Integrità territoriale e democrazia

A dodici mesi dal conflitto in Ossezia del Sud è di nuovo alta la tensione nelle zone di confine. A Tbilisi non si prevede attualmente un nuovo inizio delle ostilità. Ma vi è preoccupazione per gli sviluppi politici interni. Un articolo dal nostro inviato

06/08/2009, Giorgio Comai - Tbilisi

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Nei pressi della cattedrale Sameba, Tbilisi - G. Comai

È di nuovo alta la tensione al confine che de facto separa l’Ossezia del Sud dai territori controllati dalle autorità georgiane. Il 29 luglio per oltre un’ora vi sono stati spari sia da parte osseta che da parte georgiana; i contendenti si accusano a vicenda di aver sparato il primo colpo. In relazione a questi eventi, in un comunicato del ministero della Difesa russo si legge: "In caso di ulteriori provocazioni da parte georgiana, ndr che costituiscano un pericolo per la popolazione della repubblica dell’Ossezia del Sud o per il contingente militare russo dislocato nella regione, il ministero della Difesa russo avrà diritto ad utilizzare tutti i mezzi a propria disposizione per difendere i cittadini osseti e le forze militari russe".

Ma le recenti dichiarazioni del de facto presidente dell’Ossezia del Sud Eduard Kokoity hanno destato in Georgia preoccupazioni ancora maggiori. "Ci sono delle questioni territoriali molto serie che dovremo prendere in considerazione", ha dichiarato Kokoity, "mi riferisco in particolare alla gola del Truso, un territorio assolutamente osseto, attualmente sotto amministrazione georgiana, che per inspiegabili motivi ai tempi dell’Unione Sovietica non era stato incluso nei confini dell’Ossezia del Sud. Oggi bisogna porre la questione di come ricongiungere questi territori all’Ossezia".

Il governo di Tbilisi naturalmente si appella alla comunità internazionale perché mantenga alta l’attenzione su ciò che sta accadendo attorno all’Ossezia del Sud, ma i vertici georgiani sembrano ritenere che una nuova guerra con la Russia non sia imminente. Shotia Utiashvili, a capo dell’unità di analisi del ministero degli Interni, parlando con un giornalista del quotidiano georgiano Rezonansi, ha dichiarato: "In linea teorica non si può escludere niente, ma, parlando in modo esplicito, non ci aspettiamo un’operazione militare su ampia scala."

Per le strade di Tbilisi la situazione è tranquilla e non sembra esservi particolare preoccupazione tra la popolazione locale. Prima della visita di Joe Biden (il vice-presidente americano ha visitato la Georgia il 20 luglio) si diceva spesso anche sui canali televisivi che la probabilità che iniziasse una nuova guerra con la Russia era molto alta, ora se ne parla però di meno.

La visita di Biden ha rappresentato un momento di svolta per Tbilisi, e non solo perché ha riconfermato chiaramente il sostegno degli Stati Uniti alla Georgia. Per oltre 100 giorni, a partire dallo scorso 9 aprile, manifestazioni continue organizzate dall’opposizione avevano bloccato il centro cittadino. Ora tutto è tornato alla normalità e il traffico automobilistico procede densamente sulle sei corsie di via Rustaveli, arteria principale della città dove ha sede anche il Parlamento e dove fino a pochi giorni fa erano piantate delle "celle", simbolo scelto dall’opposizione per indicare le tendenze autoritarie del governo georgiano.

Per garantire la sicurezza di Joe Biden, che avrebbe alloggiato in un hotel situato proprio su questa strada, l’opposizione ha acconsentito ad interrompere la protesta. D’altra parte, visto l’insuccesso delle manifestazioni, gli stessi leader dell’opposizione erano solo in cerca di un pretesto per lasciare la strada senza perdere la faccia.

Due mesi fa, un portavoce del "Forum Nazionale", movimento che unisce diversi partiti di opposizione, aveva dichiarato che il 7 agosto, data dell’anniversario del conflitto in Ossezia del Sud, avrebbe avuto luogo una protesta enorme, "con oltre un milione di partecipanti". Nelle ultime settimane però da parte dell’opposizione non vi sono più stati richiami a manifestare in quest’occasione.

"Non scenderanno in piazza – afferma Marina Muskhelishvili, docente di Scienze Politiche all’università statale di Tbilisi – i rappresentanti dell’opposizione temono che una loro manifestazione nel giorno dell’anniversario possa essere strumentalizzata, anche perché sui media georgiani sono apparse molte speculazioni relative al fatto che l’opposizione a Saakashvili sia sostenuta proprio da Mosca".

Esponenti del governo georgiano hanno in più occasioni accusato direttamente i leader dell’opposizione di essere finanziati e sostenuti dalla Russia. "Si incontrano con uomini d’affari russi, persone vicine all’ex-presidente georgiano Shevardnadze che hanno trovato rifugio a Mosca dopo la Rivoluzione delle Rose – sottolinea Irakli Kavtaradze, deputato pro-Saakashvili, comodamente seduto in poltrona nel suo ufficio in Parlamento – non sono contrario all’opposizione di per sé, ognuno ha diritto ad avere una propria opinione e a sostenerla anche con azioni di protesta. Ma mi mette a disagio il fatto che cerchino aiuto proprio nel Paese che sta occupando ampia parte del nostro territorio".

Tra gli attivisti dell’opposizione non sembra esservi particolare preoccupazione per le accuse di collaborazionismo con Mosca. Dopo il fallimento delle proteste della scorsa primavera tutti concordano però che vi sia la necessità di pensare nuove strategie e di riorganizzarsi. L’obiettivo dichiarato non cambia: porre fine al governo di Saakashvili e riportare la Georgia sulla via della democrazia.

Incontro Dachi Tsaguria e Irakli Korzaia, tra i fondatori dei principali movimenti giovanili di protesta che hanno partecipato alle manifestazioni degli scorsi mesi. Mi raccontano di aver subito violenze in diverse occasioni da parte della polizia e di essere stati arrestati. "Viviamo in uno stato autoritario e non lo possiamo accettare – affermano – non sosteniamo alcun partito dell’opposizione in particolare. Ma vogliamo che in Georgia si stabilisca la democrazia, con media liberi e giudici indipendenti, e che i nostri diritti civili vengano rispettati".

Chiedo conferma dei loro racconti a Sozar Subari, difensore civico della Georgia. "È tutto vero – mi racconta nel suo spazioso ufficio, poco distante da piazza della Libertà – in questi anni gli episodi di violenza su rappresentanti dell’opposizione sono diventati molto frequenti ed hanno ormai carattere sistematico. La polizia è complice e spesso rappresentanti delle forze dell’ordine compiono in prima persona atti di violenza e pestaggi. In questi casi, le autorità non conducono indagini serie e nonostante numerose prove e testimonianze non vengono mai puniti i responsabili".

A dodici mesi dall’inizio del conflitto in Ossezia del Sud che ha portato la Georgia al centro dell’attenzione dei media di tutto il mondo, la situazione in questa repubblica caucasica resta quindi complessa e molto tesa sia per quanto riguarda i rapporti con la Russia, sia sul fronte interno.

Il presidente georgiano Mikheil Saakashvili era giunto al potere poco più di cinque anni fa promettendo di riportare Abkhazia e Ossezia del Sud sotto il controllo di Tbilisi e di stabilire la democrazia nel Paese. Questi territori sono ora esplicitamente protetti da Mosca e c’è poco che Saakashvili possa fare per prendere controllo di queste aree prima della fine del suo mandato. Resta aperta però la seconda promessa, e il presidente georgiano può fare ancora molto per realizzare effettive riforme democratiche nel Paese.

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