Indexi: buon compleanno leggenda!
Il 23 settembre del 1946 nasceva a Sarajevo Davorin Popović, frontman e cantante della mitica band di Sarajevo "Indexi". Un ricordo
Davorin Popović, frontman e cantante della mitica band sarajevese “Indexi” oggi avrebbe compiuto 73 anni. Ci ha lasciato troppo presto, 18 anni fa. Da quel 18 giugno del 2001 Sarajevo è sicuramente rimasta impoverita. Lui era Sarajevo e Sarajevo era lui.
Davorin Popović, Dačo, Pimpek e alla fine – Il Cantante – così si descriveva non volendo mai essere reputato di più di quello che nella vita faceva con il suo leggendario e fino ad oggi insuperabile gruppo di musica pop rock progressiva di nome “Indexi”. Ma era molto di più.
Da promessa sportiva a rivoluzionario del rock progressivo
Davorin nasce nel 1946 da una famiglia originaria della bella isola di Hvar (Lesina), in Croazia. Pochi lo sapevano e nella sua Sarajevo non era importante. Diventò famoso nella propria città già da giovanissimo, come ottimo pallavolista e cestista. Nel mondo della pallacanestro nei primi anni sessanta figurava come “il migliore che la città di Sarajevo avesse mai visto”. Per il “KK Zeljezničar” la seconda squadra per importanza nella città, ha giocato più di 500 partite. Resterà ricordato come il ragazzo a cui la palla si attaccava alla mano. Riusciva a fare l’impossibile. Anche se né alto né robusto come gli avversari, spesso portati alla disperazione a causa del suo modo di giocare.
Da studente – della Facoltà di Scienze Politiche – comincia sempre più a dedicarsi alla musica. Dal 1968 smette di praticare sport. Nel mondo dei cosiddetti VIS (gruppo vocale e strumentale) approda nel 1962 con la band “Lutalice” (Vagabondi) e dal 1964 fino al decesso nel 2001 resta sempre fedele e inseparabile dalla sua band “Indexi”. Insieme a lui vi erano Slobodan Bodo Kovačević, il miglior chitarrista della ex Jugoslavia – anche se si è scoperto più tardi – e Fadil Redžić, il basso elettrico più originale che quella terra abbia mai dato. Il duo dei Lennon /McCartney bosniaci daranno al gruppo e alla discografia jugoslava in generale grandi e intramontabili successi musicali. Il fatto che i tre si trovassero insieme era un buon inizio di una storia diventata unica e non solo nel mondo della musica bosniaco erzegovese e jugoslava. Alla batteria poi c’era Ismet Arnautalić e alla chitarra ritmica Đorđe Kisić.
Fin dall’inizio era chiaro che i ragazzi avevano, oggi si direbbe, il fattore X. Appena Il Cantante – dopo i primi due anni di carriera – riuscì a riconoscere e consolidare la dote che probabilmente aveva dalla nascita: una voce potente ma sofisticata, definita come tante “voce nasale” (voci sempre particolari) ma dal timbro molto raro. Difficile da imitare, anche quando si trattava di imitazioni a scopo umoristico. Il Cantante riusciva a dare il massimo delle corde vocali quando gli altri di solito rimanevano senza fiato. Proprio come lo definisce la medicina “la risonanza nasale aiuta ad eliminare lo sforzo delle corde vocali”. E di conseguenza il canto di Davorin Popović, dal vivo o no, faceva un effetto straordinario.
Le cose per gli Indexi partirono a gonfie vela dopo la vittoria di un festival a Belgrado nel 1963. Il premio fu la possibilità di registrare un singolo. Uscì il loro primo disco con quattro temi strumentali stile Shadows. Una curiosità che li porterà nelle acque della musica d’autore era il fatto che le emittenti radio, Radio Sarajevo compresa, nei primi decenni del dopoguerra evitavano in tutti i modi di mandare in onda canzoni cantate in inglese, anche se da gruppi jugoslavi. Si favoriva la madre lingua ufficiale, ovvero il serbocroato.
Già nel 1967, individuata la strada dell’avvicinamento al pubblico, parteciparono ad un altro festival, la prima edizione dell’allora importante “Vas šlager sezone”- (Vostra canzone della stagione) con un brano scritto da Popović e Kovačević intitolato “Litighiamo per le piccole cose”. Un grande successo musicale: gli “Indexi” spazzarono via ogni concorrenza esistente nell’ambito dei gruppi musicali degli anni Sessanta.
Seguirono tre concerti a Londra e in Bosnia si iniziò a scherzare dicendo che in quell’occasione Freddie Mercury copiò l’idea del suo look proprio dal Cantante.
La fine degli anni Sessanta ed il decennio successivo furono gli anni d’oro per i “fabulous five” di Sarajevo. Anche quando gli studi musicali di registrazione (in uno dei casi proprio quello di capofila “Jugoton” di Zagabria) si rifiutarono di pubblicare qualche brano come nel 1969 quello straordinario di nome “Plima” (La Marea): boicottato per tre lunghi anni ma una volta uscito nessuno più lo poteva fermare. Brano considerato antologico ed il primo caso di un “prodotto jugoslavo” completamente rock (ovviamente stando ai tempi che correvano) cantato in lingua madre e con un arrangiamento musicale “senza tempo”. Il loro modo di suonare virtuoso e abbastanza libero dai cliché degli anni Settanta e la voce originale ed innovativa del Cantante li tenevano sempre su nelle classifiche anche quando alla fine degli anni Settanta e nei primi anni Ottanta nuove tendenze musicali e nuovi talenti cominciarono ad affermarsi. Alla fine: 3 album usciti dagli studi musicali, 27 dischi single, 7 compilation e 2 live album musicali e quasi 40 anni di carriera mai interrotta, tranne negli anni dell’assedio di Sarajevo. Tutto ciò non potrebbe brillare di più.
L’anima della sua Sarajevo e le menzogne della propaganda
Il Cantante non lascerà mai la propria città. Nemmeno quando tanti artisti durante gli anni bui di orrore favorirono il buon senso contro i sentimenti e con qualche valigia decisero di cercare la salvezza ovunque. Sarajevo ha fatto molta fatica a perdonare questi ultimi ma anche in questo Il Cantante era controcorrente. Non li giudicava. “Quando scoppia il pandemonio nemmeno chi pensa di conoscere se stesso sa come reagirà”, diceva. Cercava e invitava i suoi concittadini a fare il possibile affinché tutti coloro che avevano lasciato Sarajevo tornassero. Per renderla quella di prima. “Questo, adesso dopo la guerra, è il nostro compito”, ha ribadito in varie occasioni.
Il giorno prima dell’assedio di Sarajevo Davorin e un calciatore noto, Safet Sušić, ricevettero una telefonata direttamente da Željko Ražnjatović Arkan, poi conosciuto meglio per i crimini contro i non serbi in Bosnia. Arkan telefonò per dire loro di scappare subito via. Sapeva bene che cosa sarebbe seguito il giorno dopo. Qualche anno dopo Davorin darà la conferma di questa telefonata in una trasmissione televisiva.
Davorin si rifiutò di andarsene e fu messo sulla lista nera della macchina propagandistica del regime di Slobodan Milošević. Su giornali serbi come Politika, Večernje novosti e Politika Express per alcuni mesi si scriveva del “Mostro di Sarajevo” e della sua supposta gestione dello Zoo di Sarajevo dove avrebbe aperto anche una cella di reclusione per i serbi con cui cibava i leoni…
Così un giornalista serbo di spessore, Petar Luković, ricordava quanta ingiustizia è stata fatta ad uno come Davorin in un articolo intitolato “Nije gotovo” (Non è finita) scritto per dare l’addio al Cantante, deluso profondamente perché questa menzogna non è mai stata ufficialmente smentita e chi la diffondeva sui giornali non è mai stato sanzionato.
Ricordi indelebili
Dopo la triste notizia della morte di Davorin, Ahmed Burić, giornalista bosniaco e corrispondente di Obct, scrisse con molta tenerezza e altrettanta schiettezza per il settimanale BH Dani di quello che Il Cantante era al di fuori del mondo musicale.
Tra le varie cose Burić, nel suo testo del 2001, ha riportato una testimonianza confermata personalmente da uno dei suoi protagonisti, l’allenatore di Judo Brane Crnogorac.
“In seguito ad un avvertimento delle forze serbo-bosniache agli abitanti di Faletići, una frazione di Sarajevo, di abbandonare le case o altrimenti sarebbero stati tutti uccisi, Davorin decise di formare una delegazione composta da sportivi con una certa reputazione in città. Era il luglio del ’92 e dopo aver sentito che tra i soldati serbi vi erano dei giovani pugili e altri atleti attirati dalla ‘causa nazionale’ cercò di puntare sulla solidarietà e su quel legame che tra sportivi esiste tacitamente. La delegazione alla fine fu composta da Brane Crnogorac, un dirigente dei Servizi di sicurezza, un selettore della squadra nazionale di pugilato e da Davorin. Quel mattino, completamente disarmati, si avviarono verso il primo posto di blocco delle forze serbo-bosniache per incontrare chi comandava i soldati, giovani fuggiti da Sarajevo. Lì Davorin si scatenò dando lezioni di patriottismo a chi gli stava davanti: rimproverò i giovani soldati serbi cercando di convincerli a non distruggere la propria città. Li invitò a tornare a casa con toni aspri e quando gli risposero che il loro posto era lì, con il proprio popolo, lui ribatteva ancora più forte chiedendo se questo significava che lui non era ‘del loro popolo’. Infine insoddisfatto di quanto ottenuto chiese agli interlocutori di portarlo ‘su dai capi’. Quando gli risposero che sopra non c’era più nessuno e poteva andare soltanto da Milošević i suoi amici lo costrinsero a tornare in città”.
Ultime imprese
Nonostante la propaganda nazionalista fosse impegnata contro qualsiasi forma presente o futura di convivenza in Bosnia Erzegovina infangando lui e i suoi Indexi tenne un concerto, i cui biglietti andarono esauriti, proprio a Belgrado il 24 aprile 1998. Lo fece quando nessun artista bosniaco osava farlo. A soli 3 anni dalla guerra, mettendo così l’opinione pubblica a dura prova e dividendola decisamente. Senza timore gli Indexi, come nei tempi di gloria, si presentarono davanti al pubblico serbo smontando ogni accusa fatta al Cantante con la loro musica invincibile. Dopo Belgrado seguì Novi Sad, un altro successo.
L’ultimo concerto regalato alla loro città dagli Indexi fu nell’ottobre del 2000. L’ultima volta che gli Indexi si sono esibiti insieme è stato il cinque maggio del 2001, a Banja Luka (altra roccaforte dalla quale qualche anno prima partivano le “accuse” contro di lui). Nonostante le sue condizioni di salute fossero ormai più che precarie lui non volle assolutamente cancellare quel concerto.
Davorin Popović – Il Cantante, morirà nemmeno un mese dopo. Le autorità sarajevesi hanno voluto ricordarlo dedicandogli una via – totalmente periferia – , un “monumento” di vetro e, forse la miglior cosa che potessero fare, hanno commissionato a giugno di quest’anno un murales in via Radićeva, in centro città: il Cantante adesso è uno dei pochi, insieme a David Bowie , che ci guarda dall’alto delle facciate della città.