Il velo e le bombe
Ore di tensione in Turchia dopo le esplosioni di Istanbul. Il Paese attende la decisione della Corte Costituzionale sulla messa al bando del partito di governo AKP per attentato alla laicità. Rinviata a giudizio l’organizzazione t[]istica Ergenekon
Un giorno dopo la presentazione del testo d’accusa a carico dell’organizzazione segreta Ergenekon e un giorno prima che iniziasse il processo per la chiusura dell’AKP (Adalet ve Kalkinma Partisi, Partito della Giustizia e dello Sviluppo), la sera del 27 luglio scorso, la Turchia è stata scossa violentemente dallo scoppio di due bombe nel quartiere Güngören di Istanbul. Le esplosioni hanno causato fino ad ora la morte di 17 persone e circa 150 feriti, 15 dei quali sono in gravi condizioni. La prima bomba, nascosta in una cabina telefonica, sarebbe stata utilizzata come "esca" per attirare un maggior numero di persone, e colpire i soccorritori dei primi feriti. La seconda bomba, dall’effetto devastante, era invece stata piazzata in un cassonetto della spazzatura. Entrambi gli ordigni sarebbero stati attivati a distanza. L’attentato è stato messo a punto in una zona particolarmente popolata di Istanbul, in un’area pedonale e in un’ora in cui molte persone si trovavano fuori a passeggio.
La polizia ha avviato immediatamente un’indagine di ampia portata controllando tutte le riprese fatte dalle telecamere di sorveglianza (MOBESE) e dalle ditte dell’area provviste di un circuito di monitoraggio. Il sindaco di Istanbul, Muammer Güler, che ha rilasciato una dichiarazione dopo l’attentato, ha escluso un possibile collegamento di questo attentato con quello realizzato il 9 luglio scorso al consolato statunitense della città, in cui avevano perso la vita sei persone. Alla domanda posta da un giornalista, se il responsabile dell’attacco fosse il PKK, il partito dei lavoratori del Kurdistan, il sindaco ha risposto: "E’ evidente il collegamento con un’organizzazione separatista. Ci stiamo lavorando. Speriamo di ottenere dei risultati al più presto" (Radikal, 28.07). Nonostante non sia arrivata nessuna rivendicazione dell’attentato da parte del PKK, e le ricerche siano ancora in corso, anche il segretario generale del CHP (Cumhurriyet Halk Partisi, Partito Repubblicano del Popolo) Deniz Baykal e il premier Recep Tayyip Erdoğan, nelle prime dichiarazioni, hanno lasciato intendere di ritenere il PKK responsabile dell’attacco. Il co-segretario generale del partito curdo DTP (Partito della società democratica), Ahmet Türk, ha tuttavia condannato l’attentato, protestando contro le affrettate accuse rivolte al PKK e affermando che l’attacco, volto a sconvolgere la pace interna del Paese, mira a creare il caos.
Il primo ministro turco ha annullato il consiglio dei ministri in programma ad Ankara per recarsi sul luogo dell’attentato, dove ha dichiarato che "è il momento di stare uniti. Più riusciremo a essere uniti e solidali come popolo e isolare il t[]ismo, maggiore sarà la nostra riuscita." Tra i leader dei partiti politici, Baykal (CHP) ha esortato le persone a riversarsi sulle strade per protestare contro i responsabili dell’aggressione, seguendo l’esempio dei cittadini spagnoli dopo l’attentato a Madrid del 2004: "Dobbiamo mettere in atto una campagna di condanna nazionale e fare in modo che chi ha compiuto questa azione non possa più ripeterla". Il segretario generale dell’MHP (Milli Hareket Partisi, Partito di Azione Nazionale) Devlet Bahçeli ha auspicato misure più severe per far fronte a simili avvenimenti.
Il capo di Stato maggiore Yaşar Büyükanıt, dal canto suo, ha detto: "Questo accadimento accrescerà la coesione della nostra lotta al t[]ismo e ci renderà più decisi nell’affrontarla". Condanne all’attentato sono arrivate anche dai sindacati dei lavoratori TÜRK-İŞ, DİSK e KESK e dalle associazioni e confederazioni degli imprenditori turchi.
Dopo che, nelle ore immediatamente successive all’attentato, le ipotesi sui responsabili hanno incluso dal PKK (indicato dal quotidiano Hürriyet come il responsabile diretto) ad Al Qaeda, diverse analisi e commenti si sono concentrati sulla cosiddetta Gladio turca, Ergenekon, organizzazione t[]istica che avrebbe come obiettivo quello di trascinare il Paese nel caos e spianare la strada ad un colpo di Stato (Taraf 29.07).
Sta di fatto che le esplosioni hanno coinciso con un momento in cui la Turchia ha gli occhi puntati sugli sviluppi di due processi estremamente importanti per il futuro del Paese: quello contro alcuni esponenti di Ergenekon, appunto, e quello che dibatte la possibile messa al bando dell’AKP, il partito a capo del governo, accusato dal procuratore generale di Istanbul di anti-laicità.
L’accusa presentata dalla procura della Repubblica di Istanbul contro Ergenekon coinvolge numerose personalità della scena pubblica turca, sospettate di essere coinvolte in un piano per realizzare un colpo di Stato e rovesciare il governo. L’atto di accusa è stato accolto dal XIII tribunale penale di Istanbul qualche giorno fa, ma viste le numerose imputazioni e le ottantasei persone coinvolte, il percorso non sembra essere breve.
E’ invece imminente la decisione che dovrà prendere la Corte costituzionale sul destino dell’AKP, partito eletto a larga maggioranza per la seconda volta nel 2007 a governare il Paese. Il procuratore della Corte di Cassazione, Abdurrahman Yalçınkaya, aveva presentato il ricorso il 14 marzo scorso, accusando il partito del premier Tayyip Erdoğan di essere un "centro propulsore di anti-laicità" e chiedendone la chiusura insieme all’allontanamento per 5 anni dalla scena politica di 71 suoi esponenti, inclusi lo stesso premier Erdoğan e il presidente della Repubblica Abdullah Gül. Uno dei motivi principali della formulazione dell’accusa consiste nell’emendamento, approvato in parlamento, che permette il libero accesso all’università per le ragazze con il velo. Un successivo intervento della Corte costituzionale, il 5 giugno scorso, aveva peraltro abolito la decisione parlamentare reintroducendo il divieto di portare il velo nelle università.
In base alla Costituzione, la Corte deve raggiungere almeno 7 voti su 11 per poter decidere a favore della soppressione del partito. Secondo l’articolo 69 della Costituzione, la Corte potrebbe tuttavia anche decidere di limitarsi a "privare il partito interamente o in parte dell’utilizzo dei fondi della tesoreria" (Radikal 28.07). Un’eventuale decisione di messa al bando del partito porterebbe la Turchia ad elezioni anticipate escludendo naturalmente dalla partecipazione il premier Erdoğan e la maggior parte degli esponenti dell’AKP, con conseguenze imprevedibili sulla stabilità delle istituzioni.