Insieme a Sarajevo

È alle porte, nella capitale bosniaca, la grande conferenza regionale Ue sui Balcani, il prossimo 2 giugno. Non ci sarà alcun nuovo impegno per l’area. Sì invece a nuove abolizioni dei visti. Riuscita comunque la sfida di portare tutti i leader dell’area allo stesso tavolo

13/05/2010, Alvise Armellini -

Insieme-a-Sarajevo

Sarajevo, il Latinski most (ponte Latino) sul fiume Milijacka (jaime.silva/ Flickr)

Ribadire quello che è stato detto già dieci anni fa, ovvero che il futuro dei Balcani è nell’Unione europea. Ma nonostante l’obiettivo non sia certo rivoluzionario, la preparazione della cosiddetta “Conferenza di Sarajevo”, in programma il 2 giugno, sta provocando più di un grattacapo alla Spagna, promotrice dell’iniziativa in quanto presidente di turno Ue, e all’Italia, che ne è diventata di fatto co-sponsor.

Ci sono volute infatti settimane di mediazioni, risolte con l’aiuto del ministro degli Esteri Franco Frattini, per trovare una formula che consentisse sia a Serbia sia a Kosovo di sedersi allo stesso tavolo, evitando il fallimento che aveva invece caratterizzato un summit Ue-Balcani a Brdo, in Slovenia, il 20 marzo.

La presenza del premier kosovaro, Hashim Thaci, spinse allora il presidente serbo Boris Tadić a disertare del tutto la riunione, mentre il premier bosniaco Nikola Špirić, rappresentante della componente serbo-bosniaca del Paese, scelse di alzarsi dal tavolo al momento dell’intervento di Thaci. Lo spettacolo convinse il commissario Ue all’Allargamento, Stefan Füle, a lasciare la conferenza con 45 minuti di anticipo, mentre gli altri rappresentanti di Bruxelles – a partire dal presidente Herman Van Rompuy e dal neo-ministro degli Esteri Catherine Ashton – avevano dato forfait già prima dell’inizio dei lavori.

Trovata la formula

Per evitare il bis delle diserzioni alla Conferenza di Sarajevo, Frattini ha proposto la formula “Gymnich,” ovvero il format protocollare usato per le riunioni informali dei ministri degli Esteri Ue. I partecipanti si siederanno intorno al tavolo identificati soltanto dal loro nome, senza alcun riferimento al loro Paese d’origine: in questo modo si dovrebbe poter saltare a piè pari lo scoglio del Kosovo, che è un Paese sovrano per Slovenia, Croazia, Montenegro, Macedonia e Albania, ma non per Serbia, Bosnia e cinque dei 27 stati membri Ue, presidenza spagnola inclusa.

“Ho registrato un atteggiamento di flessibilità e un approccio costruttivo” aveva anticipato Frattini a fine aprile, al termine del tour in cui aveva illustrato a Pristina e Belgrado la sua proposta di compromesso. Nei giorni successivi, entrambe le capitali hanno confermato la loro presenza a Sarajevo, seppure con alcuni distinguo. “La condizione è che il Kosovo non venga rappresentato come uno Stato, che i suoi rappresentanti siano sempre accompagnati da rappresentanti dell’Unmik” ha puntualizzato il segretario di Stato serbo per il Kosovo, Oliver Ivanović.

In pratica, Belgrado vorrebbe che il capo dell’amministrazione Onu a Pristina, l’italiano Lamberto Zannier, facesse da “balia” al ministro degli Esteri kosovaro Skender Hyseni. Lo scontro tra serbi e kosovari, quindi, si potrebbe riproporre su questioni relativamente astruse come l’ordine degli interventi e la possibilità che sia Zannier, invece del presidente dei lavori e ministro degli Esteri spagnolo Miguel Angel Moratinos, a dare la parola a Hyseni. Nel frattempo, per eliminare un’altra potenziale fonte di conflitto, è stato deciso che la dichiarazione conclusiva sarà presentata soltanto dall’Ue, togliendo il ministro degli Esteri serbo Vuk Jeremić dall’imbarazzo di sottoscrivere un documento insieme al suo omologo kosovaro.

A Bruxelles qualcuno aveva temuto che i litigi serbo-kosovari potessero far saltare tutto, rendendo vana la mediazione di Frattini. “Questa soluzione ‘Gymnich’ non mi convince più di tanto” aveva confidato un diplomatico a Osservatorio Balcani e Caucaso, ricordando che la stessa formula era stata inizialmente accettata da Tadić per Brdo. I serbi inizialmente si erano giustificati spiegando che il compromesso poteva valere per una riunione tra ministri degli Esteri, come quella del mese prossimo, ma non per una tra leaders, come era l’appuntamento sloveno. Ma alla fine la mediazione è riuscita.

Un biglietto da visita per Bruxelles

bandiera dell’Unione Europea

Per scongiurare tale possibilità, sia Füle sia Ashton avevano ammonito che la loro partecipazione a Sarajevo sarebbe stata condizionata alla presenza di tutti i Paesi della regione. “Parteciperò a tutte le conferenze basate sul principio dell’inclusività e volte a promuovere la cooperazione regionale” aveva dichiarato diplomaticamente il commissario Ue, in una recente intervista all’agenzia tedesca Dpa.

D’altronde, se lo scenario di Brdo si fosse ripetuto, i Paesi dei Balcani occidentali avrebbero presentato un pessimo biglietto da visita ad un’Europa già frustrata dalle microscopiche controversie territoriali sloveno-croate e dall’intrattabile rebus toponomastico che divide Macedonia e Grecia. Soprattutto in un momento in cui l’attenzione dei leader Ue è distratta da crisi ben più gravi – vedi crisi dell’eurozona.

Superato questo scoglio, l’appuntamento nella capitale bosniaca potrebbe portare qualche buona notizia. A febbraio, in una lettera congiunta ai colleghi Ue, Moratinos e Frattini indicarono chiaramente che da Bruxelles non ci si dovrà aspettare “alcun nuovo impegno” nei confronti dei Balcani. Ma almeno un cenno sull’estensione dell’abolizione dei visti Schengen a Bosnia e Albania, dopo quella concessa a Serbia, Montenegro e Macedonia l’anno scorso, dovrebbe arrivare. Sarebbe un segnale non da poco, specie per una Bosnia Erzegovina sempre in bilico tra secessione e immobilismo, e già in piena campagna per le elezioni di ottobre.

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