Il ruolo dell’Unione Europea nell’accordo sull’Unione di Serbia e Montenegro
Pubblichiamo un abstract in italiano del rapporto curato dall’International Crisis Group sulla ridefinizione dei rapporti tra la Serbia e il Montenegro, con particolare riguardo al ruolo della UE.
A cura di Tania Russo.
Il rapporto, del 7 maggio 2002, analizza le modalità con cui Serbia e Montenegro sono giunte all’accordo del 14 marzo sulla creazione di una nuova comunità statale ( l’Unione di Serbia e Montenegro, che dovrà sostituire la Repubblica Federale di Jugoslavia) e il fondamentale ruolo assunto dall’Unione Europea durante le fasi negoziali, sollevando un dubbio circa l’opportunità di un intervento così vigoroso per mantenere unite le due repubbliche. Il 14 marzo del 2002 è stato firmato a Belgrado, dai leader serbi, montenegrini e della Federazione Jugoslava (RFJ), un accordo che prevede la sostituzione della Repubblica Federale stessa con un’unione degli stati di Serbia e Montenegro. L’accordo è stato elaborato in modo da garantire la massima autonomia ai due stati-membri, tanto che l’unione risulterebbe in realtà percepibile unicamente dal punto di vista della personalità internazionale. A rendere possibile tale compromesso è stato l’attivo intervento dell’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione Europea Javier Solana. Appena pochi mesi prima – nell’ottobre 2001 – i leader della regione, consapevoli dell’impossibilità di conciliare le rispettive posizioni, si erano dichiarati d’accordo sulla decisione di indire un referendum in Montenegro che ne sancisse la separazione dal resto della Federazione. L’intervento dell’Unione Europea si è dunque inserito in una fase in cui le trattative tra Serbia e Montenegro apparivano ormai prossime ad un’intesa: nel novembre del 2001 Solana, in visita a Belgrado e a Podgorica, affermò che un’eventuale indipendenza del Montenegro avrebbe seriamente compromesso il processo di integrazione europea. Ribadendo alle argomentazioni di Solana e degli esperti dell’UE, il Montenegro tentò in un primo momento di sottolineare il proprio impegno riguardo l’integrazione e l’armonizzazione del mercato a livello regionale (ricordando di avervi ad esempio contribuito tramite l’adozione di tariffe doganali inferiori a quelle della Serbia), e sostenne che un’autonomia del Montenegro in relazione alla sfera economica non avrebbe necessariamente comportato pericoli ai fini dell’integrazione regionale o europea. Tuttavia, un paese così piccolo e povero difficilmente sarebbe stato in grado di opporre un rifiuto netto alle posizioni espresse dall’UE.
L’intervento dell’UE appare come un tentativo, dopo la confusa e contestata condotta assunta nei primi anni ’90, di proporsi quale mediatore politico maturo e affidabile nella regione balcanica. L’effetto immediato di questa iniziativa è stato però quello di provocare in Montenegro una brusca interruzione del dialogo tra i partiti indipendentisti e quelli pro-jugoslavi, che nelle settimane precedenti si era invece svolto in modo molto fruttuoso. La posizione critica nei confronti di un referendum da parte dell’UE ha infatti immediatamente spinto i leader pro-jugoslavi a dichiarare tale referendum fuori questione. Complessivamente, l’accordo del 14 marzo ha ricevuto un’accoglienza contrastante sia in Montenegro che in Serbia, creando non pochi dissensi. In Montenegro i fautori dell’indipendenza hanno reagito con profondo disappunto sia nei confronti dell’UE, considerando un oltraggio il suo intervento volto a bloccare un referendum ormai deciso, che di Djukanovic, colpevole di essere sceso a patti. L’opposizione pro-jugoslava, che costituisce una forza politica molto consistente, ha invece accolto l’accordo come una vittoria della propria causa, bloccando, come si è detto, le trattative per il referendum. In Serbia la situazione risulta in un certo senso ancora più complessa. In linea di principio tutti i partiti, ad eccezione dei cristiano-democratici, sono fedeli all’idea di federazione; nei fatti però il desiderio della maggior parte dei leader politici è quello di porre fine alla confusione destabilizzante circa lo status del Montenegro e il futuro della Federazione: pur considerando l’unione con il Montenegro l’opzione preferibile, essi non sono dunque disposti a perseguirla ad ogni costo (a questo proposito il ministro dell’Economia serbo Djelic ha definito un "Frankestein economico" lo stato progettato dall’accordo del 14 marzo, facendo riferimento alla caratteristica della doppia valuta). Se i federalisti serbi ritengono che Solana abbia concesso troppo a Djukanovic, per i ‘pragmatici’ il difetto maggiore dell’accordo è invece quello di aver lasciato troppe questioni in sospeso, e di non aver chiarito né in un modo né nell’altro la situazione; in questo senso l’accordo è apparso a molti come un prolungamento dell’agonia anziché come l’inizio di una nuova fase.
L’accordo presenta effettivamente il grave difetto di lasciare in sospeso molte questioni di importanza non secondaria circa il funzionamento pratico dell’unione, e di essere in alcune sue parti ambivalente; è dunque importante che esso non venga interpretato come un traguardo, ma come un mezzo per raggiungere una soluzione stabile e comunemente accettata. L’UE, che ormai è attivamente coinvolta in questa questione, farebbe un notevole passo avanti se riuscisse a vincere definitivamente la tentazione di assumere in solitudine decisioni circa quanto è preferibile per la regione balcanica, e se utilizzasse invece l’accordo del 14 marzo per aiutare Serbia e Montenegro ad identificare linee di condotta equilibrate e fondate su un chiaro sostegno democratico: sarebbe infatti molto imprudente ostinarsi a difendere ad ogni costo l’unione senza prima aver trovato una soluzione soddisfacente alle questioni di Montenegro e Kosovo.
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