Il ritorno di Marko

Jovan Arsenić, classe 1974, è uno dei registi esordienti più promettenti della Serbia degli ultimi anni. Il suo saggio finale alla scuola del cinema di Colonia parla del ritorno a casa di un soldato, dopo 5 anni di guerre nei Balcani. Nostra intervista

15/07/2005, Nicola Falcinella -

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Povratnik

L’esordio più interessante del 2004 in Serbia è quello di Jovan Arsenić, nato nel 1974 a Zrenjanin in Vojvodina, studi di psicologia a Begrado negli anni dell’isolamento internazionale e delle follie di Milošević e dei suoi. Poi il trasferimento in Germania, a Colonia, per frequentare una scuola di cinema di cui "Povratnik – Ritorno a casa" è il saggio finale. Un film ambizioso nella durata (70 minuti) e nel voler raccontare i drammi della guerra in modo molto personale. È la vicenda del rientro nel villaggio natale di Marko, dopo 5 anni di guerra. La sua mente è tormentata dai ricordi e nel piccolo abitato in mezzo ai campi c’è un clima di tensione esasperata. Mentre altri giovani lo minacciano, cerca di ricostruire il rapporto con l’ex ragazza, Anja. "Povratnik" è stato presentato in diversi festival europei, da Karlovy Vary a Cinema tout ecran a Ginevra, ottenendo alcuni riconoscimenti.

Jovan Arsenić, da dove arriva la storia di questo ritorno a casa?

L’idea è nata da un lato dall’esperienza fatta durante gli studi di psicologia a Belgrado. Per tre mesi ho fatto pratica in una clinica psichiatrica per giovanissimi. Alcune delle storie che ho sentito mi hanno ispirato questa sceneggiatura, per la quale ho combinato situazioni riguardanti diverse persone. Dall’altro lato volevo mostrare la miseria sociale e culturale nella Serbia post guerre, post Milošević. Ho cercato una storia personale che descrivesse la situazione in modo indiretto. Ho cercato di mostrare nel mio film come la violenza e il potere su qualcuno che è più debole si trasferisca da una persona all’altra e coinvolga tutti. Ma anche, attraverso l’atmosfera nel villaggio, mostrare la resistenza contro i cambiamenti, per esempio le reazioni della gente al ritorno di Marko. Immagino che nei piccoli, esclusi, provinciali villaggi della Serbia, come quello del film, storie simili siano accadute molto spesso. Ma è anche una storia d’amore, una storia d’amore sofferta.

Il film è costato molto poco…

L’intero budget di produzione è stato di 20.000 euro: 6.000 della Academy of Media Arts a Colonia dove ho studiato perché era il mio film di diploma, 12.000 dal Filmstiftung NRW e 2.000 li ho messi io chiedendoli in prestito. Avevo davvero una piccola somma, ma nonostante questo ho provato a farlo lo stesso perché sapevo che molti amici e la mia famiglia mi avrebbero sostenuto, dal momento che ho girato al mio villaggio d’origine. Così è stato, tutti mi hanno aiutato senza chiedere un cent. È stato comunque molto duro perché dovevamo fare in fretta, ogni giorno di più sarebbe costato molti soldi. Dall’altro lato mi sentivo libero avendo un budget così piccolo.

I due protagonisti, Ivan Djordević e Snežana Trisić, sono molto convincenti nei loro ruoli. Dove li ha trovati?

Per il mio film non volevo attori professionisti. Ho visto molti studenti all’Accademia di recitazione a Belgrado e a Novi Sad, ma erano troppo orientati al teatro, così ho cercato in gruppi amatoriali. Di fatto la prima persona che ho scelto è stata Snežana. Dopo di lei ne ho viste molte altre, ma alla fine sono ritornato a lei. È stato grazie a una coincidenza, recitava nello spettacolo teatrale di un mio amico, e mi piaceva molto. Era una che poteva apparire una ragazza giovane e una donna nello stesso tempo. Ho avuto molti più problemi a trovare un attore per il ruolo di Marko. Avevo un’idea di come dovesse essere e non lo trovavo. Il film è ambientato in Vojvodina e volevo qualcuno che venisse da quelle parti. Qualcuno che parlasse il dialetto. In più non volevo uno che sembrasse il tipico ragazzo serbo, poiché la Vojvodina è una regione molto mista, con molte persone di origine ungherese o rumena. Un giorno mio padre mi disse che avrei dovuto vedere il figlio di un suo amico che iniziava a fare l’attore. Così incontrai Ivan. All’inizio era molto timido e mi piacque. Nel periodo in cui facevo il casting del film si iscrisse al concorso per l’Accademia di recitazione a Belgrado. Durante le riprese suo padre mi chiamò per dirmi che era stato ammesso, ma io non ero sicuro se dirglielo o no. Non volevo che diventasse arrogante.

Il suo film è molto diverso dalla maggior parte del cinema serbo. Gli attori sono molto essenziali, la storia è molto chiusa sui protagonisti…

È vero che ci sono diversi film recenti nei quali gli attori esagerano, overact, e la storia e il modo di raccontarla sono molto semplici. Però c’è anche una tradizione che inizia con la cosiddetta "Crni talas – onda nera" e ha un orientamento del tutto diverso. E spero che questa tradizione possa risorgere. Ora faccio fatica a parlare del cinema serbo, mi mette a disagio perché non sono stato là in questi anni e ciò che conosco mi è stato riportato da amici o altri studenti di cinema. Dall’altro lato sono comunque ancora solo all’inizio. Posso solo dire che nel cinema, come un po’ in tutti i settori della società serba, ci sono ancora resti dell’antico apparato, che spero stiano scomparendo rapidamente. Ho concepito il mio film in Germania, in completa mancanza di contatti con i maggiori cineasti serbi, e questo mi ha influenzato nel distanziarmi. Nel momento in cui ho girato sono stato libero dalle loro influenze.

Quali sono i suoi contatti con i giovani cineasti serbi? Cosa pensa dei loro lavori?

Ho contatti con studenti di cinema serbi o con giovani che si sono appena diplomati. Ho visto molti loro cortometraggi e documentari e mi sono piaciuti molto. Ma devo dire una cosa fin troppo ripetuta: non ci sono abbastanza soldi per i giovani filmmaker. È positivo però che, grazie al video, filmare è diventato più economico e stanno emergendo dei registi indipendenti.

E cosa pensa della situazione politica, dell’elezione di Tadić alla presidenza?

Un amico di Belgrado mi ha detto: ‘Tadić ha vinto, e allora? Mi ha detto che ci vorrà troppo tempo e ha comunque esaurito la pazienza. Dall’altro lato si sente che la gente ricomincia ad avere speranza. Spero che andrà così. E spero che l’UE reagisca e aiuti in tempi rapidi affinché la gente non se ne vada di nuovo. È difficile spiegare alla gente che ha vissuto così a lungo in quello schifo che serve tempo, molto tempo, che bisogna ricostruire. Devono vedere, sentire i cambiamenti, piccoli cambiamenti visibili. Anch’io voglio vederli!

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