Iniziative a Sarajevo: l’intervento di Giulio Marcon

Di seguito il discorso che Giulio Marcon, presidente dell’ICS – Consorzio Italiano di Solidarietà, ha tenuto durante l’incontro con Prodi per presentare l’Appello sull’integrazione dei Balcani in Europa

10/04/2002, Redazione -

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Giulio Marcon

Gentili Signori rappresentanti delle organizzazioni di volontariato e della pace di tanti paesi europei
Gentili rappresentanti delle comunità e degli enti locali
Gentile Sindaco di Sarajevo, Signor Hamamdzic
Gentile Presidente, Prof. Prodi

Da ieri mattina più di 350 rappresentanti di ONG, associazioni, gruppi di base, Enti locali hanno discusso e si sono confrontati sulle prospettive della costruzione di quella che abbiamo chiamato l’"Europa dal basso", un’iniziativa che ha visto collaborare insieme la Municipalità di Sarajevo – che ancora ringraziamo – l’Osservatorio sui Balcani, l’ICS-Consorzio Italiano di Solidarietà.

Rappresentanti di organizzazioni che sono già venuti molte volte negli anni ’90 nei Balcani: migliaia di volontari e pacifisti con azioni di solidarietà e di pace, di aiuto umanitario e di cooperazione.

Abbiamo discusso come migliorare la cooperazione tra di noi, come incoraggiare iniziative comuni verso le istituzioni europee, come sostenere la promozione dei diritti umani, della democrazia, della cittadinanza nell’Europa che vogliamo costruire insieme.

Un’Europa – quella di cui abbiamo discusso in questi due giorni – fondata sulla partecipazione popolare e democratica, sul ruolo della società civile organizzata, delle comunità e delle autorità locali, delle regioni.

Un’Europa che abbia alla sua base i valori dei diritti umani, della solidarietà, dell’inclusione sociale, dell’integrazione e della cooperazione, della pace, del rifiuto della guerra, in qualsiasi modo e con qualunque aggettivo la si voglia definire.

Ne abbiamo discusso proprio a dieci anni dall’inizio di una guerra che ha sconvolto non solo i Balcani, ma tutta l’Europa. E che dell’Europa ha mostrato in quei drammatici anni ’90 le tante debolezze e contraddizioni, i limiti di un’azione che non è stata capace di prevenire la guerra e di costruire una pace fondata sul rispetto dei diritti umani, sulla dignità dei popoli, sulla democrazia.

Quando abbiamo voluto ricordare la necessità di costruire un’ "Europa dal basso" non abbiamo voluto rimarcare in modo demagogico facili contrapposizioni con i livelli istituzionali e politici dell’Unione e della Commissione, ma sottolineare semplicemente un dato: senza un significativo processo di partecipazione democratica e popolare, senza una dimensione sociale, senza una vera cittadinanza diffusa, non potrà darsi un’Europa che abbia basi e prospettive certe. L’Europa senza la democrazia non potrà mai vedere la luce. Nessuna demagogia, ma nemmeno nessuna retorica su una società civile vezzeggiata o considerata come un orpello, ma raramente investita di una vera responsabilità.

La sua presenza oggi a Sarajevo – Presidente Prodi – e il suo ascolto delle nostre riflessioni e ragioni non possono che nutrire la nostra fiducia e la speranza verso quell’Europa cui aspiriamo e che è fatta di dialogo tra le istituzioni e la società civile. Queste sono le aspettative che abbiamo anche dai lavori della Convenzione appena inaugurati in vista di una Costituzione che, speriamo, allarghi gli spazi della democrazia, della partecipazione e della cittadinanza.

Anche nella prospettiva di un progressivo allargamento dell’Unione Europea ai paesi dell’Europa sud e centro orientale. Vorremmo qualcosa dei buoni auspici, vorremmo una data certa: potrebbe essere il 2007 – il cinquantesimo anniversario dei Trattati di Roma – l’anno dell’entrata dei Balcani nell’Unione Europea, l’anno della ricomposizione delle due Europe. Noi l’abbiamo sempre detto: i Balcani non sono altra cosa dell’Europa, sono l’Europa. L’integrazione non deve essere percepita come un prezzo da pagare, ma come un’opportunità da cogliere, di sviluppo, di pace e di cooperazione.

Come ha ricordato in un’altra occasione il Sindaco di Sarajevo, Signor Hamamdzic, in assenza di questa prospettiva, "c’è il rischio che i paesi in transizione siano letteralmente tagliati fuori dall’occidente" e che "si costruiscano nuovi muri" tra l’Europa di "serie A" e l’Europa di "serie B".

Questo vale per i Balcani, ma anche per il Mediterraneo, a maggior ragione di fronte ai drammi che sta vivendo il Medio Oriente in queste ore: l’Europa faccia sentire più alta la sua voce – anche con un’iniziativa autonoma – per fermare il massacro della popolazione civile e per far rispettare i diritti umani e le risoluzioni delle Nazioni Unite disattese che chiedono delle cose chiare: la fine dell’occupazione dei territori palestinesi, la lotta al t[]ismo che colpisce persone inermi, la creazione di uno Stato Palestinese accanto a quello di Israele.

C’è bisogno di coraggio politico di fronte alle nuove sfide dell’Europa, ci siamo detti in questi due giorni di convegno, impegnandoci in uno sforzo di lavoro comune e unitario: per un’Europa della coesione sociale e non del neoliberismo selvaggio; per un’Europa dell’integrazione e non dell’esclusione economica e sociale; per un’Europa della pace e non del nazionalismo o della geopolitica dei potenti; per un’Europa della convivenza e non delle barriere contro gli immigrati e i richiedenti asilo.

Non ci si può commuovere e rivendicare "l’ingerenza umanitaria" per le fiumane dei profughi della pulizia etnica e delle guerre salvo poi respingerli alle frontiere – i curdi come gli afghani, i rom come tante altre minoranze – quando scappano dalle persecuzioni e dai conflitti. I flussi migratori non sono un flagello. Vanno governati, non impediti. Una politica comune europea, in materia di immigrazione, non può riguardare solo le frontiere e la gestione dell’ordine pubblico, ma anche le politiche positive: l’integrazione, i diritti, la cittadinanza. E ci vuole meno ipocrisia e più coerenza.

I principi della convivenza e della multietnicità vanno difesi non solo a Sarajevo e a Pristina, ma anche a Francoforte e a Parigi, a Roma e a Copenhagen, a Bruxelles e a Strasburgo.

Il 6 aprile per Sarajevo non è solo un anniversario triste – l’inizio della guerra in Bosnia Erzegovina – ma anche il ricordo di un giorno felice: la liberazione dall’oppressione nazifascista e la vittoria su quei disvalori che quell’oppressione aveva cercato di inculcare: la violenza, l’autoritarismo, l’antisemitismo e il razzismo, la barbarie.

E’ proprio un messaggio nel segno di quel bel giorno di festa – di liberazione e di giustizia – che da Sarajevo con l’"Europa dal basso" vogliamo anche noi trasmetterle, Presidente Prodi, il nostro impegno per costruire con la partecipazione popolare e democratica un futuro comune di solidarietà e di pace.

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