Il vecchio e i tulipani
Nel villaggio ceceno di Duba-Yurt, pesantemente segnato dalla guerra che ha colpito la regione negli anni Novanta, un anziano coltiva tulipani. Uno sprazzo di colore e speranza in tempi bui. Una storia vera che a tratti sembra una favola
Nel villaggio ceceno di Duba-Yurt sono capitata la prima volta nel 1998. Io e un gruppo di giornalisti televisivi stavamo girando un servizio su una donna a cui avevano ucciso cinque figli nella prima guerra cecena. Le strade erano distrutte e la vecchia auto russa su cui viaggiavamo non faceva che infilarsi in enormi solchi, buche e pozzanghere. Quando la nostra Žigulì si incastrò nel fango dell’ennesima stradina di campagna, notai dei gruppi di bambini che entravano e uscivano da un cortile. Entravano a mani vuote e uscivano con enormi mazzi di tulipani colorati.
Mentre il nostro autista, insieme al cameraman e al tecnico del suono, tentava invano di tirare fuori la macchina da una buca, io osservavo i bambini e cercavo di capire da dove sbucassero tutti quei tulipani. Alla fine, concluso che probabilmente in quel cortile c’era qualche tipo originale che teneva un negozio di fiori, mi avvicinai incerta per gettare uno sguardo. Volevo proprio vedere chi era che, in quei tempi così bui, poteva pensare di dedicarsi ad un’attività così poco redditizia.
Era un tipico cortile da villaggio ceceno, accuratamente spazzato. Di fronte alla casetta dipinta di bianco c’era una giovane donna. La salutai e dissi che volevo comprare dei fiori. “Non vendiamo fiori”, sorrise lei. “Ma i bambini…”. Non riuscii a finire la frase. Dal cortile posteriore uscì un vecchio di circa settant’anni. In mano aveva un mazzo di tulipani. “Mettili davanti alla porta” disse alla donna, “così chi vuole può prenderli”. E solo allora si accorse di me.
Ahmad era un vecchietto sorprendente. Piccolo di statura, grandi mani vivaci, non emanava quell’aria solenne di calma e saggezza che colpisce incontrando altri anziani ceceni. Al contrario, Ahmad era pieno di vita, pieno di gioia e di un entusiasmo quasi fanciullesco. Facemmo amicizia molto in fretta: lui, un settantenne che coltivava tulipani in un villaggio dimenticato da Dio e distrutto dagli uomini; io, una giornalista che da tempo non scriveva se non di guerra e miseria umana.
Ahmad coltivava tulipani. Erano quarant’anni che piantava fiori negli 800 metri quadri di terreno che aveva dietro casa. Tutto era iniziato in esilio, raccontava. Nel 1944, quando Stalin aveva ordinato di deportare il popolo ceceno in Asia centrale, Ahmad era finito in Kirghizistan. Lì aveva visto, per la prima volta in vita sua, i boccioli di tulipani rosso sangue: era stato amore a prima vista, e per tutta la vita. Tredici anni dopo, con la morte di Stalin, l’inizio del cosiddetto disgelo in Unione Sovietica e la riabilitazione del popolo ceceno, i sopravvissuti poterono tornare in patria. Ahmad portò con sé bulbi e semi di tulipano. Da quel momento, ogni volta che i suoi vicini seminavano mais e frumento, Ahmad, stagliandosi come un corvo bianco sullo sfondo dei suoi compaesani, si dedicava ai suoi amati fiori. Questo gli guadagnò la fama di matto del villaggio. I vicini avrebbero potuto capirlo, se almeno li avesse venduti. Ma in quarant’anni Ahmad non aveva venduto un solo fiore. Li regalava a compaesani e ai parenti. Ai passanti, ai bambini che andavano a scuola, agli insegnanti. All’ospedale locale. A tutti.
Ahmad poteva parlare per ore dei tulipani e delle loro varietà, sfumature, particolarità. In Cecenia era appena finita la guerra che aveva ucciso oltre centomila persone. L’intero paese giaceva in rovine. Ognuno tirava avanti come poteva. Ma Ahmad viveva dei suoi fiori, come un alieno sbarcato sulla Terra nel bocciolo di quel primo tulipano visto una volta nelle distese sterminate e ostili dell’Asia centrale.
Una volta mi raccontò una leggenda sul tulipano giallo. Nel bocciolo del tulipano giallo, raccontava Ahmad, si nascondeva la felicità. Per molti secoli il fiore giallo non si schiuse, e nessuno poteva raggiungere la felicità. Molte persone cercarono di schiudere il bocciolo del fiore giallo, ma invano. Ma un giorno, un bambino piccolo vide un bellissimo fiorellino giallo, rimase impietrito dall’emozione e infine, sorridendo, si avvicinò al tulipano. Non sapeva che dentro il fiore si nascondeva la felicità, era la bellezza di quel fragile bocciolo a sconvolgerlo. E proprio in quel momento il bellissimo tulipano si schiuse…
Un anno e mezzo dopo, in Cecenia iniziò un altro conflitto. Io continuai ad occuparmi di cronache di guerra. Di Ahmad e dei suoi fiori non ebbi notizie per molto tempo. Non c’era tempo per i fiori, nei primi anni di guerra. Ma nella primavera del 2004 andai comunque a Duba-Yurt, da Ahmad. Ci andai pregustando gioiosamente l’incontro, sicura che, come in passato, il vecchietto mi sarebbe venuto incontro con il suo sorriso fanciullesco e un enorme mazzo di meravigliosi tulipani.
Ma Ahmad non mi venne incontro, né col sorriso né con i tulipani. Era morto quattro anni prima, mi disse la figlia, la giovane donna che mi aveva stupita con la frase “non vendiamo fiori”. Era morto all’inizio della seconda guerra, ucciso dai frammenti di una bomba. Gli aerei russi quel giorno avevano bombardato alcuni villaggi dell’altopiano. Una di quelle bombe era caduta sul campo di tulipani di Ahmad.