L’Albania ha eletto il nuovo Presidente della Repubblica. Alla quarta e penultima votazione parlamentare, la maggioranza di centrosinistra si è riscoperta compatta dopo un lungo periodo di incertezze ed esitazioni. Il Movimento Socialista per l’Integrazione (LSI), principale alleato del Partito Socialista (PS) del Premier Edi Rama, ha candidato il suo leader Ilir Meta. Con il sostegno di tutti i partiti di maggioranza, la mozione è passata con 87 voti su 140. Dal 24 luglio sarà lui, ex Premier e attuale presidente del Parlamento, creatore del cosiddetto “terzo polo” e ago della bilancia della politica albanese, a ricoprire la massima carica del paese.
Il politico
Classe 1969, laurea in economia e una carriera folgorante iniziata con la militanza nel Partito Socialista dai tempi della sua fondazione, Ilir Meta diventa deputato nel 1992 e viene eletto in tutte le successive legislature. Nominato presidente del Consiglio nel 1999, appena trentenne, si dimette dall’incarico tre anni dopo, a causa di incomprensioni con l’allora leader socialista Fatos Nano. Nel 2004 lascia il Ps per fondare il Movimento Socialista per l’Integrazione, passo che di recente Meta ha definito come “il più importante” nel suo percorso politico.
Alle politiche del 2005 l’LSI supera l’8% delle preferenze, e la sinistra perde contro un redivivo Sali Berisha uscito incredibilmente indenne dalla crisi del 1997; a seguito di quell’elezione Edi Rama assume la guida del Partito Socialista. Con la segreteria Rama PS e LSI ritrovano l’intesa: i due partiti si ripresentano insieme alle amministrative del 2007 e la sinistra unita vince nelle più importanti città del paese. Ogni segnale di collaborazione sfuma però con le modifiche costituzionali del 2008, quando al tavolo negoziale Rama e Berisha ignorano lo sciopero della fame di Meta in corso dentro al Parlamento. Alle politiche del 2009 il Movimento di Meta riesce lo stesso a superare la soglia di sbarramento introdotta dalla nuova legge elettorale voluta da Rama e Berisha, e decide di mettere a disposizione della risicata maggioranza di quest’ultimo i suoi quattro seggi, garantendo una seconda legislatura al governo di centrodestra.
A tre mesi dalle elezioni del 2013, Edi Rama, testa bassa e denti stretti, invita pubblicamente Ilir Meta a lasciare il governo di Sali Berisha per tornare in seno al centrosinistra. Nonostante la contrarietà del “popolo socialista”, pronto ad indignarsi, la coalizione ottiene una maggioranza schiacciante in Parlamento – e il Movimento Socialista per l’Integrazione guadagna 16 seggi (che nel corso della legislatura diventeranno 20). Rama assume finalmente la guida del governo e Meta diviene presidente del Parlamento.
Le accuse di corruzione: un passato dimenticato
Sembra storia di un’altra epoca, ma era meno di sette anni fa. Nel dicembre 2010, il deputato LSI Dritan Prifti, all’epoca ministro dell’Economia, pubblica di proposito un video in cui con Ilir Meta, al tempo vice-Premier e ministro degli Esteri nel governo di centro-destra, discute di appalti truccati, nomine clientelari nell’amministrazione pubblica e mazzette da 700.000 euro. Alla messa in onda segue la violenta protesta organizzata dai socialisti con alla testa Edi Rama: il 21 gennaio 2011, di fronte al Palazzo del governo, la Guardia della Repubblica spara sulla folla, uccidendo quattro manifestanti.
Negli anni successivi, la violenza del governo democratico, disposto ad aprire il fuoco sul pubblico dissenso, diventerà un cavallo di battaglia della rimonta politica del Partito Socialista; una battaglia “di principio” che però, nel 2013, non ha impedito a Edi Rama di chiamare in coalizione l’uomo al centro dello scandalo che scatenò la manifestazione. Nel frattempo, la giustizia albanese ha dichiarato “falso” il video e Meta è stato scagionato.
Un degno rappresentante della nazione
Con Ilir Meta, l’Albania ha il suo settimo Presidente dalla fine del regime. Il Parlamento ha osservato le disposizioni costituzionali e le forze politiche hanno rispettato regole e istituzioni, risolvendo almeno una delle crisi che incalzavano e rispondendo in questo modo anche all’azione extraparlamentare dell’opposizione. All’indomani dell’elezione, buona parte dell’opinione pubblica si è lasciata andare ancora all’indignazione: a ricoprire la più prestigiosa carica dello stato sarà il politico immagine della corruzione e il presidente del più clientelare dei partiti, il simbolo del tradimento che ha posto fine all’era Berisha.
Ma Ilir Meta è anche, a ben vedere, il risultato di un logico e triplice ragionamento politico: un razionale calcolo costi-benefici che, come nei migliori contratti siglati tra uomini d’affari, è stato limato da entrambe le parti.
Primo calcolo: Meta e il suo partito non rappresentano solamente un “terzo polo”, ma una continuità di potere e di interessi che in Albania è trasversale all’alternanza – per molti versi solamente “inscenata” – tra destra PD e sinistra PS. Nel nome dei suoi interessi personali, si può dire che Meta sia effettivamente “super partes”: è un uomo politico che ha dimostrato di poter governare sia con Berisha che con Rama. Appoggiandone l’elezione nel momento in cui un PD certo della sconfitta minaccia di non partecipare alle elezioni politiche del 18 giugno, la maggioranza PS sembra affidare al suo scomodo “alleato” il suo tradizionale ruolo di mediatore. Spetterà al “Meta presidente di tutti e di nessuno” il compito di riportare il PD nell’agone del confronto democratico – al solo fine, s’intende, di legittimare la già annunciata vittoria socialista.
Secondo calcolo: indicando Meta, Rama conta di aver rinchiuso nella gabbia dorata dell’immunità istituzionale il più scomodo dei suoi alleati, l’unico che nei fatti avrebbe potuto contendergli la guida del paese. Con Meta lontano dal suo partito e dalla contesa politica, il cammino di Rama verso la riconferma è infinitamente più agevole.
Terzo calcolo: con questa parentesi presidenziale, Meta non va certamente a concludere la propria magistrale carriera politica; si mette piuttosto in una quiescenza temporanea, una pausa transitoria e cascata a pennello, in tempi politicamente e giudiziariamente incerti. Con poteri limitati dalla recente riforma giudiziaria voluta dall’Europa, ma forte dell’immunità che la nuova carica gli garantisce, il Leviatano della politica albanese potrà osservare da una lussuosa distanza di sicurezza la credibilità delle promesse fatte da Bruxelles: a verificare se con la riforma del sistema giudiziario in corso di attuazione cominceranno effettivamente a saltare alcune teste del sistema o se sarà l’attuale sistema politico, corrotto e colluso, a spuntarla e a restare in carica, camuffato e legittimato da riforme che rimarranno sulla carta.
Fuori da qualsiasi calcolo, come sempre, c’è l’Albania con i suoi abitanti.