Kosovo | | Politica, Società civile
Intervista con Adem Demaci
Pubblichiamo un’intervista realizzata da Milanka Saponja-Hadzic, per il quotidiano "Danas" il 2 luglio 2002, con il presidente del Comitato per la tolleranza e la convivenza in Kosovo, Adem Demaci, già uno dei leader politici dell’UCK.
Sia i Serbi che gli Albanesi sono ostaggi del passato
"In Kosovo non esiste famiglia che non sia rimasta colpita dal conflitto, ed esistono casi di intere famiglie scomparse. Sia i Serbi che gli Albanesi sono prigionieri del passato, le ferite non si possono dimenticare e questo lo si vede con evidenza ogni giorno. Ad esempio ci sono tanti bambini rimasti senza genitori e si fanno tante campagne per la loro adozione, ma ci si chiede chi potrebbe accoglierli se vi sono circa 700.000 persone in cerca di lavoro. Il Kossovo è un paese giovane, tutti desiderano vivere del proprio lavoro, ma la ristrutturazione va a rilento, perché non esiste uno Stato che faccia da garante per gli investimenti stranieri.
Sono state aperte molti piccoli negozi agro-alimentari, si sta ristrutturando il settore produttivo di materiale edile e di prodotti derivati dalla lavorazione del legno, ma non basta. Noi beviamo ancora latte importato dall’Ungheria e dalla Turchia, perché la gente è scappata dalle campagne verso le città, e non c’è più nessuno che si dedichi a lavorare la terra" ha raccontato per Danas Adem Demaci, Presidente del Comitato per la tolleranza e la convivenza in Kossovo.
D: Dopo tre anni dal conflitto e dall’intervento della NATO. Probabilmente sono stati raccolti i dati ed è stato fatto un bilancio dei danni. Quante sono state le vittime?
Non esistono dei dati univoci, dipendono dalle fonti utilizzate. Il Consiglio per la ricerca dei diritti umani e della libertà del Kossovo, del quale fa parte anche il nostro Comitato, ha a disposizione dei dati che indicano che tra morti e dispersi le perdite siano state circa 15.000. I danni materiali sono enormi: sono state colpite 220.000 tra case e appartamenti. Circola il dato che siano state 20.000 le donne vittime di stupro, ma è un dato difficile da verificare, perché è una verità che viene tenuta nascosta. Solo quest’anno sono già 50 le persone che si sono tolte la vita, mentre prima il suicidio era un evento che da noi accadeva raramente.
D: Gli scontri e il bombardamento avvenuti in Kossovo hanno provocato un grande movimento di persone?
Anche qui si utilizzano dati non confermati. Le persone si sono spostate verso le zone montagnose del Kossovo, dalle 800.000 al milione di persone sono state scacciate in Montenegro, Albania e Macedonia. In pratica quasi la metà della popolazione si è ritrovata fuori dal proprio paese. Oggi la situazione è diversa.
I giovani cercano una via di fuga nella droga e nell’alcol, conducono una vita dissoluta, non studiano, c’è molta più criminalità e malavita di quanto non ce ne sarebbe in una situazione di normalità. La polizia delle Nazioni Unite è numerosa, possiede alte tecnologie, ma non è motivata a cercare una risoluzione a questi problemi. Tutta la loro organizzazione è alquanto complicata perché si fonda sul coinvolgimento di 50 stati e questo non può essere un organismo efficace. Dovrebbero lavorare più a contatto con la popolazione, ma non è facile. Il timore è che gli Albanesi non riconoscano questi organismi, ai locali non viene affidato alcun compito importante. Essi si occupano infatti solo del traffico, senza nemmeno il potere di condurre degli arresti, perché considerati, appunto, solo dei collaboratori.
D: Pristina oggi è un’altra città…
Sì, si è ricostruito molto, anzi direi che è "esplosa", ma è anche emerso un grande problema. Molte strutture sono abusive ed ora non c’è modo di risolvere la situazione, perché il Kossovo è troppo povero per decidere di demolire tutto. Al momento questo è uno dei quesiti maggiori, ed esistono montagne di problemi per la risoluzione dei quali sono necessarie persone competenti, oneste e coraggiose, non sottoposti a pressioni di tipo politico, religioso o nazionalista. In realtà persone così ce ne sono, ma sono proprio quelli che non sgomitano per i posti di potere, perché c’è molto da fare e le persone capaci preferiscono aprire delle attività private. Coloro che fanno di tutto per arrivare al potere lo fanno solo perché vedono in questo solo un’ottima occasione di guadagno.
Oggi si parla spesso di corruzione, e ciò non è molto distante dalla realtà, soprattutto in ambienti molto sensibili come gli ospedali, le farmacie e le strutture simili. Oggi, se si vuole concludere un lavoro, basta pagare.
D: Quali sono state le ripercussioni dei fatti avvenuti in Kossovo, sulla struttura sociale tradizionale?
E’ incontestabile il fatto che vi siano state numerose vittime, ma tutte queste tragedie -migrazioni forzate, separazione di nuclei familiari che si sono trovate su fronti diversi – hanno creato in un gran numero di persone un profondo senso di disillusione. Oggi è molto più forte il bisogno di libertà di quanto non fosse un tempo. La gente ha capito che in un istante è possibile rimanere senza casa, senza famiglia, senza più nulla. Ed ora questa coscienza è molto forte. Forse è un bene, ma può anche essere pericoloso se i problemi continueranno ad essere risolti lentamente, perché la gente non può vivere senza un lavoro. Adesso molti si chiedono come abbiano potuto sopportare così a lungo.
D: Dopo le elezioni sono stati formati i governi locali. Quanto questi sono di aiuto, e quanto invece rappresentano il centro di sostegno delle forze internazionali?
Io avevo osservato che non avremmo dovuto andare subito alle elezioni, ma che avremmo prima dovuto formare gli organi istituzionali dello Stato, a cui far seguire a distanza di cinque anni – una volta che la situazione si fosse assestata e che le ferite si fossero un po’ cicatrizzate – le elezioni. Invece è successo proprio quello che temevo, cioè gli organi statali non hanno grandi competenze, i candidati sono stati scelti in base all’appartenenza partitica, si è seguita quindi l’influenza dei partiti. Dopo la guerra si sono riformati partiti di prima della guerra, come si sono formati partiti tra le fila di coloro che hanno partecipato alla rivolta. Oggi abbiamo quindi un intero ventaglio di partiti – circa una trentina – ma nessuno di essi con una connotazione europea.
Avevamo la necessità di formare le istituzioni, ed è stato fatto, ma non funzionano perché non basta formarle, bisogna anche trovare persone competenti che sappiano lavorarci. A livello comunale abbiamo qualche responsabilità – nel settore dell’educazione, della sanità e dell’edilizia – mentre a livello dell’Assemblea, del Governo o della Presidenza, gli Albanesi possiedono pochissime competenze, non hanno alcun potere decisionale. Il Presidente del Kossovo è soltanto una figura, e non può decidere nulla nemmeno l’Assemblea, perché abbiamo a disposizione solo la Costituzione dettata dalla risoluzione 1244 scritta nell’ambito degli accordi di Rambouillet, che però il tempo ha reso sorpassata, mentre le forze internazionali continuano ad attenersi ad essa.
La lenta privatizzazione
D: Sia in Kossovo che in Serbia si parla molto di privatizzazione. Neanche una delle parti è soddisfatta?
E’ stata formata la Commissione per la privatizzazione. Il documento è arrivato da New York ed è tremendo, perché sei persone decidono dell’intera ricchezza del Kossovo. La Commissione prevede al suo interno tre stranieri e tre persone del Kossovo, mentre una sarà obbligatoriamente Serba. Il rapporto è di uno a quattro, a scapito degli Albanesi, e ciò significa che sarà sempre possibile che si prendano decisioni a svantaggio de Kossovo. Essi avranno quindi la possibilità di valutare e vendere tutte le proprietà del paese, in pratica uno potrà arrivare e dire "questo è mio" e noi dovremo accettarlo. Ma questo non piace nemmeno ai Serbi. Loro dicono infatti "paghiamo i debiti del Kossovo, abbiamo debiti per 450 milioni di dollari", ed è formalmente vero, ma che ne è dei danni subiti dagli Albanesi? Noi non siamo ancora in grado di chiedere il rimborso dei danni che la Serbia ci ha causato, perché non abbiamo uno Stato che sia in grado di fare una seria valutazione dell’entità e di proseguire nelle indagini. Si deve sottolineare che una privatizzazione come quella in corso viene frenata anche dalla stessa Serbia.
D: I Serbi rimasti a vivere in Kossovo stanno passando giorni difficili?
Oggi per i Serbi non è facile. Quando la polizia e l’esercito si sono ritirati, la popolazione serba in gran numero li ha seguiti. Io sono convinto che la maggior parte di loro non hanno nulla a che vedere con i delitti avvenuti, ma è difficile dimostrarlo e prima che vengano concluse le indagini fai in tempo a perdere la vita. Oggi possono muoversi più facilmente di prima, persino a Pristina e a Gnjilane. Nelle cosiddette enclave di Gracanica e Obili esistono anche i mercati all’aperto, hanno i loro cartelli stradali, non pagano l’acqua, la luce e il telefono…
Il livello della vita della popolazione Serba è molto difficile, ho fatto visita in alcune enclave e ho visto in quali condizioni di vita impossibili si vive! Nemmeno sotto la protezione della Kfor è vita. Si è spinto affinché si creasse un’atmosfera di apertura delle enclave. Nonostante questo i Serbi continuano a rifiutarsi di comparire in televisione, temono di perdere la vita per mano di altri Serbi. Non sono ancora liberi, perché lo status del Kossovo è tuttora per aria. Fino a quando non si risolverà questa questione, non si risolverà nemmeno la posizione della popolazione. Ci sono dei Serbi che vogliono riottenere i vecchi privilegi, perché allora vivevano meglio, e ci sono Albanesi che vogliono appropriarsi delle loro case, oppure che desiderano vendicarsi. Sono questi coloro che non sono interessati alla risoluzione dei problemi, ma la maggioranza invece lo vuole, ed è per questo che si deve costruire un quadro chiaro, lo Status del Kossovo, perché noi si sappia chi e dove siamo.
La manipolazione delle vittime
D: Fino ad ora sono state scoperte alcune celle frigorifero contenenti circa 500 cadaveri. Voi avete i dati di queste vittime?
Ancor’oggi non è stata chiarita tutta la faccenda che gira attorno a queste celle frigorifero e ad alcune fosse comuni situate in Serbia. Tutto ciò viene per ora utilizzato per giustificare la consegna di Milosevic al Tribunale Internazionale de L’Aja. Ciononostante la polizia serba sa perfettamente quante sono, dove si trovano le fosse e quanti cadaveri contengono. In base ai dati a disposizione del nostro Comitato, sembrano essere scomparse circa 3.500 persone, anche se va ancora dimostrato. Ci vorrà molto tempo per arrivare a confermare questi dati. Sarà prima necessario veder salire al governo della Serbia altre persone, dei veri democratici, che non tenteranno di sottomettere gli Albanesi, ma che chiederanno scusa e vorranno costruire nuovi rapporti interpersonali.
D: La situazione più complessa è quella di Kosovska Mitrovica?
I più grossi problemi li abbiamo con circa il 20% del territorio kossovaro verso nord, che è completamente isolata dal resto del territorio. Qui il potere è detenuto da un gruppo di persone ben conosciute dall’Unmik ma che con loro non vuole fare i conti. Formalmente esiste un governo tenuto dalla Kfor, ma in realtà è nelle mani dei Serbi. Funzionano la distribuzione delle pensioni come i corsi universitari della Serbia, e questo non sarebbe possibile senza l’assenso silenzioso della Kfor.
D: Il Governo della Serbia sta spingendo perché rientri il maggior numero possibile di Serbi in Kossovo. Secondo Lei è realmente possibile che ciò avvenga?
In Serbia si continua a manipolare la popolazione. I Serbi possono per ora tornare nelle enclave, ma anche qui si devono creare posti di lavoro e normali condizioni di vita. Se questo viene fatto solo per i Serbi ritorneremo ai soliti problemi, invece si devono creare le condizioni giuste per tutti. Abbiamo per esempio la situazione degli Albanesi che dalla parte sud della città non possono più tornare nella parte nord, mentre si sta pianificando solo il rientro dei Serbi in direzione inversa. In questo modo si fugge continuamente dalla risoluzione del problema. Tutto questo fa parte di una visione fantastica…Unmik ha bisogno di dimostrare di far qualcosa, e anche Covic ha le sue ragioni, e quindi dice "il Kosovo è nostro" – che sulla carta è vero – ma il tempo ha dimostrato che le cose sono cambiate. Significa che noi continuiamo a vivere nel passato e nessuno vuole vedere la realtà di oggi.
Belgrado continua in maniera tattica a utilizzare argomenti patriottici, ma in realtà tutti aspettano che arrivi qualcuno a dire "Abbiamo sperato per troppo tempo, la verità è un’altra…". Il Kossovo, anche se dovesse essere restituito alla Serbia, le creerebbe solo problemi. Se per un intero secolo la Serbia non è riuscita ad assimilare gli Albanesi e renderli propri cittadini, non ci riuscirà nemmeno ora. Il progetto di serbizzazione del Kossovo, di portare gli Albanesi ad un numero minimo di popolazione, in modo da poter considerare il Kossovo come territorio serbo, non è riuscito. Che cosa rimane? Che si guardi in faccia la realtà e si cominci a regolarizzare i nostri rapporti in altro modo. Se si dovesse decidere in questo senso, si arriverebbe alla risoluzione di molti problemi.
D: Il Presidente del gruppo di Coordinamento per il Kossovo e Metohija, Nebojsa Covic, spesso ripete che la Serbia non cerca in alcun modo la divisione del Kossovo.
Sì, ma Covic usa anche altre frasi, e cioè "perché dovremmo dividere il Kossovo se il Kossovo è nostro". E così si è ritagliata una riserva per i Serbi nel nord del Kossovo. Se gli Albanesi insisteranno sull’indipendenza, i Serbi avranno così un pezzo di territorio in cui concentrarsi, ed è per questo che in questa zona continuano a tenere alta la tensione. Non si cercano risoluzioni definitive, rappresentanti comuni, ma si continua a prolungare l’agonia. Invece abbiamo molti motivi per collaborare: per la produzione alimentare, per l’energia…
D: Sta sicuramente seguendo il processo a Milosevic. Quali sono le conseguenze?
Più che un processo è uno spettacolo teatrale. Spesso Milosevic sembra essere il presidente del tribunale. La maggioranza degli Albanesi si illude che il Kossovo guadagnerà qualcosa da questo processo, quando invece il più grande processo avverrà per lo status d’indipendenza del paese.
D: Ora ha l’occasione per mettere a confronto ciò che è successo in Kossovo e quello che avviene durante il processo.
Oggi il mondo è a conoscenza di ciò che è avvenuto in Kossovo, ma secondo me non abbastanza. E questa del processo è un’occasione unica. E’ stato versato tanto sangue, sono avvenute tante tragedie, ma al processo tutto questo rimane sfocato. Non si va fino in fondo per chiarire i fatti. Non sono soddisfatto nemmeno dei testimoni albanesi, a parte alcuni tra loro. Forse hanno avuto paura, non erano preparati, o forse hanno avuto qualche problema con la propria coscienza.
D: Nel senso che molti di loro sembrano mentire?
Milosevic è alquanto perspicace e i testimoni non sono preparati come dovrebbero. Pensano molto più a come apparire di fronte alle telecamere che non alle parole che stanno pronunciando.
(Traduzione dal serbo-croato di Nicole Corritore)