Intervista con Boris Tadic

Pubblichiamo la versione integrale di un’intervista con il presidente della Serbia Boris Tadic, realizzata da Emiliano Bos, in occasione della recente visita al Papa, e pubblicata la scorsa settimana dal quotidiano "Avvenire"

07/10/2005, Redazione -

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Boris tadic

Di Emiliano Bos

ROMA. "Il più grande problema della Serbia oggi si chiama Ratko Mladic. Chiedo di risolverlo al più presto, perché senza la sua cattura la Serbia non ha possibilità di entrare né nell’Unione Europea né nelle organizzazioni euro-atlantiche". Il presidente serbo Boris Tadic, 47 anni, ex-docente di psicologia, né è consapevole. Risponde a distanza al procuratore del Tribunale per l’ex-Jugoslavia, Carla del Ponte. Che – in visita a Belgrado – ha chiesto ancora una volta alle autorità la cattura dell’ex generale serbo-bosniaco, latitante da dieci anni malgrado le atrocità commesse in Bosnia. "Il governo serbo ha compiuto sforzi enormi" assicura Tadic, ricevuto a Roma in udienza dal Papa.

Rischia di esserci un altro ostacolo sulla strada tra Bruxelles e Belgrado: il referendum per l’indipendenza del Montenegro, previsto nel 2006. Si può evitare?

Anche questo potrebbe rallentare il nostro percorso di integrazione dell’Unione di Serbia e Montenegro verso l’Europa. Non è importante solo il risultato ma anche la modalità con la quale verrà organizzato. Si può evitare solo con decisioni delle istituzioni del Montenegro. Come presidente della Serbia non posso intromettermi, rispettando la legittimità delle istituzioni montenegrine. Ma io sto difendendo gli interessi della Serbia nell’Unione degli Stati. Riguardo al futuro dell’Ue, non penso solo a Serbia e Montenegro, ma anche a tutti questi Paesi dell’Europa Sud-orientale che ne sono ancora fuori. Perciò sottolineo sempre la responsabilità regionale di tutti i politici di questa area.

Il presidente del Montenegro Filip Vujanovic ha detto però che la priorità per Podgorica è prima l’indipendenza, poi l’Europa.

È fuori discussione che per la Serbia l’Ue resta la priorità. Mi rendo conto che ci sono delle differenze tra me e il presidente montenegrino.

Se si stacca il Montenegro non c’è rischio di destabilizzazione, in relazione anche all’altra questione aperta, il Kosovo?

Guardo proprio in questo modo alla potenziale uscita del Montenegro dall’Unione con la Serbia. La sua indipendenza potrebbe rappresentare un passo in avanti anche per l’indipendenza del Kosovo.

Che Belgrado non accetterà mai…

In base alla risoluzione dell’Onu 1244 (che pose fine al conflitto nel 1999, ndr) il Kosovo è parte integrante della Serbia e Montenegro. Per principio sono contrario ad una nuova frammentazione dell’Europa sud-orientale, del resto sono contrario all’indipendenza del Kosovo e alla dissoluzione della Serbia e Montenegro, e contro la divisione di Bosnia ed Erzegovina e della Macedonia. Non è solo un motivo di principio, ma anche funzionale.

Quale?

Dall’Asia Minore arriva una catena di traffici illeciti di droga, esseri umani e armi. Se in futuro in questi territori si formeranno una serie di piccoli Stati indipendenti non ci sarà nessun sistema di sicurezza che possa rappresentare un bastione contro la criminalità organizzata. Questo provocherebbe instabilità economica in tutta l’area, con la conseguenza che i piccoli Paesi dei Balcani potrebbero facilmente entrare di nuovo in conflitto. Con gravi ripercussioni anche per i Paesi occidentali. Penso sia necessaria un’unica proposta giuridica per risolvere la questione del Kosovo e del Montenegro, come dieci anni fa gli accordi di Dayton.

A proposito di Kosovo. Stanno per iniziare i colloqui con Pristina a Vienna. La vostra formula è "qualcosa in più dell’autonomia e qualcosa in meno dell’indipendenza". Che significa?

Il Kosovo non dovrebbe avere lo status di membro dell’Onu come Paese indipendente, mentre la sovranità spetta all’Unione di Serbia e Montenegro. Il Kosovo non dovrebbe disporre di un suo esercito, ma di istituzioni politiche create da maggioranza albanese.

Quelle esistono già. Il presidente Rugova è stato eletto democraticamente.

No. Sono provvisorie. Il Kosovo dovrebbe aver diritto a fondi di sviluppo dell’Ue, perché il maggior problema è la mancanza di lavoro. Avrebbe i massimi standard di decentramento per la gestione di sanità, cultura, magistratura e sicurezza. Questi sono solo elementi fondamentali della formula. Ma va integrata con un contenuto più complesso per il quale è necessario l’aiuto della comunità internazionale. Serve un’unica soluzione per garantire la sicurezza ad albanesi, serbi e tutte le minoranze. Mi riferisco anche ai croati cattolici del Kosovo. Ho avuto l’occasione di parlare con il Papa della presenza dei cristiani nel Kosovo. Senza la presenza della loro cultura e dei monumenti non ci sarebbe possibilità nemmeno per loro di sopravvivere. Anch’io farò sforzi enormi per difendere la presenza della cultura cristiana in Kosovo, come del resto sto cercando di garantire i diritti della presenza islamica in Serbia.

In Kosovo intanto si attende il rapporto dell’inviato speciale dell’Onu, il norvegese Eide, sull’attuazione degli standard democratici nella provincia. Lei vede qualche miglioramento negli ultimi mesi?

Nessun progresso sostanziale nella protezione dei diritti dei serbi né delle altre minoranze. La situazione dei diritti umani della popolazione non-albanese in Kosovo è la peggiore d’Europa. Questo ha provocato il ritardo del rapporto dell’inviato Onu, che ha avuto difficoltà durante la stesura rapporto. La sua relazione deve essere compresa in profondità: nell’opinione pubblica si è creata l’idea che indipendentemente dalla situazione sul terreno si dovrebbero avviare i colloqui con Pristina. Proprio per questo motivo la comunità internazionale ha il diritto di esigere dalle istituzioni provvisorie del Kosovo una modifica di questa situazione: può dimostrare che occorre garantire il rispetto dei valori fondamentali dell’uomo, quali democrazia, libertà di movimento e di professare la propria fede. Noi siamo stati testimoni che Milosevic non garantiva il rispetto di questi diritti universali. Sarebbe veramente difficile dover concludere che nemmeno la comunità internazionale li prende in considerazione. Durante il regime di Milosevic hanno sofferto gli albanesi, oggi tocca ai serbi. Parlo di valori della nostra cultura e della nostra civiltà: la sofferenza di una nazione non può assicurare i valori di una civiltà alla quale appartiene. Se i diritti degli albanesi fossero minacciati, userei la stessa forza per proteggere i loro diritti.

Nelle sue parole si notano accenti pessimisti. Possibile che non ci sia niente nei Balcani che induca ottimismo?

Non sono pessimista, malgrado dovrei esserlo. È assolutamente impossibile che nei Balcani continui a vivere gente che non vuole per se stessa un futuro migliore. E anche impossibile che qui non possa nascere una generazione di politici capace di assicurare questo ‘futuro migliore’. La soluzione ideale è che nei Balcani tutti siano pronti a perdere qualcosa e nessuno pensi di ottenere tutto. Occorre capire chiaramente l’obiettivo: diventare membro dell’Ue e dell’integrazione euro-atlantica, tenendo in considerazione i valori della civiltà europea.

Lei ha incontrato il Papa. Che impressione ha avuto da questo incontro?

Sono rimasto colpito dalla sua semplicità, dal suo calore e dalla capacità di riflettere. Incontro molto spesso politici di alto livello e statisti, ma vi trovo non di rado arroganza e freddezza. E, soprattutto un’incapacità di comprendere i processi specifici dell’Europa sud-orientale, che invece il Papa mi sembra abbia ben capito. Forse anche perché è tedesco.

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