicare come se fosse una virtù il loro tradimento del sangue, la loro impurità razziale, il fatto di non allinearsi ad un’appartenenza nazionale. Alcuni tra di loro – e per i fascisti, questo è il colmo dello scandalo – sono divenuti i simboli di questo sacrilegio, di questa negazione della verità del sangue. Ecco qua il vostro Danilo Kis, vi diranno certi fascisti d’oggi. Voi giurate su di lui, egli è diventato un simbolo per tutti voi che vorreste fuggire la verità votiva, il sangue ancestrale, l’unica fede che è iscritta nei vostri geni.
È precisamente questo Kis, il simbolo della resistenza al fascismo, che ha dovuto attirare l’attenzione del fascista Limonov. È per questo che Kis è divenuto l’eroe della sua storia, è per questo che egli regola i conti con lui in questo modo. Egli ha dovuto notare che Kis, in quanto simbolo della resistenza al fascismo, aveva assunto un ruolo identico a certe città dell’ex Jugoslavia di popolazione mista, che sono divenute i simboli della resistenza alla politica di purificazione etnica e che, per la stessa ragione, erano agli occhi dei fascisti la causa di ogni male e di tutti i vizi. Sarajevo, a un certo momento, rappresentava un simile posto. E Limonov aveva già regolato i suoi conti con la città mitragliandola con le famose raffiche. Ora egli ha completato il suo eroico attacco con una raffica di miserabili insulti razzisti indirizzati contro Danilo Kis.
Torno finalmente a quanto dicevo all’inizio riguardo all’idea di Ksistof Varga, che diceva che persone che avessero letto e amato Kis non avrebbero mai permesso che dei criminali di guerra governassero il loro Paese. Ora, dopo aver letto questa storia autobiografica di Eduard Limonov, posso dire che questo fascista russo è d’accordo almeno in un punto con Varga. Anche lui pensa che sia importante leggere Kis. Egli pensa anche che questa lettura potrebbe dissuadere la gente dal prendere la pozione che Limonov gli vorrebbe infliggere. Attraverso una guerra «sanitaria», attraverso massacri ed espulsioni, questa pozione dovrebbe render loro la purezza della razza originale, nazionale, religiosa e fisica. È appunto perché egli dà una grande importanza morale all’opera di Kis che Limonov si è accanito contro di lui in questa maniera odiosa, con i peggiori insulti razzisti.
Come si sa, egli non è il primo e probabilmente non sarà l’ultimo fascista a prendersela con tanta rabbia con l’autore di Una tomba per Boris Davidovic. Ma ciò non fa che confermare che Kis, evidentemente, era e resta ancora una spina nel fianco per questa diffusa specie di pensatori, scrittori e mitraglieri. Ma per noi, che non marciamo nei ranghi di nessuna razza o nazione, questa nuova lettura fascista e questo ritratto di Danilo Kis potrebbero essere un incitamento in più, probabilmente la migliore di tutte le raccomandazioni a leggere e ad amare questo scrittore. Avete mai letto Kis? Se non l’avete ancora fatto, forse sarà proprio Eduard Limonov a spingervi ad intraprenderne la lettura.